Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7628 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 18/03/2021, (ud. 02/10/2020, dep. 18/03/2021), n.7628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. est. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

G.M., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in

calce al ricorso, dall’Avv.to Girolamo De Rada, del Foro di Pavia,

che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliato presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

Avverso sentenza n. 109, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia il 10.7.2013 e pubblicata l’11.7.2013;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio;

la Corte osserva.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

a seguito di invio di questionario informativo, che provvedeva a compilare e trasmettere all’Ente impositore, G.M. riceveva dall’Agenzia delle Entrate, che aveva proceduto alla quantificazione del reddito mediante stima sulla base degli indici di capacità contributiva, gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), relativi a maggior reddito IRPEF per il valore di Euro 136.188,73 in relazione all’anno 2006, ed Euro 113.476,37, in riferimento all’anno 2007.

Il contribuente impugnava gli atti impositivi innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pavia, che li annullava ritenendo che il G. avesse fornito la prova della elevata capacità di spesa del proprio nucleo familiare.

La decisione assunta dalla CTP era gravata di appello dall’Ente impositore, dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia. La CTR accoglieva l’impugnativa dell’Agenzia delle Entrate ed affermava la piena legittimità degli avvisi di accertamento. In sintesi, rilevato che la moglie non aveva presentato alcuna denuncia dei redditi, osservava il giudice dell’appello che il nucleo familiare del contribuente disponeva di quattro immobili ed auto di lusso (BMW serie 5, AUDI 2), oltre ad aver acquistato una Mini Cooper, proprio nell’anno 2007, per l’importo di Euro 26.000,00, ed aveva sostenuto spese, anche di investimento, per diverse decine di migliaia di Euro, sebbene avesse dichiarato, per l’anno 2006, un reddito di Euro 7.069,00, e per l’anno 2007 un reddito di Euro 41.568,00. La movimentazione dei conti correnti, in particolare, ammontava a centinaia di migliaia di Euro per ciascun anno, rivelando la “straordinaria capacità di spesa del contribuente, non risultante dalle dichiarazioni dei redditi, che si è estrinsecata non solo negli incrementi patrimoniali… ma anche nell’acquisto e mantenimento dei beni elencati negli avvisi” (sent. CTR, p. 3). Il giudice dell’appello affermava pertanto la ricorrenza dei presupposti di legge in materia di accertamento sintetico del reddito, e la legittimità degli avvisi di accertamento notificati al contribuente.

Avverso la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano ha proposto ricorso per cassazione G.M., affidandosi a quattro motivi d’impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il suo primo motivo di ricorso il contribuente contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione, da parte dell’impugnata CTR, della previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, nella formula vigente “ratione temporis”, a causa dell'”assoluta mancanza/omissione di qualsivoglia fase di contraddittorio preventivo con il contribuente” (ric., p. 3).

1.2. – Mediante il suo secondo motivo di impugnazione il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il vizio in cui è incorsa la CTR nella sua decisione, per aver trascurato che la legge richiede al contribuente di provare soltanto la propria maggiore disponibilità economica derivante da redditi esenti o assoggettati a ritenuta alla fonte, e non anche “quale specifico reddito sia stato utilizzato per finanziare ogni singolo incremento patrimoniale” (ric., p. 9).

1.3. – Con il suo terzo mezzo di gravame l’impugnante critica, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di “omessa motivazione circa un fatto controverso ed assolutamente decisivo ai fini del presente giudizio” (ric., p. 12), rappresentato dalla circostanza che a fronte delle presunzioni allegate dall’Ente impositore, il contribuente ha replicato fornendo ulteriori elementi presuntivi di carattere contrario, che non sono stati stimati e posti in comparazione dalla CTR.

1.4. – Mediante il suo quarto motivo di impugnazione il contribuente contesta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, il vizio di “contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e senz’altro decisivo ai fini del presente giudizio” (ric., p. 15), avendo riconosciuto la presenza di incongruenze ed errori contenuti negli avvisi di accertamento, ma senza poi tenerne alcun conto, avendo integralmente confermato i criticati avvisi di accertamento.

2.1. – Mediante il suo primo motivo di impugnazione, il contribuente critica la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la CTR, per non aver dichiarato la nullità di entrambi gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei suoi confronti, sebbene l’Ente impositore non avesse istituito il doveroso contraddittorio preventivo.

La problematica è stata ripetutamente esaminata da questa Corte di legittimità, risultando ormai consolidato un orientamento condivisibile e pertanto meritevole di essere confermato. E’ stato infatti chiarito, a Sezioni Unite, che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, … esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito”, Cass. S.U., 9.12.2015, n. 24823. Nel caso di specie la ricorrenza di una simile previsione non può desumersi dalle espressioni utilizzate dal legislatore al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, dove, nella formula vigente ratione temporis si legge che “Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte…”, perchè la norma riconosce al contribuente una facoltà di allegazione, lungi dall’imporre un onere di instaurazione del contraddittorio preventivo all’Amministrazione finanziaria. Questa Corte ha già avuto occasione di specificare, in proposito, che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale”, Cass. sez. VI-V, 31.5.2016, n. 11283.

Il primo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve essere rigettato.

2.2. – Con il suo secondo motivo di ricorso il contribuente critica la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la impugnata CTR, per aver ritenuto che al fine di difendersi da un accertamento sintetico il contribuente deve non solo dimostrare la propria maggiore disponibilità economica, rispetto a quanto emergente dalle dichiarazioni dei redditi, provando che la stessa dipende dalla titolarità di redditi esenti o assoggettati da ritenuta alla fonte, ma pure che le spese sostenute nell’anno di imposta siano state finanziate proprio mediante quei redditi.

La contestazione proposta dal contribuente muove da una lettura parziale della decisione impugnata. La CTR scrive, contrastando gli argomenti addotti dal giudice di primo grado, che “il contribuente non ha dato prova dei mezzi con i quali ha effettuato gli incrementi patrimoniali a lui indirettamente riferibili, in quanto cointestati alla di lui moglie”, che non ha dichiarato alcun reddito, e “non ha dato prova di aver percepito ‘i frutti – al netto delle ritenutè come dice la sentenza impugnata, la cui misura non è stata specificata, neppure con riferimento alla moglie” (sent. CTR, p. 3). Il ricorrente intende queste parole come l’affermazione, da parte del giudice dell’appello, dell’esistenza di un obbligo del contribuente di dimostrare la provenienza della provvista in relazione ad ogni singola spesa sostenuta nell’anno. Nel caso di specie, però, le ricordate affermazioni della CTR appare corretto siano lette nel senso che il contribuente non ha assicurato prova che le spese sostenute nell’anno abbiano raggiunto un importo non superiore ai redditi esenti o assoggettati da ritenuta alla fonte che il G. ha percepito nell’anno. Il contribuente non coglie questa decisiva ratio decidendi adottata dalla CTR, ed infatti neppure cerca di indicare in qual modo abbia provato l’ammontare dei redditi esenti o assoggettati alla fonte che ha percepito nelle annualità d’imposta, limitandosi, peraltro nell’illustrare altro motivo di ricorso, ad affermare apoditticamente di aver “documentato una serie di ulteriori redditi (esenti e/o soggetti a ritenute alla fonte)” (ric., p. 14), senza provvedere ad indicare come abbia provato quali essi siano, e nemmeno il loro ammontare.

Anche il secondo motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato.

2.3. – 2.4. – Con il suo terzo e quarto motivo di ricorso il contribuente critica la decisione adottata dall’impugnata CTR in relazione al vizio di motivazione. Le censure risultano inammissibili, perchè sono esposte sul fondamento di una formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non più applicabile all’epoca in cui il ricorso è stato proposto (sent. CTR dep. 11.7.2013). In base alla vigente formulazione della norma, infatti, non è più consentita la contestazione di una motivazione omessa, quando tanto non si risolva in una mancata pronuncia su di una specifica domanda, e neppure di una motivazione contraddittoria, bensì la contestazione di una motivazione omessa circa un fatto decisivo “che sia stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il ricorso introdotto da G.M. deve essere pertanto rigettato. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo, risultando dovuto anche il c.d. raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso proposto da G.M., e lo condanna al pagamento, in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate, delle spese di lite del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà, atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

 

 

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