Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7631 del 24/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 24/03/2017, (ud. 17/11/2016, dep.24/03/2017),  n. 7631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28318-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.A.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 64/2010 della COMM. TRIB. REG. del MOLISE

depositata il 15/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. ESPOSITO ANTONIO FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

I.A.M. impugnò dinanzi alla C.T.P. di Isernia l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, in riferimento ai redditi dichiarati per gli anni di imposta 1999 e 2000, aveva ripreso a tassazione oneri ritenuti indebitamente dedotti e relativi a trattenute contributive subite dal contribuente, nella sua qualità di consigliere regionale del Molise, in vista della futura corresponsione – ricorrendone le condizioni – di un assegno vitalizio. Sostenne il ricorrente che l’indennità che la Regione Molise avrebbe dovuto eventualmente corrispondergli non aveva natura retributiva, bensì previdenziale, sicchè la stessa, essendo già tassata alla fonte, non avrebbe potuto essere tassata una seconda volta.

La commissione tributaria accolse il ricorso annullando l’avviso di accertamento impugnato.

Proposto appello dall’Ufficio, la C.T.R. del Molise, con sentenza del 15.10.2010, ha confermato la sentenza impugnata.

Contro la suddetta decisione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di un motivo.

Il contribuente non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo di ricorso – rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 47, 48 e 48 – bis, vigenti ratione temporis, del D.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto natura previdenziale all’assegno vitalizio spettante ai consiglieri regionali cessati dalla carica, con conseguente legittima deduzione dal reddito imponibile dei contributi trattenuti dalla Regione Molise sull’indennità di consigliere regionale del contribuente.

2. Il ricorso è fondato.

Questa Corte, con riferimento alla Regione Marche, ma enunciando un principio di valenza generale, ha affermato che “In tema di imposte sui redditi, le trattenute obbligatorie operate sull’indennità di carica dei consiglieri regionali, in base alla L.Reg. Marche, 13 marzo 1995, n. 23, art. 3, comma 10, a titolo di contributo per la corresponsione dell’indennità di fine mandato, prevista dall’art. 9 medesima L. reg., devono essere assoggettate a tassazione, non potendo ad esse applicarsi la causa di esclusione di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 48, comma 20, lett. a), (relativa ai “contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge”) in quanto ad esse non può essere riconosciuta natura previdenziale, essendo finalizzate all’erogazione di un vitalizio che si differenzia dalle prestazioni di natura pensionistica, come risulta sia dal tenore letterale della disposizione, sia dai principi espressi dalla corte costituzionale con la pronuncia n. 289 del 1994 relativa all’assegno vitalizio in favore dei parlamentari sia infine alla qualificazione tributaria dell’indennità in quanto normativamente rientrante tra le indennità per cariche elettive” (Cass., sez. trib., 01-10-2010, n. 20538; nello stesso senso, Cass., sez. trib., 24-11-2010, n. 23793).

La natura non previdenziale dell’assegno vitalizio in questione è stata di recente ribadita dalle Sezioni Unite di questa Corte, pronunciatesi in sede di regolamento preventivo di giurisdizione (Cass. (ord.), sez. un., 20-07-2016, n. 14920). Si è, al riguardo, osservato che “l’assegno vitalizio previsto dalla legislazione regionale in favore del consigliere regionale dopo la cessazione del mandato non può essere assimilato alla pensione del pubblico dipendente: i consiglieri regionali non sono prestatori di lavoro, ma titolari di un munus previsto dalla Costituzione; il Consiglio regionale non è un datore di lavoro del consigliere regionale; l’investitura del consigliere regionale avviene per elezione e non consegue alla assunzione per pubblico concorso”. Le Sezioni Unite hanno inoltre rilevato che “la diversità tra assegno vitalizio e trattamento dí quiescenza costituisce un dato acquisito nella giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte. Il Giudice delle leggi ha chiarito, con la sentenza n. 289 del 1994, che tra la situazione del titolare di assegno vitalizio goduto in conseguenza della cessazione di una determinata carica e quella del titolare di pensione derivante da un rapporto di pubblico impiego “non sussiste… una identità nè di natura nè di regime giuridico, dal momento che l’assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi ad una indennità di carica goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico: indennità che, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego”.

3. Alla stregua degli enunciati principi, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

Poichè l’orientamento giurisprudenziale in materia si è consolidato dopo la pronuncia della sentenza impugnata, le spese dei gradi di merito sono compensate tra le parti. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

Compensa tra le parti le spese dei gradi di merito. Condanna il controricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2017

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