Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7635 del 31/03/2020

Cassazione civile sez. I, 31/03/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 31/03/2020), n.7635

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

G.A.A., elettivamente domiciliato in Roma presso la

cancelleria della Corte di cassazione, con l’avvocato Cognini Paolo;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 1809/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 21/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/01/2020 dal Dr. DI MARZIO MAURO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – G.A.A., cittadino del Gambia, ricorre per tre motivi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro la sentenza del 21 agosto 2018 con cui la Corte d’appello di Ancona ha respinto l’appello avverso ordinanza del locale Tribunale di rigetto della sua domanda di protezione internazionale o umanitaria, in conformità al provvedimento della competente Commissione territoriale.

2. – Non spiega difese l’amministrazione intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronuncia su motivi di gravame, mancanza della motivazione, motivazione apparente, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9, comma 2, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 429 c.p.c., comma 1, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2, nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6.

Il secondo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione di legge e falsa applicazione in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 9 e art. 13, comma 1 bis e art. 27, comma 1 e 1 bis, e all’art. 16 della Direttiva Europea numero 2013/32/UE, carenza di istruttoria, illogicità dei criteri interpretativi, violazione dei principi di diritto in materia di protezione internazionale e attinenti allo scrutinio della richiesta protezione.

Il terzo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, accertamento del diritto alla protezione umanitaria, violazione di legge e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e art. 9, comma 2, violazione dell’art. 8 della CEDU.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – L’inammissibilità discende anzitutto dalla violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dal momento che il ricorrente ha posto a sostegno del ricorso le dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale, il provvedimento di quest’organo nonchè le argomentazioni difensive rappresentate nell’atto introduttivo del giudizio di fronte al Tribunale e successivamente nell’atto d’appello: ebbene, nessuno di tali atti è “localizzato” (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475), ed anzi non risulta dal ricorso neppure che siano stati prodotti i fascicoli di parte delle fasi di merito.

2.2. – Il ricorso è inoltre inammissibile per violazione del numero 3 dello stesso art. 366 c.p.c., il quale richiede che il ricorso contenga a pena di inammissibilità l’esposizione sommaria dei fatti di causa.

Nel caso in esame non emerge dal ricorso nè che cosa abbia deciso perchè la Commissione territoriale, nè quale fosse il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio dinanzi al Tribunale, nè quale sia stato il contenuto e la motivazione della decisione del primo giudice, nè quali motivi di appello il richiedente avesse spiegato avverso la sentenza di primo grado, nè quale sia l’esatto contenuto della sentenza impugnata.

E, se manca l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato il ricorso è inammissibile (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308): ed in questo caso non occorre nemmeno sottolineare che tale mancanza – come è chiarito dalle S.U. – “non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, nè attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione”. Difatti lo specifico contenuto dei menzionati atti, in particolare dell’atto d’appello, non emerge con precisione neppure lo svolgimento dei motivi.

2.3. – In ogni caso il primo motivo, il quale denuncia in buona sostanza la mancanza di motivazione della sentenza impugnata, è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

E’ difatti cosa nota che le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 18 aprile 2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2018, n. 33679; Cass., Sez. Un., 21 febbraio 2019, n. 5200) hanno evidenziato come il sindacato di legittimità sulla motivazione sia ormai ricondotto a quello di violazione di legge, riguardando l’inesistenza della motivazione in sè, che risulti dal testo della sentenza impugnata, esaurentesi nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Nel caso in esame il giudice di merito:

-) ha ritenuto non credibile la narrazione del richiedente, osservando che: “L’intero racconto risulta caratterizzato da contraddizioni sia in merito ai sentimenti provati dal ricorrente nei confronti del suo amico (avendo egli parlato di un coinvolgimento emotivo per poi escludere qualsiasi componente affettiva perchè, anzi, “quando facevamo sesso, mi sentivo male perchè non lo facevo volentieri”) sia in ordine all’orientamento sessuale del ricorrente il quale – come correttamente rilevato dal Tribunale – sul punto ha fornito versioni differenti riferendo solo in un secondo momento di aver avuto rapporti omosessuali per debito di riconoscenza verso il suo amico, escludendo di essere omosessuale, come invece chiaramente affermato in occasione della prima audizione. Inoltre vanno evidenziati i vizi di genericità del racconto ricollegabili, anzitutto al fatto che non risulta mai indicato il nome dell’uomo con il quale il G. avrebbe avuto la relazione, pur avendo egli affermato di conoscerlo da diversi anni e di aver avuto contatti con il medesimo anche per ragioni concernenti l’acquisto di macchine per il suo negozio, sicchè desta se non altro perplessità il fatto che, nel corso dell’intera narrazione della vicenda, non venga mai individuato dall’istante con il suo nome; suscita perplessità anche il fatto che non vi è stato alcun tentativo di circostanziare le dichiarazioni rese, non avendo il ricorrente, odierno appellante, specificamente indicato informazioni vertenti su circostante non marginali, quali quelle relative al modo in cui il padre ed il gruppo di persone (non meglio precisate) avrebbero avuto notizia dei rapporti intercorrenti tra il G. ed il suo amico ed avrebbero così avuto la possibilità di accedere alla abitazione di quest’ultimo, in occasione di un incontro tra i due”;

-) ha conseguentemente negato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e di quelli di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b);

-) ha escluso che nel Gambia ricorra una situazione di violenza generalizzata ed indiscriminata tale da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del citato art. 14, lett. c);

-) ha escluso che il richiedente mostrasse aspetti di vulnerabilità tali da comportare il riconoscimento della protezione umanitaria.

Sicchè non è affatto vero che la sentenza impugnata manchi di una motivazione ovvero sia nel suo complesso fondata su una motivazione meramente apparente.

2.4. – Il secondo motivo è inammissibile.

Esso, che pure si protrae per otto pagine, è per lo più totalmente generico, giacchè ripetitivo di astratte formule concernenti i criteri di valutazione delle domande di protezione internazionale ed il dovere di cooperazione istruttoria, nient’affatto rapportate al contenuto specifico della sentenza impugnata.

Soltanto a pagina 20, laddove esamina le considerazioni svolte dalla Corte d’appello in ordine alla situazione politica del Gambia, il motivo censura specificamente il ragionamento della Corte d’appello per aver svolto una valutazione prognostica degli intenti dell’attuale compagine governativa di abrogare la legislazione repressiva e discriminatoria dei gay, ma tale censura si colloca non dal versante dell’osservanza dei criteri di valutazione delle domande di protezione internazionale, bensì da quello dell’apprezzamento di merito, sottratto al controllo della Corte di cassazione, fatta salva l’osservanza, che qui non viene in questione, del “minimo costituzionale”.

2.5. – Il terzo motivo è inammissibile.

Esso è dedicato alla protezione umanitaria, di cui il ricorrente si era già occupato in precedenza sostenendo che il suo riconoscimento potrebbe trovare fondamento anche sui medesimi fatti dedotti a sostegno della protezione internazionale, il che non è: “La natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. maggiore” (Cass. 7 agosto 2019, n. 21123).

Ciò premesso l’inammissibilità discende ancora una volta dalla circostanza che il motivo contiene una trattazione di ordine generale in ordine alla protezione umanitaria, a manca del tutto di spiegare perchè il richiedente sarebbe persona vulnerabile, se non per il fatto – di per sè irrilevante – che egli soggiorni in Italia da oltre tre anni, e che abbia maturato un non meglio specificato “percorso di integrazione”, del quale dal ricorso non risulta assolutamente nulla.

3. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, ove dovuto dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2020

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