Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7626 del 18/03/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/03/2019, (ud. 12/12/2018, dep. 18/03/2019), n.7626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29207-2017 proposto da:

GAR.PA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MELORIA 52, presso lo

studio dell’avvocato GENNARO IMPROTA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SARA ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28,

presso lo studio dell’avvocato ROSARIO LIVIO ALESSI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati GAETANO ALESSI,

ARMANDO BELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7541/2017 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 29/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO

COSENTINO.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

La società GAR.PA. S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza con cui il tribunale di Napoli, riformando la sentenza di primo grado del giudice di pace della stessa città, ha rigettato la domanda da lei proposta nei confronti della società Sara Assicurazioni s.p.a. per il pagamento del corrispettivo dell’attività svolta, su incarico di quest’ultima, quale perito assicurativo nella gestione di un sinistro stradale.

Il tribunale ha ritenuto che la domanda della società GAR.PA. fosse improcedibile, per avere l’attrice operato un abusivo frazionamento del proprio credito nei confronti della compagnia di assicurazioni. Al riguardo nella sentenza gravata si argomenta che la Sara Assicurazioni aveva documentato come l’odierna ricorrente avesse proposto nei suoi confronti centinaia di azioni contenenti la richiesta di condanna al pagamento di somme, nascenti tutte dello stesso rapporto con identico petitum ed identica causa petendi, tutte aventi ad oggetto prestazioni esauritesi in epoca precedente al momento della proposizione del primo atto di citazione.

La causa è stata chiamata, all’adunanza di camera di consiglio del 12 dicembre 2018, per la quale entrambe le parti hanno depositato una memoria.

Con il primo mezzo di ricorso, riferito al vizio di violazione di legge (in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c. e art. 111 Cost.), si attinge l’affermazione dell’impugnata sentenza secondo cui l’instaurazione di un giudizio per il pagamento delle prestazioni relative ad ogni singolo incarico eseguito dall’odierna ricorrente costituirebbe parcellizzazione del credito, lesiva dei principi di correttezza e buona fede; al riguardo la ricorrente argomenta come gli incarichi relativi alle perizie per i diversi sinistri automobilistici fossero distinti ed autonomi, in quanto ciascuno di essi si fondava su un autonomo affidamento della compagnia assicuratrice, aveva ad oggetto un sinistro diverso ed implicava lo svolgimento di attività distinte.

Il motivo è infondato. Dall’impugnata sentenza emerge infatti – sulla scorta di un giudizio che ha natura di giudizio di fatto e, pertanto, non è censurabile sotto il profilo del vizio di violazione di legge, dedotto nel motivo in esame – che “le singole attività professionali dovevano considerarsi un’entità unitaria che, seppur divisibile in diversi momenti, restava, in concreto, passibile di essere considerata globalmente e riconducibile ad un unico originario contratto d’opera” (pag. 4 quattro, terz’ultimo capoverso, della sentenza).

La fattispecie, per come ricostruito dal tribunale, era dunque riconducibile alla situazione – nella quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’introduzione di una pluralità di giudizi autonomi può ritenersi legittima solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata – della pluralità di pretese creditorie che, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale (cfr. Cass. 31012/17, Cass. 20714/18).

Con il secondo e il terzo mezzo si lamenta l’omessa prospettazione alle parti della questione, rilevata di ufficio, della (mancanza di) interesse della GAR.PA. alla tutela processuale frazionata. I due motivi vanno trattati congiuntamente perchè propongono la medesima doglianza, sotto i diversi profili dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (nel secondo motivo, riferito al vizio di violazione di legge in relazione all’art. 101, comma 2, e art. 183 c.p.c.) e dell’art. 360 c.p.c., n. 4, (nel terzo motivo, concernente la nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio).

Entrambi tali motivi vanno giudicati infondati, perchè la questione della illegittimità del frazionamento del credito – che apparteneva all’oggetto del processo fin dal primo grado, per essere stata dedotta tra le difese svolte nella comparsa di costituzione della società assicuratrice davanti al giudice di pace (si veda la narrativa del processo svolta a pag. 3 della sentenza, in particolare il terzo capoverso) – implicava, specularmente, quella della (in)sussistenza di un interesse del creditore alla tutela processuale frazionata; la questione di tale (in)sussistenza non può dunque ritenersi rilevata di ufficio, essendo implicita nella eccezione di improcedibilità della domanda per frazionamento del credito.

Con il quarto motivo, riferito alla violazione dell’art. 342 c.p.c., la società ricorrente censura la statuizione dell’impugnata sentenza che ha ritenuto ammissibile l’appello della compagnia assicuratrice nonostante che nel medesimo mancasse l’indicazione delle parti della sentenza di primo grado da modificare e delle modifiche da apportare.

Il motivo va giudicato infondato perchè, come questa Corte ha già chiarito (SSUU 27199/17), ai fini dell’ammissibilità dell’appello non occorre l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

In definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 500, oltre Euro 100 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019

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