Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 764 del 19/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 19/01/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 19/01/2021), n.764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16-2015 proposto da:

D.A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI

43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati REMO DOMINICI, ANDREA

BODRITO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 116/2013 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 28/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2020 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il prof. D.A.L., docente universitario e dottore commercialista, impugnò dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Genova la cartella di pagamento notificatagli a seguito del controllo automatizzato del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, per il mancato pagamento dell’IRAP per l’anno 2006.

La CTP di Genova respinse il ricorso avverso la cartella di pagamento.

L’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza di primo grado dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) della Liguria fu a sua volta respinto con sentenza n. 116, depositata il 28 ottobre 2013, non notificata.

Avverso detta sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Parte ricorrente ha altresì depositato memoria si sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata ha statuito che quanto sostenuto dal contribuente in merito alle cariche di sindaco o revisore e per la redazione di articoli destinati ai giornali, riviste e simili, per lo svolgimento delle quali non v’è alcuna possibilità che organizzazione di sorta possa sostituirsi al professionista, la relativa questione integrasse eccezione nuova e pertanto inammissibile nel giudizio d’appello ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, cit. art. 57.

Il ricorrente lamenta, infatti, che la sentenza impugnata non abbia fatto corretta applicazione della norma in oggetto, essendo stata la questione già posta nel primo grado di giudizio, ove anzi, era stata specificata l’entità dei compensi percepiti per lo svolgimento delle anzidette attività onde consentirne lo scorporo dal complesso dell’attività svolta dal contribuente medesimo come libero professionista con l’ausilio dell’organizzazione del proprio studio professionale, essendo state in appello svolte soltanto ulteriori precisazioni che non potevano in alcun modo essere considerate idonee ad ampliare il thema decidendum.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnato ha qualificato quella del proprio studio professionale come “autonoma organizzazione”, rilevante ai fini della sussistenza del presupposto impositivo del tributo in oggetto, ciò non solo con riferimento alla quota – parte di base imponibile riveniente dalle attività di sindaco o revisore di società, o anche alla quota parte di compensi derivanti da lezioni e diritti d’autore, o dall’espletamento d’incarichi peritali quale consulente tecnico d’ufficio o di parte, che trova sempre fonte nell’attività personale del professionista, ma anche in relazione alle caratteristiche dello studio, di mq. 15, sito in (OMISSIS), che poteva essere utilizzato solo dall’esponente, all’apporto di segretarie con mansioni meramente esecutive ed ai compensi corrisposti a terzi, dei quali nel giudizio di merito era stata comprovata la causale.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa pronuncia sulla domanda di annullamento della sanzione per obiettiva incertezza sulla portata del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, avendo esso ricorrente chiesto sin dal primo grado del giudizio, in via subordinata, la disapplicazione delle sanzioni, proponendo come motivo d’appello l’omessa pronuncia da parte del giudice di prime cure su detta domanda, senza che a sua volta il giudice tributario d’appello vi provvedesse.

4. Infine, con il quarto motivo, per l’ipotesi che la domanda di cui al precedente paragrafo fosse ritenuta come implicitamente rigettata dal giudice di merito, il contribuente lamenta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, (Statuto dei diritti del contribuente).

5. Il primo motivo è fondato.

5.1. Questa Corte ha più volte affermato che in tema di contenzioso tributario il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, riguarda le eccezioni in senso stretto, ossia lo strumento processuale con il quale il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa fiscale (cfr., tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 20 settembre 2017, n. 21889; Cass. sez. sez. 6-5, ord. 21 novembre 2016, n. 23587), non estendendosi alle eccezioni che siano rilevabili d’ufficio, nè concernendo le cosiddette mere difese.

5.2. Nella fattispecie in esame, da quanto riportato in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza, è dato rilevare che il contribuente, nel contestare sin dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, quale presupposto impositivo dell’IRAP, ha offerto un dettagliato elenco dei compensi (tra cui quelli riferibili allo svolgimento dell’attività di sindaco o revisore di società), con relativa quantificazione, al fine di consentirne la possibile disamina separata, rispetto a quelli conseguenti alla propria attività di dottore commercialista supportata dal proprio studio professionale, da parte del giudice adito.

5.3. Il fatto che in appello siano state dedotte ulteriori considerazioni a sostegno, in parte qua, del proprio assunto circa l’asserita non debenza dell’IRAP, non amplia il thema decidendum, ma implica il supporto di precisazioni che non mutano l’ambito della contestazione della pretesa riferita a quei compensi per la cui produzione il professionista non si è avvalso dell’organizzazione dello studio professionale riferita alla propria responsabilità.

6. Il secondo motivo è ugualmente fondato, nei limiti di seguito precisati.

6.1. Questa Corte, in relazione ad analogo contenzioso in tema di IRAP riferito a diverse annualità d’imposta tra le stesse parti, in relazione al primo profilo ivi dedotto, concernente la medesima questione, questa volta riguardata sotto l’aspetto sostanziale, di cui al paragrafo che precede, ha affermato che “il dottore commercialista che svolga anche attività di sindaco e revisore di società non soggiace ad IRAP per il reddito netto di tale attività, in quanto soggetta ad imposizione è unicamente l’eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata”, (così, inter partes, Cass. sez. 6-5, ord. 21 marzo 2019, n. 8075, che richiama a sua volta Cass. sez. 65, ord. 27 maggio 2018, n. 12052), fermo l’onere del contribuente di provare la separatezza dei redditi di cui predica lo scorporo (cfr. Cass. 6-5, ord. 5 marzo 2012, n. 3434; si vedano anche, in materia Cass. sez. 6-5, ord. 3 luglio 2017, n. 16372 e Cass. sez. 5, ord. 4 luglio 2019, n. 17987).

6.1.1. Nella fattispecie in esame, come si rileva dal ricorso autosufficiente, il professionista ha chiesto di scorporare i proventi per attività di sindaco e per altre cariche sociali, per lezioni e diritti di autore, consulenze tecniche di ufficio e di parte, sicchè il giudice di appello, riferendo il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione anche a tali redditi senza alcun vaglio specifico, ha violato i menzionati principi di diritto.

6.2. Con riferimento al secondo profilo, in relazione al quale parte ricorrente si duole della falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, per la ritenuta sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione quanto al valore della produzione implementata dallo studio professionale facente capo alla responsabilità del professionista, il motivo è invece infondato.

6.2.1. Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. SU, 10 maggio 2016, n. 9451) hanno definitivamente chiarito che il requisito dell’autonoma organizzazione, quale presupposto impositivo dell’IRAP, ricorre quando il contribuente: a) sia responsabile dell’organizzazione; b) impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure impieghi più di un collaboratore con mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

6.2.2. Nella fattispecie in esame, sebbene il giudice tributario d’appello abbia concluso per la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, per l’anno 2006, senza uno specifico accertamento dell’utilizzazione, da parte del professionista, degli elementi sopra indicati, la sentenza in parte qua nel suo decisum risulta comunque in linea con il principio di diritto sopra enunciato, essendo incontroverso in fatto, in quanto esplicitato dallo stesso ricorrente (cfr. pag. 3 del ricorso) che egli, per l’anno in oggetto, si sia avvalso di tre segretarie, una a tempo pieno e due a tempo parziale, l’una per la mattina e l’altra per il pomeriggio, e di due studi professionali destinati all’esercizio esclusivo dell’attività, situati l’uno in Genova e l’altro in Milano, la limitata superficie del quale ultimo non fa venir meno il rilievo che la disponibilità di un ulteriore, pur esiguo studio, in città diversa dalla propria, fulcro peraltro delle attività produttive del Paese, ecceda il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, restando pertanto del pari irrilevante la non compiuta disamina, da parte del giudice di merito, della natura dei compensi a terzi, in via generale necessaria, stante il principio, pur affermato da questa Corte, secondo cui il valore assoluto dei compensi e dei costi ed il loro reciproco rapporto percentuale non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista (cfr. la già citata Cass. ord. n. 8075/2019; Cass. sez. 6-5, ord. 8 novembre 2016, n. 22705).

7. Il terzo motivo è ugualmente fondato, avendo comunque la CTR omesso di pronunciare sulla domanda, proposta dal contribuente in via subordinata, di disapplicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza sulla portata del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2.

8. L’accoglimento del terzo motivo comporta l’assorbimento del quarto.

9. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti, nei termini sopra precisati quanto al secondo, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, che, nel’uniformarsi ai principi di diritto sopra indicati, provvederà anche in ordine alla spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

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