Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7634 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. III, 30/03/2010, (ud. 19/02/2010, dep. 30/03/2010), n.7634

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 425/2006 proposto da:

S.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato

PAFUNDI Gabriele, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GELPI ENRICO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZALE CLODIO 12, presso lo studio dell’avvocato RESTIVO DIEGO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARDINALI Anna giusta delega a

margine del controricorso;

ZURICH INSURANCE COMPANY S.A. (già ZURIGO ASSICURAZIONI SPA)

(OMISSIS) in persona del procuratore speciale Ing. F.

F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIORGIO VASARI 5,

presso lo studio dell’avvocato RUDEL RAOUL, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GELPI VITTORIO giusta delega in calce

al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1233/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Prima Civile, emessa il 13/4/2005, depositata il 14/05/2005,

R.G.N. 1577/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

19/02/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato GABRIELE PAFUNDI;

udito l’Avvocato RAOUL RUDEL;

udito l’Avvocato DIEGO RESTIVO per delega dell’Avvocato ANNA

CARDINALI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21 dicembre 2002 il Tribunale di Como rigettava la domanda di risarcimento danni per asserite infiltrazioni provenienti dall’immobile di D.E., proposta contro quest’ultima da S.B., titolare di un esercizio pubblico, i cui locali erano sottostanti all’appartamento della convenuta.

Avverso siffatta decisione appellava il S. e la Corte di appello di Milano con sentenza del 14 maggio 2005 rigettava il gravame.

Contro questa sentenza propone ricorso per cassazione il S., affidandosi a quattro motivi.

Resistono con rispettivi controricorsi la D. e la Zurigo Assicurazioni s.p.a., chiamata in manleva dalla convenuta nel corso del giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In merito ala presente impugnazione il Collegio ritiene quanto segue.

1. – Il primo motivo del ricorso (violazione e/o falsa applicazione art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) va disatteso.

Infatti, il giudice dell’appello, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, non ha affatto esaminata la domanda di rimessione in pristino, ma ha solo, e per inciso, posto in rilievo che l’appello era infondato “al di là di ogni più o meno corretta perplessità manifestata dal primo giudice circa la legittimazione ad agire del S.” sulla stessa (p. 2 sentenza impugnata).

2. – Il secondo motivo ( vizio di motivazione per contraddittorietà con le risultanze istruttorie e omessa motivazione su un punto deciso in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), contrariamente alla sua intitolazione, attiene alle risultanze istruttorie e all’indimostrato nesso di causalità tra il fatto produttivo del danno – infiltrazioni di acqua dall’immobile della D. – e la riconducibilità dello stesso all’immobile della convenuta.

Al riguardo, il giudice dell’appello ha congruamente e logicamente motivato, tenendo presenti le risultanze istruttorie, per concludere che esse “non consentono di costruire un quadro indiziario” onde suffragale l’assunto attoreo ma “semmai contrario a quello prospettato dall’appellante” (p. 2 sentenza impugnata).

Il percorso logico della motivazione è lineare, perchè il giudice dell’appello ha dato contezza dei sopralluoghi effettuati anche prima dell’instaurazione del giudizio, della CTU, che proponeva solo ipotesi rimaste senza riscontro, delle testimonianze dell’inquilino della D., la cui incapacità a testimoniare non fu eccepita nel corso del giudizio di primo grado nè prima nè dopo la escussione del teste, della comunicazione del Comune del 2 dicembre 1999, ritenendola sostanzialmente irrilevante (p. 3 sentenza impugnata).

Si tratta di convincimento, quindi, incensurabile in questa sede, stante, ripetesi, la sua motivazione appagante sotto il profilo logico-giuridico.

3.-Analoga sorte merita il terzo motivo (violazione e/o falsa applicazione artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 4).

Premesso che l’accertamento del nesso di causalità tra un determinato fatto e l’evento postula un giudizio di fatto, che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità, se congruamente motivato, va precisato che la censura nel suo contenuto non si sviluppa in. riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 (v. p. 11-12 ricorso) e si concentra sulla prova dell’an del nesso causale, in ordine al quale il giudice dell’appello ha correttamente affermato che era l’attore tenuto ad offrire ai sensi dell’art. 2697 c.c., la prova della sussistenza del nesso eziologico e che nè le acquisite relazioni tecniche nè le raccolte deposizioni testimoniali sono state in grado di fornire, per cui anche le supposizioni, che pure sono state avanzate, non possono far ritenere plausibile e /o verosimile quanto il S. ha attribuito alla D. “perchè non suffragate da elementi presuntivi gravi e concordanti” (p. 2 sentenza impugnata).

Simile motivazione per la sua logica consequenzialità in ordine agli elementi processuali sfugge ad ogni censura.

4. – Infine, anche il quarto motivo ( violazione e/o falsa applicazione art. 91 c.p.c., e omessa o insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) non merita accoglimento.

E’ giurisprudenza di gran lunga maggioritaria quella secondo la quale le spese processuali del terzo chiamato, che non sia rimasto soccombente, non possono gravare sul chiamante quando quest’ultimo non sia rimasto soccombente nè nei confronti del chiamato nè nei confronti della controparte (Cass. n. 3729/90; Cass. n. 9659/99; n. 3569/94; 3835/89), proprio come nella specie è accaduto.

Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza vanno liquidate: come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in favore di ciascuna delle parti costituite in Euro 1700,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

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