Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7630 del 24/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 24/03/2017, (ud. 17/11/2016, dep.24/03/2017),  n. 7630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 98-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.M. anche in proprio, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA OMBRONE 14, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FILIPPO

MARIA LA SCALA, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 85/2010 della COMM. TRIB. REG. della EMILIA

ROMAGNA, depositata il 18/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. ESPOSITO ANTONIO FRANCESCO;

udito per il ricorrente l’Avvocato COLELLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CAPUTI per delega verbale

dell’Avvocato LA SCALA che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emila Romagna, depositata il 18 ottobre 2010, che aveva confermato la pronuncia di primo grado con la quale era stato riconosciuto all’Avv. Prof. L.M. il diritto di rimborso dell’IRAP versata per gli anni dal 2004 al 2006.

Il giudice di appello ha, in particolare, rilevato che “il contribuente aveva documentalmente provato di svolgere la professione di avvocato senza l’impiego di beni strumentali eccedenti, per quantità e valore, il minimo comunemente ritenuto indispensabile per l’esercizio professionale, senza l’utilizzo di collaboratori e/o dipendenti, di talchè fa difetto il presupposto impositivo, che non può rapportarsi ad una elevata remunerazione dell’attività prettamente stragiudiziale”.

Resiste con controricorso il contribuente, che ha depositato successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni di improcedibilità e inammissibilità del ricorso formulate dal contribuente.

Questi deduce, anzitutto, la violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per omesso deposito da parte della ricorrente dei documenti sui quali il ricorso si fonda, non potendo a tale fine assumere rilievo il mero deposito dell’istanza ex art. 369 c.p.c., di trasmissione del fascicolo.

L’eccezione va disattesa, avendo l’Agenzia delle Entrate specificato di aver prodotto in primo grado (all. da 12 a 14) i quadri RE delle dichiarazioni dei redditi relative agli anni in contestazione, riproducendoli nel ricorso ed allegandoli allo stesso.

L’eccezione relativa alla dedotta insindacabilità dell’accertamento da parte della C.T.R. del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione è infondata, posto che l’apprezzamento di fatto del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità solo se congruamente motivato. Nella specie, come si vedrà in seguito, sussiste, invece, il vizio di motivazione dedotto dall’Ufficio.

2. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma “Le doglianze dell’Amministrazione appaiono ben articolate, pur se non condivisibili ed infondate, anche per essere state proposte soltanto in questo grado”. Sostiene la ricorrente che se con detta statuizione la C.T.R. avesse voluto riferirsi alla novità della questione prospettata in appello relativa alla disponibilità in capo al contribuente di più locali adibiti a studio professionale con allegazione dello stralcio degli studi di settore, la stessa sarebbe incorsa in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, essendosi l’Ufficio limitato ad allegare una circostanza documentata, senza formulare alcuna nuova eccezione.

Il motivo deve ritenersi inammissibile, in quanto espresso in forma dubitativa e meramente ipotetica.

3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Con il terzo motivo denuncia insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Con i due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, l’Ufficio lamenta che, pur essendo incontestato che il professionista disponesse di due studi in Bologna e di uno studio in Milano, nonchè che avesse, negli anni 2005 e 2006, sostenuto le spese e corrisposto i compensi indicati nei quadri RE prodotti in atti, la C.T.R. non aveva tenuto in considerazione tali elementi nel pervenire ad escludere la ricorrenza, nella specie, del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione.

Le doglianze sono fondate.

Preliminarmente, va escluso che nel presente giudizio possano assumere rilievo le sentenze favorevoli al contribuente emesse nell’ambito di altri procedimenti relativi ad anni di imposta diversi, anche ove fossero passate in giudicato. Difatti, l’effetto vincolante del giudicato esterno formatosi, con riguardo al medesimo tributo, in relazione ad un diverso periodo d’imposta è limitato ai soli casi concernenti fatti aventi, per legge, efficacia permanente o pluriennale, di guisa che l’efficacia espansiva del giudicato deve essere esclusa per fattispecie coinvolgenti qualificazioni giuridiche che possono variare di anno in anno (in termini, Cass. n. 4832/2015). Nella specie, pertanto, attesa la potenziale variabilità, da anno in anno, degli elementi su cui si fonda la valutazione relativa all’autonoma organizzazione del professionista, l’efficacia del giudicato di annullamento non può spiegare effetti in una controversia relativa al medesimo tributo, ma per annualità diverse.

La C.T.R. si è limitata a rilevare che “il contribuente aveva documentalmente provato di svolgere la professione di avvocato senza l’impiego di beni strumentali eccedenti, per quantità e valore, il minimo comunemente ritenuto indispensabile per l’esercizio professionale, senza l’utilizzo di collaboratori e/o dipendenti, di talchè fa difetto il presupposto impositivo, che non può rapportarsi ad una elevata remunerazione dell’attività prettamente stragiudiziale”.

Con tale motivazione, generica e priva di specifici riferimenti alla fattispecie concreta, la C.T.R. non ha espresso alcuna considerazione in merito alle specifiche deduzioni formulate dall’Agenzia delle Entrate, sia con riferimento ai tre studi professionali (due in Bologna ed uno in Milano) di cui aveva la disponibilità il contribuente ed alle caratteristiche e alle modalità di utilizzazione degli stessi, sia riguardo ai dati rivenienti dai quadri RE prodotti in atti, da cui risultava, in particolare: spese relative agli immobili, Euro 3.482,00 (anno 2005) ed Euro 3.482,00 (anno 2006); compensi corrisposti a terzi, Euro 10.571,00 (anno 2005) ed Euro 13.367,00 (anno 2006); spese per acquisto beni strumentali, Euro 11.278,00 (anno 2005) ed Euro 11.491,00 (anno 2006); canoni di locazione non finanziaria e/o noleggio, Euro 6.126,00 (anno 2005) ed Euro 6.167,00 (anno 2006); spese per consumi, Euro 1.333.00 (anno 2005) ed Euro 4.153,00 (anno 2006).

La motivazione della sentenza impugnata non consente, dunque, di individuare i fatti ritenuti giuridicamente rilevanti in ordine alla affermata insussistenza del presupposto impositivo dell’IRAP, avendo omesso la C.T.R. di argomentare in merito agli elementi addotti dall’Ufficio a sostegno della ricorrenza, nella fattispecie, del requisito dell’autonoma organizzazione, impedendo in tal modo il controllo sulla correttezza e logicità della decisione.

4. In conclusione, in accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso, dichiarata l’inammissibilità del primo, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla C.T.R. dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2017

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