Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7645 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 30/03/2010), n.7645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BANCA di ROMA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO MARCHETTI 35,

presso lo studio dell’avvocato CATI AUGUSTO, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale Atto Notar ANTONIO MARIA ZAPPONE di

Roma del 13/11/2006 rep. n. 81669;

– ricorrente –

contro

C.G.;

– intimato –

e sul ricorso n. 1922/2007 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato GHERA EDOARDO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

BANCA di ROMA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO MARCHETTI 35,

presso lo Studio dell’avvocato CATI AUGUSTO, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale Atto Notar ANTONIO MARIA ZAPPONE di

Roma del 13/11/2006 rep. n. 81669;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 317/2005 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 14/12/2005, R.G.N. 266/04;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. CURZIO Pietro;

udito l’Avvocato CATI AUGUSTO;

udito l’Avvocato GHERA EDOARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito il ricorso incidentale.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Banca Di Roma spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Campobasso, pubblicata il 24 dicembre 2005, che ha confermato la decisione con la quale il Tribunale di Campobasso, accogliendo il ricorso di C.G., aveva accertato la illegittimita’ del licenziamento per giusta causa a questi comminato, condannando la banca datrice di lavoro a reintegrarlo e a corrispondergli le retribuzioni dal giorno del licenziamento.

Tanto la sentenza di primo grado, che quella di secondo grado, hanno ritenuto che la sanzione del licenziamento in tronco fosse sproporzionata rispetto agli addebiti contestati al C. consistenti nell’aver concesso crediti per somme superiori a quelle massime consentite per le sue competenze.

Il ricorso della banca e’ articolato in un unico motivo, peraltro articolato in due proposizioni distinte. La richiesta e’ di annullamento con ogni consequenziale provvedimento anche in ordine alle spese.

Il C. ha depositato un controricorso con ricorso incidentale condizionato, relativo alla richiesta non accolta di illegittimita’ del licenziamento anche per intempestivita’ della sanzione. La richiesta e’ di rigetto del ricorso principale e, in caso di suo accoglimento, di declaratoria di nullita’ della sentenza per aver omesso di pronunciare sull’appello incidentale.

La Banca ha depositato controricorso nei confronti del ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Il primo motivo del ricorso principale e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2118 c.c., e della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa fatti controversi decisivi per il giudizio.

Ricostruita la condotta oggetto della incolpazione disciplinare, si censura la decisione della Corte per aver escluso la sussistenza della giusta causa in considerazione del comportamento complessivo del C. ed in particolare del fatto che questi si e’ attivato per acquisire garanzie a fronte della esposizione venutasi a creare, sottolineando che la giusta causa sussiste anche se il comportamento del dipendente e’ solo idoneo a cagionare un pregiudizio, indipendentemente dal verificarsi di un effettivo danno. Si aggiunge che il ragionamento della Corte e’ contraddittorio in tre passaggi:

nella parte in cui prende in considerazione le garanzie fornite da altri soggetti; laddove compara la sanzione inflitta al C. con quelle meno pesanti inflitte ad altri dipendenti per comportamenti analoghi e laddove considera la mancanza di precedenti nella storia professionale del dipendente. Nel considerare tale censura, e’ opportuno premettere che sicuramente il comportamento del C., consistente nella concessione di affidamenti al di la’ dei limiti consentitigli, costituisce grave illecito disciplinare.

Il problema oggetto della controversia e’ quello di verificare la proporzionalita’ tra tale illecito e la sanzione inflitta, quella massima del licenziamento per giusta causa, senza possibilita’ di prosecuzione neanche provvisoria del rapporto.

I giudici di merito, con giudizio convergente, hanno ritenuto che il licenziamento in tronco costituisse una sanzione non proporzionale, in considerazione di una serie di circostanze, analiticamente esaminate nella decisione impugnata, che attenuano la indubbia censurabilita’ del comportamento.

Il giudizio sulla proporzionalita’ della sanzione e’ un giudizio attinente al merito della controversia. In sede di legittimita’ il sindacato pertanto riguarda la adeguatezza e la coerenza della motivazione.

Nel caso in esame la motivazione risulta adeguata e quelle che la banca ricorrente prospetta come contraddizioni non possono essere ritenute tali.

La Corte d’Appello di Campobasso, a fronte della serieta’ dell’illecito, ha valutato una serie di elementi a favore del lavoratore, traendone la conseguenza che la sanzione massima ed estrema risultava eccessiva.

Il primo di questi elementi e’ il fatto che il dipendente, prima dell’avvio della procedura disciplinare, si e’ adoperato per evitare che la banca subisse qualsiasi danno dagli affidamenti oltre i limiti. Tale fatto non viene considerato dalla Corte di merito come un elemento che esclude l’illecito disciplinare. La sentenza riconosce che l’illecito sicuramente sussiste, a prescindere dal determinarsi di danni per la banca, per il solo fatto della violazione dei limiti imposti dai regolamenti aziendali. Tuttavia, la sentenza ritiene che tale elemento sia da considerare ai fini della valutazione sulla proporzionalita’ della sanzione e giustifichi una attenuazione della stessa. Ulteriori elementi considerati dalla Corte di merito sono poi la totale assenza di precedenti ed il fatto che ad altri dipendenti, per comportamenti analoghi, non sia stata inflitta sanzione massima del licenziamento in tronco. Anche questi elementi rilevano ed incidono sulla valutazione in ordine alla proporzionalita’. In tale iter logico, puntualmente argomentato, non si ravvisano contraddizioni.

In assenza di inadeguatezze o contraddizioni nella motivazione, deve ritenersi che la valutazione della Corte d’Appello, coincidente con quella del Tribunale, concerna il merito del giudizio, che non puo’ essere rivisto in quanto tale nel giudizio di legittimita’.

Per giurisprudenza costante, “In tema di licenziamento disciplinare, il giudizio di proporzionalita’ della sanzione irrogata, ovvero la valutazione della gravita’ dell’infrazione e della sua idoneita’ ad integrare giusta causa di licenziamento, si sostanzia nell’accertamento che la specifica mancanza commessa dal dipendente, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo grave la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente, tale da giustificare una sanzione non inferiore a quella espulsiva; esso si risolve pertanto in un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimita’ se congruamente e logicamente motivato” (Sez. L, Sentenza n. 237 del 10/01/2003 (Rv.

559591); tra le ultime, cfr. Sez. L, Sentenza n. 144 del 08/01/2008 (Rv. 600820).

In una seconda parte del medesimo unico motivo di ricorso, si muovono ulteriori censure, indicate come violazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 437 c.p.c., secondo 2 e omissione di motivazione.

Si tratta della mancata valutazione delle prove, sia documentali che testimoniali, da cui, a parere della ricorrente, emergeva la difficolta’ economica delle societa’ traente degli assegni negoziati dal C.. Il motivo si conclude con il seguente quesito:

(dica la Corte) se il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalla parti, testimoniali e documentali, ben potendo anche in sede di appello, acquisire quelle documentali precostituite offerte dalle parti utili ed importanti ai fini della decisione.

Il motivo, e’, evidentemente, generico. Implica una valutazione di merito e nella parte relativa alla prove documentali non tiene conto delle ben piu’ rigorose prescrizioni del codice di rito e della giurisprudenza delle sezioni unite formatasi sul punto.

Il ricorso pertanto deve essere respinto, con le conseguenze di legge in tema di spese.

Il ricorso incidentale, essendo condizionato, rimane assorbito.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale. Condanna la banca ricorrente alla rifusione alla controparte delle spese del giudizio, che liquida in Euro 35,00, oltre 3.000,00 Euro per onorari, piu’ IVA, CPA e spese generali.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

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