Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7624 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. III, 30/03/2010, (ud. 26/01/2010, dep. 30/03/2010), n.7624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. AMTUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27760/2005 proposto da:

C.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE SANTO

10-A, presso lo studio dell’avvocato CIGNITTI Antonio, che la

rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BURZACCHI SRL;

– intimata –

sul ricorso 287/2006 proposto da:

BURZACCHI SRL in persona del suo amministratore pro tempore, Sig.

B.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.M.

LANCISI 31, presso lo studio dell’avvocato INGLESE CARLO LEONE, che

la rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrente –

e contro

C.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 9196/2005 del TRIBUNALE di ROMA, Sezione Terza

Civile, emessa il 21/4/2005, depositata il 22/04/2005, R.G.N.

87653/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/01/2010 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato ANTONIO CIGNITTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto 10 febbraio 2001 il giudice di pace di Roma ha ingiunto a C.N. il pagamento, in favore della Burzacchi s.r.l., della somma di L. 4.183.419, reclamata dalla creditrice per forniture di materiale medico odontoiatrico analiticamente descritte nelle fatture allegate al ricorso.

Con atto 23 maggio 2001 la C. ha proposto opposizione innanzi al giudice di pace di Roma avverso il descritto decreto chiedendo – in via principale – la revoca del provvedimento monitorio opposto e – in via subordinata – la condanna della società opposta al pagamento della differenza versata in suo favore da essa concludente.

Costituitasi in giudizio la BURZACCHI s.r.l. ha fatto presente che il proprio credito era pari a L. 3.650.858 e ha chiesto, per l’effetto, la condanna della opponente al pagamento di tale somma oltre interessi legali dal 2 luglio 1996.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito giudice con sentenza 22 settembre 2002 ha revocato il decreto opposto con condanna della opposta al pagamento delle spese del grado.

Gravata tale pronunzia dalla soccombente BURZACCHI s.r.l., nel contraddittorio della C. che – costituitasi in giudizio anche in grado di appello – ha chiesto il rigetto della avversa impugnazione, il tribunale di Roma, con sentenza 21 aprile – 22 aprile 2005, in parziale riforma della sentenza del primo giudice, confermata la revoca del decreto opposto (già disposta dal giudice di pace), ha condannato C.N. al pagamento in favore dell’appellante BURZACCHI s.r.l., della somma di Euro 812,60, oltre interessi legali dalle scadenze delle fatture più antiche rimaste non pagate, dell’anno 1994 e 1996, portate dal ricorso monitorio, compensate le spese di entrambi i gradi del giudizio.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 22 settembre 2005, ha proposto ricorso, affidato a 4 motivi C. N., con atto 7 novembre 2005.

Resiste, con controricorso e ricorso incidentale, affidato a due motivi e illustrato da memoria la BURZACCHI s.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. Ha accertato, in linea di fato, il giudice di secondo grado:

– il ricorso monitorio riguardava l’importo di L. 4.173.22 portato da dodici fatture, tutte corredate dalle rispettive bolle di consegna;

– con l’atto di opposizione l’opponente, da un lato, ha fatto presente di avere pagato quattro delle dodici fatture, dall’altro, di avere versato altre L. 2 milioni, da ultimo, di non essere tenuta al pagamento di una delle residue fatture (la n. (OMISSIS)) perchè relativa non a un proprio acquisto e chiesto, in via riconvenzionale subordinata, la restituzione di quanto versato in eccedenza;

– con la comparsa di risposta in primo grado la Burzacchi s.r.l., ha fatto presente che per errore materiale l’importo del proprio credito era stato indicato in una somma inconferente, essendo il proprio credito pari a L. 3.650.858;

– ha prodotto, in particolare, nella detta occasione, la Burzacchi s.r.l. nove nuove fatture e un estratto conto dal quale risultava un credito complessivo – tenuta presenti cioè anche gli importi portati dalle nuove fatture – di L. 3.650.858, di cui ha chiesto il pagamento.

Preso atto di quanto sopra i giudici di appello hanno – in limine – evidenziato che solo il credito relativo alle fatture indicate e prodotte con il ricorso monitorio fa parte del giudizio di opposizione, perchè quello relativo all’importo solo successivamente allegato, e portato dalle nuove fatture prodotte solo in fase di opposizione, costituisce un inammissibile ampliamento dell’oggetto del giudizio.

2. La ricorrente incidentale censura con entrambi i motivi proposti – che per considerazione d’ordine logico devono esaminarsi con precedenza, rispetto ai motivi svolti con il ricorso principale – la sentenza gravata nella parte de qua lamentando, nell’ordine:

– da un lato, vizio di omessa pronuncia su un motivo di appello in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, atteso che – come già dedotto nell’atto di appello – avendo la opposta dimostrato la esistenza di un rapporto di conto corrente tra le parti, il credito risultante a saldo si risolveva in un mero accertamento contabile che poteva e doveva essere compiuto dal giudice anche d’ufficio primo motivo;

– dall’altro, vizio di interpretazione della domanda in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, non avendo considerato i giudici di appello, tenuta presente quella che era la chiara intenzione della creditrice (ottenere il saldo del proprio credito) che essa concludente era incorsa in un palese errore materiale nell’omettere di fare menzione nel ricorso per decreto ingiuntivo di tutte le fatture non pagate dell’anno 1995 secondo motivo.

3. Nessuno dei riassunti motivi può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

3.1. Quanto al primo motivo la denunziata “omessa pronunzia” palesemente non sussiste.

In tanto, infatti, il giudice, poteva accertare – eventualmente d’ufficio – il “saldo” dei movimenti di dare e avere tra la C. e la BURZACCHI s.r.l. per gli acquisti, da parte della prima di beni commercializzati dalla seconda, tenuti presenti i pagamenti in acconto e a saldo eseguiti dalla stessa C., in quanto, nel rispetto delle regole del contraddittorio, la creditrice BURZACCHI s.r.l. avesse dimostrato le “voci” a proprio credito (cioè le forniture eseguite).

Alla luce della giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, richiamata dalla difesa della ricorrente incidentale, infatti, l’istituto della compensazione presuppone l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, mentre è configurabile la cosiddetta compensazione impropria allorchè i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere e a ciò il giudice può procedere senza che sia necessaria l’eccezione di parte o la proposizione di domanda riconvenzionale (cfr., oltre le pronunce richiamate in ricorso, da ultimo, Cass. 25 novembre 2002, n. 16561, nonchè Cass. 5 dicembre 2008, n. 28855).

Certo quanto precede, osserva la Corte – contrariamente a quanto suppone la difesa della ricorrente incidentale – che la giurisprudenza sopra richiamata non deroga ai principi informatori che caratterizzano il vigente ordinamento processuale e, in particolare, al principio dispositivo (art. 99 c.p.c.)” a quello dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) e del contraddittorio (art. 101 c.p.c.).

In altri termini la circostanza che il giudice – in presenza di crediti/debiti nascenti da uno stesso rapporto – possa dichiarare – anche in assenza di una e-spressa eccezione o di una domanda riconvenzionale – la compensazione dei crediti hinc-inde dedotti, non attribuisce al giudice stesso poteri di indagine, ex officio, quanto all’esistenza dei rispettivi crediti, nè – tanto meno – esonera la parte interessata dall’onere di allegazione e dimostrazione delle rispettive voci di credito, nel rispetto del principio del contraddittorio.

Nella specie il giudice di primo grado – come quello di appello – hanno escluso di poter estendere la propria indagine agli ulteriori crediti reclamati dalla BURZACCHI s.r.l. solo in corso di causa sul rilievo – assorbente – che il tema di indagine era circoscritto ai crediti fatti valere dalla creditrice (BURZACCHI s.r.l.) con il decreto ingiuntivo.

Certo quanto sopra è palese che la denunziata violazione dell’art. 112 c.p.c., da parte del giudice di appello – per non avere esaminato un tema della controversia i presunti crediti risultanti da fatture diverse da quelle invocate nel ricorso per decreto ingiuntivo non sussiste, non appartenendo tale aspetto della controversia inammissibilmente introdotto in causa nel giudizio di primo grado al thema decidendum.

3.2. Il secondo motivo di ricorso è, per un verso, inammissibile, per altro, manifestamente infondato.

3.2.1. Come assolutamente pacifico, la interpretazione della domanda giudiziale è rimessa al giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità se non nei limiti del vizio di motivazione (Cass. 5 ottobre 2009, n. 21228).

Certo quanto sopra, si osserva che il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non può, invece, essere inteso – come ora pretende il ricorrente incidentale – a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggetto della parte e, in particolare, non si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (cfr. Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087, Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087, specie in motivazione, nonchè Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 6 settembre 2007, n. 18709; Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

Pacifico quanto precede, è di palmare evidenza che nella specie la difesa della ricorrente incidentale lungi dal formulare censure, nei confronti della sentenza impugnata, rilevanti sotto i sopradescritti aspetti, si limita a opporre – alla lettura data dai giudici del merito alla domanda formulata con il ricorso per decreto ingiuntivo – una propria, assolutamente soggettiva e in contrasto con lo stesso tenore letterale degli scritti di causa, interpretazione dello stesso documento.

3.2.2. Anche a prescindere da quanto precede – comunque – come anticipato, la deduzione è manifestamente infondata.

Nella specie, infatti, i giudici del merito – nel negare che la opposta BURZACCHI s.r.l. potesse far valere, in sede di comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da controparte, ragioni di credito diverse da quelle azionate nel ricorso – hanno fatto puntuale applicazione di principi di diritto assolutamente incontroversi nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice.

Come pacifico, in particolare, nel giudizio di cognizione introdotto dall’opposizione a decreto ingiuntivo solo l’opponente, in virtù della sua posizione sostanziale di convenuto, è legittimato a proporre domande riconvenzionali, e non anche l’opposto, che incorrerebbe, ove le avanzasse, nel divieto (la cui violazione è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità) di formulazione di domande nuove, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale proposta dall’opponente, la parte opposta venga a trovarsi, a sua volta, nella posizione processuale di convenuta (cfr.

Cass. 3 marzo 2009, n. 5071; Cass. 5 giugno 2007, n. 13086; Cass. 17 settembre 2004, n. 18767).

Irrilevante, al fine di ritenere che nella specie facevano difetto le condizioni per fare applicazione dei ricordati principi è la circostanza che, in realtà, il difensore della BURZACCHI s.r.l. era incorso – nella redazione del ricorso per decreto ingiuntivo – in un errore materiale.

E’ palese, infatti, che in tanto, può invocarsi la esistenza di un errore materiale in quanto questo sia agevolmente riconoscibile, cioè immediatamente percettibile come tale, dai destinatari dello scritto (id est il giudice e la controparte) (cfr. Cass. 11 giugno 2009, n. 13528; Cass. 9 maggio 2007, n. 1053) e nella specie è palese che detta riconoscibilità del presunto errore non sussisteva.

In realtà, era onere della BURZACCHI s.r.l., preso atto – eventualmente dopo la notifica dell’atto di opposizione a ingiunzione della C. – di avere azionato crediti già estinti dalla debitrice, promuovere un nuovo – autonomo – giudizio e non pretendere di introdurre in questo, in violazione del principio del con- traddittorio, nuove ragioni di credito.

4. Come riferito sopra, il giudice di appello, pur confermando la revoca dell’opposto decreto ha condannato la C. al pagamento del saldo della fattura n. (OMISSIS) pari a Euro 812,60.

Il giudice a quo è pervenuto alla conclusione che “anche l’importo della fattura n. (OMISSIS) va conteggiato fra i crediti della BURZACCHI s.r.l.”, invocando una molteplicità di argomenti.

Ha precisato, infatti, quel giudice “sia l’estratto autentico delle scritture contabili ex art. 2710 c.c., sia la emissione della fattura medesima a norme della odierna appellata senza alcuna contestazione tempestiva, sia, infine, la sottoscrizione del conducente in calce alla bolla di consegna (per gli effetti dell’art. 1510 c.c.) inducono a tale conclusione”.

5. La ricorrente principale censura nella parte de qua la sentenza impugnata con i primi tre motivi del proprio ricorso con i quali denunzia nell’ordine:

– da un lato “violazione e falsa applicazione di norma di diritto in relazione alla fattura n. (OMISSIS) per errata interpretazione dell’art. 2710 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, per avere il giudice a quo affermato che l’estratto autentico delle scritture contabile ex art. 2710 c.c., induce a ritenere che la C. abbia ricevuto i materiali descritti nella fattura stessa (primo motivo);

– dall’altro “omessa motivazione circa la fattura n. (OMISSIS) in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, là ove il tribunale disattende la risultanze istruttorie del primo grado, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, atteso che nella sentenza impugnata non vi è alcuna spiegazione del perchè debbano essere disattese tutte le risultanze istruttorie del giudice di pace, dalle quali emerge non solo che la C. non ha effettuato alcun ordine al proposito, ma, addirittura vi è la prova che il bene di cui alla fattura è stato consegnato presso altro studio dentistico (secondo motivo);

– da ultimo “contraddittoria motivazione circa la fattura n. (OMISSIS) in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, là ove considera consegnati correttamente i beni solo per la sottoscrizione del conducente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” per avere la sentenza impugnata affermato che la sottoscrizione del conducente in calce alla bolla di consegna (per gli effetti dell’art. 1510 c.c.) inducono a tale conclusione (terzo motivo).

6. I riassunti motivi non possono trovare accoglimento, alla luce delle considerazioni che seguono.

6.1. Osserva, in limine, la Corte che appare insindacabile, in questa sede e neppure, del resto, a quel che risulti, adeguatamente sindacato l’apprezzamento compiuto dal giudice a quo allorchè dalla circostanza non controversa che la C. pur avendo ricevuto la fattura in questione nel lontano 1994 abbia contestato la stessa – assumendo di non essere tenuta al relativo pagamento – esclusivamente a distanza di circa sette anni, ha tratto la presunzione di “accettazione” della fattura stessa da parte della C. medesima (specie tenute presenti le ulteriori circostanze emerse in causa e oggetto delle censure di cui al secondo e al terzo motivo).

6.2. Precisato quanto sopra, il primo motivo è inammissibile, per carenza di interesse.

Pur non potendosi dubitare che l’art. 2710 c.c., fa riferimento ai rapporti inerenti all’esercizio della impresa “tra imprenditori” e nella specie la C., esercente la professione sanitaria, non è qualificabile imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c., sì che la affermazione contenuta nella sentenza impugnata non pare pertinente, deve ribadirsi, ulteriormente, che le argomentazioni ultronee, che non hanno lo scopo di sorreggere la decisione già basata su altre decisive ragioni, sono improduttive di effetti giuridici e, come tali, non sono suscettibili di censura in sede di legittimità (Cass,18 maggio 2005, n. 10420; Cass. 12 giugno 2004, n. 11160, nonchè Cass. 5 luglio 2007, n. 15234; Cass. 15 giugno 2007, n. 13997).

Certo che nella specie il richiamo all’art. 2710 c.c., è puramente ultroneo – fondandosi la sentenza su altri elementi probatori – è evidente, come anticipato, la inammissibilità del primo motivo.

6.3. Il secondo e il terzo motivo sono manifestamente infondati.

6.2.1. Quanto al secondo motivo correttamente il giudice del merito ha escluso – sia pur implicitamente – che dalle deposizioni dei testi escussi in primo grado, puntualmente trascritte in ricorso, potesse trarsi la conclusione – ora invocata dalla ricorrente principale – di non essere tenuta al pagamento della merce descritta nella fattura n. (OMISSIS).

Risulta, infatti, dalle deposizioni raccolte che:

– presso lo studio dentistico P. si svolgevano dei corsi cui partecipavano dentisti;

– i materiali consegnati a detto studio “venivano richiesti dai medici che seguivano il corso”;

– “i beni erano importanti non solo per seguire il corso ma anche per svolgere la professione”;

– “tutti i medici facevano uso di questi beni, ciascuno per l’uso professionale”.

Pacifico quanto precede, pacifico che la C. non ha mai negato di avere partecipato almeno a uno dei detti corsi e pacifico che il materiale di cui alla più volte ricordata fattura n. (OMISSIS) è stato consegnato presso lo studio P. con l’annotazione ” C.” appare del tutto logico che i giudici del merito abbiano escluso che dalle prove raccolte nel corso del giudizio di primo grado fosse emersa la assoluta non riferibilità del materiale di cui alla ricordata fattura alla C..

6.2.2. In margine al terzo motivo, si osserva che giusta quanto assolutamente incontroverso, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (da cui senza alcuna motivazione totalmente prescinde la ricorrente principale) il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata (tra le tantissime, ad esempio, Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

Certo quanto precedere palese la manifesta infondatezza del terzo motivo del ricorso principale con il quale la sentenza del giudice a quo è censurata assumendosene la contraddittoria motivazione (per avere quel giudice tratto argomento di valutazione ex art. 1510 c.c., dalla circostanza che il conducente abbia sottoscritto la bolla di consegna).

In realtà l’affermazione non è in contrasto con altro degli argomenti sviluppati nella stessa sentenza ma costituisce un semplice indizio probatorio, opportunamente valutato dal giudice del merito.

7. Con il quarto e ultimo motivo la ricorrente principale censura la sentenza impugnata denunziando “contraddittoria motivazione circa la compensazione delle spese di lite in relazione all’art. 91 c.p.c., comma 1, là ove riconosce che la mutatio libelli della Burzacchi s.r.l. ha disorientano la controparte, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

8. Il motivo non può trovare accoglimento.

Come osservato sopra, in margine al terzo motivo, sussiste motivazione contraddittoria della sentenza impugnata con ricorso per cassazione qualora le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).

Siffatto vizio palesemente non sussiste con riguardo all’affermazione – che si legge nella sentenza impugnata – “le spese di lite vengono compensate per il doppio grado, attesa la mutatio chi il difensore della Burzacchi s.r.l. ha inteso operare, tale da disorientare la difesa di controparte”.

Specie tenuto presente che la censura nei termini come prospettati dalla ricorrente principale prescinde totalmente da una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, assolutamente costante nell’affermare che in tema di condanna alle spese processuali il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole (Cass. 11 gennaio 2008, n. 406; Cass. 22 luglio 2009, n. 17145).

Facendo applicazione del riferito principio al caso di specie appare palese che nella specie l’esito finale della lite ben lungi dall’essere stato “favorevole” alla ora ricorrente C., è stato – in realtà – favorevole alla BURZACCHI s.r.l..

Questa ultima, infatti, – ancorchè in parte – ha visto accogliere le proprie pretese (e, infatti, la C. che assumeva di nulla dovere a controparte è stata condannata al pagamento della somma di Euro 812,60 oltre interessi dalle scadenze delle fatture più antiche rimaste impagate dell’anno 1994 e 1996, portate dal ricorso monitorio).

Certo quanto precede è palese che – eventualmente – i poteva dolersi della disposta compensazione delle spese di lite la ricorrente incidentale ma non certamente la C..

9. Al rigetto di entrambi i ricorsi segue – stante la reciproca soccombenza delle parti con riguardo all’esito di questo giudizio di cassazione – la integrale compensazione delle spese tra le parti di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta;

compensa, tra le parti, le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 26 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

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