Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7645 del 02/04/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7645 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA
sul ricorso 19987-2008 proposto da:
MATTU ANNA, POLI ALDO in proprio e nella qualità di
legale rappresentante pro tempore della STELLA POLARE
di POLI ALDO e C. SAS, elettivamente domiciliati in
ROMA VIA FLAMINIA 79, presso lo studio dell’avvocato
PLACIDI GIAMPIERO, che li rappresenta e difende
giusta delega a margine;
– ricorrenti contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 02/04/2014

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente nonchè contro

UFFICIO DELLE ENTRATE UFFICIO DI VITERBO;
– intimato –

di ROMA, depositata il 04/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/01/2014 dal Presidente e Relatore
Dott. ETTORE CIRILLO;
udito per il ricorrente l’Avvocato PLACIDI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato BACHETTI che
si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del 1 ° motivo del ricorso, assorbiti
gli altri.

avverso la sentenza n. 201/2007 della COMM.TRIB.REG.

RITENUTO IN FATTO
1. Nel presente giudizio di legittimità é chiesta la cassazione della
sentenza n.201 con la quale il 7 dicembre 2007 la Commissione
tributaria regionale del Lazio ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia
delle entrate nei confronti della s.a.s. Stella Polare di Poli Aldo & C. e dei

costoro contro l’avviso di accertamento col quale il fisco aveva
recuperato a tassazione maggiori IRAP e IVA conseguenti a ricavi non
dichiarati nell’anno 1998 relativamente al bar ristorante gestito dalla
società.

2. La sentenza, premesso che l’appello era stato ritualmente autorizzato
dalla Direzione regionale e che la pronunzia di primo grado aveva
annullato l’atto impositivo per difetto di valida sottoscrizione, ha ritenuto
che l’atto contestato era stato materialmente firmato da funzionario
presumiblmente all’uopo delegato.
In proposito, ha rilevato che «non solo la parte ricorrente aveva
sollevato la relativa eccezione soltanto nell’imminenza della discussione
della causa (con memoria illustrativa), ma non aveva portato neppure
alcun elemento a sostegno della propria tesi, reclamando soltanto che
l’atto impugnato fosse allegata la delega di firma».
Quanto al merito della vertenza si è limitata ad affermare: «il collegio
ritiene che l’ufficio abbia legittimamente operato, sia per quanto
concerne l’accertamento analitico-induttivo secondo le disposizioni
dell’art. 39 comma 2 d.p.r. 600/73 sia con riguardo ai criteri adottati per
la ricostruzione dei ricavi basati su considerazioni tratte dall’esperienza e
dal buon senso»
L’odierno ricorso per cassazione della s.a.s. e dei due soci, è affidato a
sei mezzi, ai quali il fisco resiste con controricorso; le parti private
replicano con memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3.

Con il

primo motivo –

denunciando violazione della legge

processuale D.Lgs. 546/92, art. 22, comma 1, e art. 53, comma 2, i
ricorrenti propongono eccezione d’inammissibilità dell’appello, essendosi

1

suoi soci, Poli Aldo e Mattu Anna, e ha rigettato i ricorsi avanzati da

l’Agenzia impugnante costituita dinanzi alla Commissione tributaria
regionale senza depositare le ricevute della spedizione postale del
gravame e producendo unicamente gli avvisi di ricevimento delle relative
raccomandate. Il motivo non è fondato.
Va premesso che i ricorrenti hanno avanzato formale istanza di
acquisizione del fascicolo dei gradi di merito, non pervenuto dalla
Commissione regionale. L’incombente non è necessario, atteso che dallo

della sentenza di prime cure pubblicata il 20 marzo 2006, era stato
materialmente consegnato alle parti private il giorno 11 maggio 2007
risultante dalle «ricevute di ricevimento depositate in atti» (pag.9 del
ricorso).
Orbene, si osserva che il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22,
richiamato dall’art. 53, comma secondo, per il procedimento di appello,
richiede, ai fini della costituzione in giudizio del ricorrente, il deposito
non solo di copia del ricorso spedito per posta, ma anche della ricevuta
di spedizione dell’atto per raccomandata a mezzo del servizio postale, la
cui mancata allegazione comporta l’inammissibilità dell’impugnazione,
non sanabile neppure per effetto della costituzione in giudizio del
resistente (Cass. 24182/06).
Tuttavia, la più recente giurisprudenza di questa Corte ha chiarito:
«È vero che, ai fini della costituzione dell’attore, l’art. 22, non parla del
deposito dell’avviso di ricevimento, mentre menziona, tra gli atti da
depositare, la ricevuta di spedizione postale del ricorso, ma ciò sta
significare soltanto che il ricorrente si può costituire in giudizio anche
prima e indipendentemente dal recapito dell’atto al destinatario, e non
che dalla spedizione inizia a decorrere, a pena d’inammissibilità, il
termine per costituirsi senza neppure poter conoscere gli esiti della
notifica postale» (Cass. 9173/11; conf. 18373/12, 16565/12, 14010/12,
10816/12, 10815/12, 4002/12; v. Cass. 12185/08).

3-bis. Così delimitato il ruolo processuale della ricevuta di spedizione
postale del ricorso, la sanzione dell’inammissibilità per il suo omesso
deposito ha un senso logico e giuridico unicamente per l’esigenza di aver
certezza dell’avvio del procedimento notificatorio anche nell’ipotesi di
costituzione del ricorrente anticipata rispetto al recapito dell’atto al
destinatario e per il doveroso controllo della data di spedizione ai fini
della tempestività del ricorso.

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stesso ricorso risulta che l’appello, proposto dall’ufficio nei confronti

Infatti, nella notifica a mezzo del servizio postale, con la consegna
dell’atto all’ufficio postale per l’inoltro si hanno per verificati, a seguito
della sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, gli effetti
interruttivi del termine per impugnare ad essa connessi per il notificante.
La suddetta data è riportata, secondo i regolamenti postali, anche
nell’avviso di ricevimento del plico, che costituisce, pur sempre, atto
pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c. (Cass. 23593/12); pertanto le

quelle relative alla procedura di notificazione a mezzo posta eseguita per
il tramite dell’ufficiale giudiziario (Cass. 17723/06).
Ne deriva che la presenza o meno in atti della ricevuta di spedizione
postale del ricorso è processualmente ininfluente ove sia comunque
prodotto tempestivamente l’avviso di ricevimento del plico (Cass.
4615/08, 27991/11, 3509/11).

3-ter. Del resto, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo (es. sent. Adreyev v. Estonia, Reklous and Davourlis v.
Greece, Efstathiou et autres v. Greece) si trae il monito ad ancorare le
sanzioni processuali al canone di proporzionalità e a far prevalere le
interpretazioni dirette a consentire al processo di giungere al suo sbocco
naturale, senza enfatizzare un fin de non recevoir non riscontrabile nei
dati convenzionali di riferimento.
Pertanto, risultando dallo stesso ricorso che l’Agenzia ha prodotto
unitamente all’appello gli avviso di ricevimento della notifica postale del
gravame, l’eccezione d’inammissibilità dell’appello non coglie nel segno
e va, dunque, disattesa.

4. Col correlato

secondo motivo,

i ricorrenti – denunciando la

violazione degli articoli 38, comma, 3 d.lgs. 546/92 e 327 cod. proc. civ.
– eccepiscono la tardività dell’appello del fisco e, dunque, il passaggio in
giudicato della decisione di prime cure. Il motivo va disatteso.
L’inammissibilità dell’appello, in ragione della proposizione oltre il
termine annuale di decadenza previsto dall’art. 327, primo comma, cod.
proc. civ. (ratione temporis vigente), è rilevabile in ogni stato e grado
del giudizio e, quindi, anche in sede di legittimità; tuttavia, la parte che,
come nella specie, lamenti il mancato rilievo della tardività, sollecitando
il giudice di legittimità a provvedervi nell’esercizio dei propri poteri

3

indicazioni in esso contenute godono della stessa fede privilegiata di

officiosi, ha l’onere di indicare gli elementi di fatto al cui riguardo
richiede la verifica.
Sicché, il mezzo va sempre disatteso, ove la parte si limiti ad affermare
che, dagli atti processuali, non risulti provata la tempestività
dell’appello, sollecitando, quindi, la Corte a ripercorrere in modo
esplorativo l’intero sviluppo della attività procedimentale. (Cass.
10440/13).

sarebbe irrimediabilmente spirato il 5 maggio 2007, atteso il recapito
dell’impugnazione in data 11 maggio 2007 proprio risultante dalle
«ricevute di ricevimento depositate in atti» (pag.9 del ricorso).
Sul punto, si limitano ad addurre genericamente l’irrilevanza della data
di partenza della raccomandata riportata nell’avviso di ricevimento, solo
perché «tale indicazione è manoscritta sulla cartolina a cura del
funzionario dello stesso Ufficio che ha curato la notifica e, dunque,
essendo una attestazione proveniente dalla stessa parte che ha
interesse alla tempestività della notificazione, non può certamente
essere presa in considerazione».
Dunque, il ricorso si limita sollecitare questa Corte a ripercorrere
esplorativamente lo sviluppo dell’attività notificatoria senza neppure
trascrivere il contenuto dell’avviso di ricevimento e, in particolare, la
data di spedizione ivi riportata (indicata in controricorso nel 3 maggio
2007), circoscrivendo il motivo al solo erroneo profilo di una datazione
non fidefacente (e non diversa da quella del 3 maggio 2007 o,
comunque, posteriore al termine del 5 maggio 2007).

5. Col terzo motivo, i ricorrenti – denunciando la violazione dell’articolo
52 d.lgs. 546/92 – eccepiscono l’inammissibilità dell’appello del fisco per
mancanza della relativa autorizzazione.
Trattasi di censura infondata, sulla base del condiviso principio, dal
quale nel caso non si ravvisano ragioni per discostarsi, secondo cui:
«Nel processo tributario, la disposizione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n.
546, art. 52, comma 2, secondo la quale gli uffici periferici del
dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del
territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione
dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del
contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal
responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione

4

Nella specie i ricorrenti rilevano che il termine lungo per appellare

compartimentale del territorio, non è più suscettibile di applicazione una
volta divenuta operativa – in forza del D.M. Economia 28 dicembre 2000
– la disciplina recata dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, che ha
istituito le agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della
generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli
uffici del Ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi
rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la

soppressione di tutti gli uffici ed organi ministeriali ai quali fa riferimento
il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, infatti, da tale norma non
possono farsi discendere condizionamenti al diritto delle agenzie (nella
specie, l’Agenzia delle Entrate) di appellare le sentenze ad esse
sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali» (Cass. SS.UU.
n.604/05; conf. 16430/11).

6. Col quarto motivo, i ricorrenti – denunciando violazione dell’articolo
42, comma 1, d.p.r. 600/73 – infondatamente sostengono che, essendo
nullo l’accertamento che non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio
finanziario o di impiegato direttivo da lui delegato, tale nullità sarebbe
rilevabile d’ufficio e comporterebbe l’onere per il fisco di dimostrare
l’eventuale esercizio di poteri sostitutivi o la presenza di delega.
In dottrina, si è autorevolmente e condivisibilmente sostenuto che il
difetto di sottoscrizione produce sì la nullità dell’avviso, ma, per il
combinato disposto degli articoli 42 e 61 d.p.r. cit., essa è considerata
sanabile, dal momento che essa deve essere eccepita nel primo grado
del giudizio avanti alle commissioni tributarie.
Si è detto che la preclusione sancita dal comma 2 dell’articolo 61
trovava la sua giustificazione, così come formulata, nel fatto che,
vigente il vecchio rito tributario (d.p.r. 636/72), pareva esservi spazio
per motivi nuovi in appello, poi sicuramente esclusi dal d.p.r. 739/81
dalla novella del d.p.r. 739/81 che modificò l’articolo 19 del d.p.r. 636
ed aggiunse l’articolo 19-bis dello stesso testo normativo e stabilì che
l’integrazione dei motivi del ricorso doveva avvenire necessariamente
prima della fissazione della data dell’udienza da parte del presidente
della commissione tributaria. (Sez. 5, Sentenza n. 9891 del 20/06/2003,
Rv. 564430).
Si è detto, ancora, che la preclusione di cui al comma 2 dell’articolo 61
cit. va correlata alla disciplina del nuovo processo tributario di cui al

5

disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna agenzia. A seguito della

d.lgs. 546/92 in base al quale tutte le censure devono essere avanzate
nel ricorso introduttivo e la facoltà di formulare motivi aggiunti si fonda
soltanto su vizi emergenti da documenti non conosciuti e, dunque, non
deducibili dall’avviso impugnato (art. 24, comma 2).
Nella specie è pacifico – e risulta dalla stessa sentenza d’appello – che
l’atto impositivo era stato inizialmente impugnato solo per la carenza dei
presupposti per l’accertamento induttivo (art. 39 d.p.r. 600/73) e per

dei maggiori ricavi accertati, mentre la mancanza di una valida
sottoscrizione dell’atto impositivo era stata eccepita dai contribuenti solo
con memoria illustrativa depositata successivamente al ricorso.
Si tratta, dunque, di eccezione tardivamente proposta così come
sostanzialmente affermato il giudice d’appello («la parte ricorrente ha
sollevato tale eccezione soltanto nell’imminenza delle discussione della
causa»).
Il rilievo assorbente di tali considerazioni esonera questa Corte
dall’esaminare ogni altro rilievo (su poteri di firma, sostituzione e
delega).

7. Con gli ultimi due motivi (pag. 22 ss. e 25 ss), i ricorrenti denunciando, ai sensi dell’articolo 360 n.3 cod. proc. civ., la violazione
dell’articolo 39, comma 1, d.p.r. 600/73 e, ai sensi dell’articolo 360 n.4
cod. proc. civ.,

la violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ. –

lamentano che il giudice d’appello, con statuizione del tutto apodittica,
(a) da un lato non ha valutato se gli scostamenti tra dati contabilizzati e
valori accertabili presuntivamente fossero di entità tale da far
considerare del tutto inattendibile la contabilità azienda e da giustificare
l’accertamento analitico-induttivo; (b) dall’altro, ha del tutto trascurato
tutte le censure (percentuali di sfrido, volume d’affari, medie di ricarico,
campione, etc.) analiticamente esposte nei ricorsi introduttivi (pag. 3
ss.) e riproposte in appello nelle controdeduzioni (pag.5), con
riferimento a numerose criticità del p.v.c. (es. pag. 38, 63, 64, 66)
posto a fondamento dell’avviso impugnato. I mezzi sono fondati.
In tema di accertamento induttivo nell’ipotesi in cui risulti una contabilità
regolarmente tenuta, l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può
essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di
ricarico applicata dal contribuente, soltanto quando raggiunga livelli di

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vizi della sequenza motivazionale delle presunzioni poste a fondamento

abnormità ed irragionevolezza tali da privare, appunto, la
documentazione contabile di ogni attendibilità. (Cass. 20201/10).
Inoltre, la determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico
effettiva deve avvenire adottando un criterio che sia:
(a) coerente con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame;
(b) applicato ad un campione scelto in modo appropriato;
(c) fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla

Di contro, il giudice di appello si è limitato ad affermare:
«…il collegio ritiene che l’ufficio abbia legittimamente operato, sia per
quanto concerne l’accertamento analitico-induttivo secondo le
disposizioni dell’art. 39, comma 2, d.p.r. 600/73 sia con riguardo ai
criteri adottati per la ricostruzione dei ricavi basati su considerazioni
tratte dall’esperienza e dal buon senso».
Palese è, dunque, la violazione dell’articolo 39 cit. per la cui osservanza,
nell’interpretazione data da questa Corte, certamente non bastano
generiche «considerazioni tratte dall’esperienza e dal buon senso».

7-bis.

Inoltre, sul merito della vertenza, la stringata motivazione della

sentenza impugnata, oltre che errata in punto di diritto (riguardo al
quinto mezzo), va ritenuta globalmente del tutto figurativa , limitandosi
a enunciazioni disancorate, in sede espositiva, dalla fattispecie concreta
e, in ogni caso, sfornite di riferimenti specifici e puntuali al rapporto
tributario in contestazione e alle censure che, formulate in prime cure e
riproposte in appello, sono aggetto specifico dell’ultimo motivo di ricorso
che ne denuncia l’omesso esame.
Tutto ciò si traduce, sul sesto e ultimo mezzo specifico, nel vizio
omissivo di cui agli articoli 112 e 360 n.4 cod. proc. civ., stante il suo
estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare qualsivoglia ratio
decidendi.

8. In conclusione, rigettati i primi quattro motivi e accolti gli ultimi due,
la sentenza d’appello va cassata,

in parte qua,

con rinvio alla

commissione tributaria regionale competente che, in diversa
composizione, procederà all’esame del merito della vertenza,
attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati (sub § 7 e § 7-bis) e
liquidare le spese anche del presente giudizio di legittimità.

7

composizione del campione di beni. (Cass. 3197/13).

ENTE DA REGISTRAZIONE
2614119K:3
A
MATERIA “tRIBUTARIA

Al SENS

N.131 ;

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto e il sesto motivo, rigetta gli altri, cassa la
sentenza d’appello in parte qua e rinvia, anche per le spese, alla
Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2014.

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