Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 763 del 16/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 763 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

SENTENZA

sul ricorso 11395-2010 proposto da:
CONSORZIO INFORMAZIONI TURISTICHE ED ALBERGHIERE
(CONSORZIO ITA) 01159140480, in persona del suo
presidente pro tempore Sig. ALBERTO VITI,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE
FERRARI 4, presso lo studio dell’avvocato SIMEONE
GIULIO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato TESSARI PAOLO giusta delega in atti;
– ricorrente contro

GRANDI

STAZIONI

S.P.A.

05129581004,

in persona

Data pubblicazione: 16/01/2014

dell’Avv. GUIDO SANTOCONO nella sua qualità di
Responsabile della Funzione Affari Legali Societari e
.

Acquisti, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAllA

..

S.

ANDREA DELLA VALLE

6,

presso

lo

studio

dell’avvocato D’ERCOLE STEFANO, che la rappresenta e

controricorrente

avverso la sentenza n. 221/2009 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 10/03/2009, R.G.N. 87/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/11/2013 dal Consigliere Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
udito l’Avvocato NICOLA PALOMBI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

difende giusta delega in atti;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I fatti di causa rilevanti ai fini della decisione del ricorso
possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.
Con citazione notificata il 15 gennaio 2008 Grandi Stazioni
s.p.a. convenne innanzi alla Corte d’appello di Firenze C.I.T.A.

gravame avverso la sentenza del Tribunale che, dichiarata
l’inammissibilità

della

domanda

di

rilascio

proposta

dall’impugnante nei confronti del Consorzio per difetto di
legittimazione attiva dell’intimante, aveva conseguentemente
revocato l’ordinanza di rilascio.
Resistette l’appellato.
Con sentenza del 10 marzo 2009 il giudice adito, in riforma
della impugnata pronuncia, ha accolto la domanda, per l’effetto
dichiarando cessata la locazione alla data del 10 gennaio 2002 e
fissando il termine per il rilascio.
Nel motivare il suo convincimento il giudice di merito ha
rilevato:
a)

che, in forza della

convenzione in data 26 aprile 1999,

Ferrovie dello Stato s.p.a. aveva concesso a Grandi Stazioni
s.p.a. il diritto di godimento sui complessi immobiliari siti
all’interno delle stazioni, tra cui quello di Santa Maria
Novella, cedendole altresì i contratti di locazione relativi
agli stessi e prevedendo che, in caso di mancato consenso del
contraente ceduto, il gestore Grandi Stazioni avrebbe agito come
mandatario con rappresentanza di Ferrovie;

3

– Consorzio Informazioni Turistiche Alberghiere – proponendo

b) che siffatte pattuizioni erano state ulteriormente precisate
e ribadite nella successivo contratto in data 14 aprile 2000;
c) che, con l’intimazione di sfratto per finita locazione Grandi
Stazioni s.p.a. aveva dedotto di essere affidataria della
gestione dei locali commerciali di proprietà di Ferrovie dello

menzionati e specificando che,

richiamando i contratti testé

con raccomandata del 20 maggio 1999, Grandi Stazioni aveva
comunicato al Consorzio la cessione del contratto di locazione;
d) che, malgrado il riferimento alla cessione, doveva ritenersi
che Grandi Stazione, nella intimazione, avesse agito quale
gestore di Ferrovie dello Stato s.p.a, della quale aveva speso
il nome, piuttosto che quale locatore cessionario, e ciò tanto
più che neppure aveva dedotto che il Consorzio aveva accettato
la cessione, e dunque l’intervenuto perfezionamento della
stessa;
e) che, conseguentemente sussisteva la legittimazione attiva di
Grandi

Stazioni,

peraltro

risultando

provato

l’avvenuto

conferimento di un mandato con rappresentanza, da parte di
Ferrovie dello Stato, avente ad oggetto la gestione dei rapporti
con i conduttori degli immobili siti all’interno delle stazioni.

4

Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione ‘ Consorzio
Informazioni Turistiche e Alberghiere, formulando sette motivi.
Resiste con controricorso, illustrato anche da memoria, Grandi
Stazioni s.p.a.
MOTIVI DELLA DECISIONE

4

Stato siti nella stazione di Santa Maria Novella, segnatamente

1.1

Con il primo motivo l’impugnante lamenta mancanza,

insufficienza e contraddittorietà della motivazione in relazione
al punto controverso e decisivo della legittimazione attiva
della società attrice, posto che nell’intimazione di sfratto
giammai Grandi Stazioni s.p.a. aveva

speso il nome di Ferrovie

mandataria della stessa.
1.2

Con il secondo mezzo il ricorrente Consorzio deduce

violazione degli artt. 420, 426 e 437 cod. proc. civ.,

ex art.

360, n. 3, cod. proc. civ. per avere il decidente fondato la
propria valutazione in ordine alla domanda attrice,
esclusivamente sul contenuto dell’intimazione, laddove andavano
a tale fine considerate le conclusioni precisate e modificate
nella memoria integrativa ex art. 426 cod. proc. civ.,
confermate poi in sede di udienza di discussione.
Il vizio invalidante della sentenza impugnata sarebbe, secondo
l’esponente, irredimibile, avendo il decidente del tutto
ignorato che, a fronte dell’eccepito difetto di legittimazione
attiva, Grandi Stazione aveva ribadito di agire in proprio,
quale cessionaria del contratto.
Aggiunge che, del resto, gravando di appello la sentenza di
prime cure che aveva rigettato la domanda in ragione della
mancanza di prova della allegata cessione del contratto, Grandi
Stazioni aveva segnatamente confutato tale valutazione,
insistendo sulla esaustività della prova della intervenuta
cessione.

5

dello Stato, né aveva affermato di agire nel processo quale

Formula il seguente quesito: se nel determinare e interpretare
il contenuto della domanda proposta da una parte in un giudizio
iniziato con intimazione per convalida di sfratto per finita
locazione, e proseguita con opposizione tardiva,

ex

art. 668

cod. proc. civ., il giudice debba esaminare solo il contenuto

successiva comparsa di risposta del giudizio di opposizione
tardiva e la memoria integrativa

ex art. 426 cod. proc. civ.,

depositate da tale parte in quel giudizio, benché queste ultime
contengano conclusioni parzialmente difformi rispetto alla
originaria intimazione.
1.3 Con il terzo motivo l’impugnante denuncia violazione degli

artt. 2909 cod. civ., 346, 324, 429 e 431 cod. proc. civ., 12
disp. att. cod. civ., nonché dei principi in materia di
giudicato interno.
La sentenza di prime cure – assume – aveva inequivocabilmente
stabilito che Grandi Stazioni s.p.a. aveva agito in nome
proprio, e non quale gestore o mandatario di Ferrovie dello
Stato e tale decisione non impugnata, era diventata
irretrattabile. Conseguentemente, nel qualificare diversamente
la domanda, la Corte d’appello aveva violato il giudicato già
formatosi sul punto.
Il motivo si conclude con il seguente quesito: se è lecito per
il giudice di appello, laddove la sentenza di primo grado abbia
qualificato la domanda di una parte come proposta in proprio e
il punto non sia stato fatto oggetto di gravame, accogliere tale

6

dell’originaria intimazione per convalida e non (anche) la

domanda sul presupposto che sia stata proposta da tale parte non
in proprio ma quale mandataria con rappresentanza di altro
soggetto.
2 Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente

per la loro evidente connessione, non colgono nel segno.

pronuncia (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio
2009) – è soggetto, in forza del combinato disposto di cui
all’art. 27, comma 2, del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e
all’art. 58 della legge 18 giugno 2009, n. 69, alla disciplina

Va premesso che il ricorso – avuto riguardo alla data della

(.1

di cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg., come modificati
per effetto del menzionato d.lgs. n. 40 del 2006.
Ad esso si applica pertanto l’art. 366

bis

cod. proc. civ.,

attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare ultraattività a tale norma, anche dopo la sua formale abrogazione
(per tutte, v. espressamente Cass. civ. 27 gennaio 2012, n.
1194).
3

Ora, con riguardo ai motivi con i quali si denunciano vizi

motivazionali, il secondo periodo dell’articolo 366
proc. civ. prevede che il ricorrente formuli un c.d.
di fatto,

bis

cod.

quesito

che indichi cioè, in modo sintetico, evidente e

autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione
si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le
quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende
inidonea a giustificare la decisione.

7

Sebbene vi sia stata qualche isolata pronuncia che ha ritenuto
sufficiente un’illustrazione che, libera da rigidità formali, si
concretizzi tuttavia in una esposizione chiara del fatto
controverso o delle ragioni di inidoneità della motivazione
(confr. Cass. civ. n. 4556 del 2009), la giurisprudenza di

della disposizione processuale richiamata esige un

quid pluris,

e cioè la formulazione di uno specifico passaggio espositivo del
ricorso nel quale tutto ciò risalti in modo non equivoco. Tale
requisito – si è affermato non può ritenersi osservato
allorquando solo la completa lettura della illustrazione del
motivo, all’esito di una interpretazione svolta dal lettore,
anziché su indicazione della parte ricorrente, consenta di
comprendere il contenuto e il significato delle censure, stante
le esigenze deflattive sottese alla formulazione dell’art. 366bis cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 14 marzo 2013, n. 6549).
4 Venendo al caso di specie, le critiche formulate nel primo
motivo, che attengono a pretesi vizi dell’iter argomentativo con
il quale il giudice di merito ha dato conto del suo
convincimento, non mettono capo a quel momento di sintesi,
omologo del quesito di diritto, richiesto dall’art. 366 bis cod.
proc. civ., nella interpretazione ormai assurta a diritto
vivente, elemento che – come testé evidenziato – deve essere
separatamente indicato in una parte del ricorso a ciò
specificamente deputata.

8

questa Corte si è ormai consolidata nel senso che il rispetto

Ne deriva che il mezzo non supera, già sotto questo profilo, il
preventivo vaglio di ammissibilità.
5 Ma lo scrutinio nel merito delle censure in esame è precluso

anche per un ulteriore ordine di considerazioni.
Ciò di cui l’impugnante si duole, attraverso ampi e ripetuti

abbia fondato la sua scelta decisoria su una costruzione
giuridica mai prospettata dalla società attrice, riconoscendole
d’ufficio la qualifica di gestore in nome e per conto di
Ferrovie dello Stato s.p.a., in assenza, e anzi

contro

l’impostazione difensiva di Grandi Stazioni s.p.a.
Ma l’allegazione della assoluta novità, rispetto al tenore degli
scritti di parte
documentazione

si badi bene,

e non,

del

prodotta

della sola

riconoscimento

della

legittimazione dell’intimante quale mandataria con
rappresentanza del locatore, andava censurata come violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., ovvero del principio del
contraddittorio, in ragione della sua estraneità al dibattito
processuale (confr. Cass. civ. 9 giugno 2008, n. 15194), laddove
del tutto incongruo è sia l’evocazione di un preteso giudicato
formatosi sul punto, in contrasto, a tacer d’altro, con la
dedotta spendita, in via esclusiva, della qualifica di
cessionaria del

contratto,

pervicacemente

ribadita dalla

ricorrente, sia il confuso richiamo alle regole del rito
locatizio, posto che l’arbitrio interpretativo del giudice di

9

richiami agli atti del giudizio, è che il giudice di merito

merito non avrebbe alcun nesso con la loro osservanza o con il
loro malgoverno.
6

La genericità e l’inadeguatezza delle doglianze trovano un

puntuale riscontro nella assoluta astrattezza e inconferenza dei
quesiti di diritto, eccentrici sia rispetto alle argomentate

contenuto delle critiche, laddove, in un sistema processuale che
già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della
violazione denunciata, la peculiarità del disposto dell’art. 366
bis, prima parte, cod. proc. civ., consiste nell’imposizione, al
patrocinante che materialmente redige l’atto, di una sintesi
originale ed autosufficiente della censura, funzionalizzata alla
formulazione immediata e diretta del principio di diritto che si
chiede alla Corte di affermare e, quindi, al miglior esercizio
della funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità
(Cass. civ. ord. 24 luglio 2008, n.20409 e più di recente Cass.
civ. 5 luglio 2011, n. 14771). Una formulazione del quesito di
diritto idonea alla sua funzione richiede allora che, con
riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di
ricorso, la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti
di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice
lo ha deciso, esprima il diverso principio di diritto sulla cui
base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, con la
conseguenza che all’ipotesi in cui manchi il quesito va
assimilata quella in cui il quesito sia inconferente ovvero si

10

ragioni della decisione, che ai rilievi svolti per illustrare il

risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto
(Cass. civ., Sez. Unite, 11 marzo 2008, n.6420).
7 Si prestano a essere esaminati congiuntamente i successivi tre

motivi di ricorso.
Con essi l’esponente deduce violazione degli artt. 2909 cod.

ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché vizi motivazionali,
con riferimento alla sentenza n. 1737/2004, resa

inter partes

dal Tribunale di Firenze, ormai passata in giudicato.
Oggetto delle critiche è l’affermazione del giudice di merito
secondo cui tale pronuncia, sicuramente non più contestabile,
non poteva paralizzare la domanda dell’intimante, posto che essa
non conteneva alcun accertamento di merito in ordine al rapporto
giuridico dedotto in giudizio e al diritto controverso, avendo
definito la causa per difetto di valida procura alle liti ed
essendo del tutto irrilevante che in dispositivo il giudice
avesse rigettato la pretesa attrice.
Così argomentando – sostiene l’impugnante – il decidente aveva
quanto meno integrato dispositivo e motivazione, disattendendo
le affermazioni della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ.
n. 11336 del 1998). In ogni caso – aggiunge – anche a volere
integrare dispositivo e motivazione, l’eccezione di giudicato
era nondimeno fondata, considerato che il decidente aveva
ritenuto assorbente il rilievo del difetto di procura, rispetto
a tutte le altre eccezioni sollevate.
8 Le censure non hanno pregio.

1 11

civ., 324, 429 e 431 cod. proc. civ., 12 disp. att. cod. civ.,

Nel processo civile, la statuizione su una questione di rito,
dando luogo soltanto al giudicato formale, ha effetto limitato
al rapporto processuale nel cui ambito è emanata e, non essendo
idonea a produrre gli effetti del giudicato in senso
sostanziale, non preclude la riproposizione della domanda in

In particolare l’irregolarità nell’introduzione di un giudizio,
sanzionata dall’ordinamento con l’invalidità ostativa ad una
pronunzia nel merito, non è vizio che attenga all’esistenza dei
presupposti di un diritto o delle condizioni di una azione, di
talché, in caso di declaratoria di inammissibilità di una
domanda per vizio nella sua introduzione o notificazione, o
comunque di rigetto della stessa per ragioni di

rito,

conseguente mancanza di pronunzia nel merito,

la parte

con

interessata può impugnare in sede di gravame tale statuizione
ovvero coltivare la domanda in separato giudizio, posto che la
rinunzia implicita alla pretesa,

correlabile al mancato

esperimento del gravame, ha valore meramente processuale e non
sostanziale. In ogni caso, una volta riproposta la domanda, non
può essere fondatamente opposta la preclusione del giudicato,
non essendo stata adottata alcuna statuizione sul merito della
pretesa azionata (confr. Cass. civ. 4 giugno 2010, n. 13614).
Ne deriva che non giova all’esponente il rilievo che in
dispositivo il decidente abbia fatto uso di una formula – quella
di

rigetto

all’accertata

più

a una pronuncia correlata

consona

inesistenza

delle

12

condizioni

dell’azione

o

altro giudizio (confr. Cass. civ. 11 maggio 2012, n. 7303).

all’accertata fondatezza di eccezioni preclusive al suo
accoglimento, perché la maggiore o minore congruità delle
espressioni prescelte dal decidente non intacca il carattere
meramente processuale della sua statuizione.
9 In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato,

formulate nei primi cinque motivi, l’esame di quelle svolte
nell’ultimo, con le quali, denunciandosi violazione degli artt.
91 e 92 cod. proc. civ.,

ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,

l’impugnante prospetta che l’accoglimento del ricorso travolgerà
anche la regolazione degli oneri economici del processo di
merito.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 3.000,00
(di cui euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per
legge.
Roma, 22 novembre 2013
Il Consigliere est.

a

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OAAACMik

ente

restando assorbito, nella negativa valutazione delle critiche

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