Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7624 del 02/04/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7624 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: FERRO MASSIMO

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Data pubblicazione: 02/04/2014

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

VALENTE ROSA, rappr. e dif. dall’avv. Mario Sero del foro di Rossano, elett
dom. presso lo studio dell’avv. Luigina Tucci, in Roma, via Giuseppe De Leva n.39,
come da procura a margine dell’atto
-ricorrente Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12
-controricorrentePagina 1 di 4 – RGN 26746/2007

estensore ns. m. ferro

per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale di Catanzaro 25.9.2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 16 gennaio
2014 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
udito l’avvocato Grazia Fiermonte per il ricorrente;

IL PROCESSO
Rosa Valente impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di
Catanzaro 25.9.2006 che, in riforma della sentenza C.T.P. di Cosenza n. 34/01/2005,
ebbe ad accogliere in parte l’appello dell’Ufficio, così rideterminando sinteticamente
il complessivo reddito netto dell’appellata per il periodo d’imposta 1996 in Lit
78.505.000, già oggetto di impugnato avviso di accertamento (per maggior somme)
quanto ad IRPEF ed ILOR (oltre a S.S.N, T.P.E., interessi e sanzioni).
Ritenne la C.T.R. che la sufficiente motivazione dell’avviso di accertamento
(conformemente ad identica premessa del giudice di primo grado, già di contrario
avviso rispetto all’iniziale prima doglianza del contribuente) supportasse però la
piena correttezza dell’accertamento sintetico, condotto dall’Ufficio ai sensi
dell’art.38, comma 5, d.P.R. 29.9.1973, n.600 e dunque applicando agli incrementi
patrimoniali accertati la presunzione di assunzione degli stessi nell’anno di
effettuazione e nel quinquennio anteriore. In particolare, l’ammontare della spesa
sostenuta dalla contribuente era pari all’aumento di capitale — deliberato da 20
milioni Lit a 2 miliardi Lit dal 21.7.1999, data della delibera, al 31.12.2001 – cui ella
aveva partecipato, in qualità di socia della Molino Romeo s.a.s., con quota del 25% e
dunque per la corrispondente frazione (su Lit 1.570.000.000 finali), per una voce di
spesa annua di Lit 78.505.000. Né poteva convincere la prova contraria addotta dalla
contribuente, che aveva riferito al reddito familiare ed in particolare del coniuge (e
cessionario delle quote di ciascun cedente del 8,33% e dunque socio) Romeo Cataldo
gli apporti finanziari alla medesima pervenuti per sostenere detto aumento di
capitale; parimenti, nemmeno il richiamo alle attività di disinvestimento mobiliare era
persuasivo, non avendo ravvisato la C.T.R., nei relativi rimborsi, quella peculiare
considerevole moltiplicazione atta a giustificare la provvista utilizzata per
l’operazione societaria oggetto di accertamento.
Il ricorso è affidato a tre motivi; resiste con controricorso Agenzia delle Entrate.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione di legge con riguardo
all’art.38, comma 6, d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 2697 e 2729 cod.civ.,
imputando alla C.T.R. l’omessa considerazione concludente della prova contraria
offerta ai fini di una diversa ricostruzione degli apporti patrimoniali e finanziari
utilizzati per l’aumento di capitale.
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estensor

m.ferro

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Giovanni Giacalone,
che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso.

1. Il primo motivo è inammissibile. Va osservato che il vizio di violazione di legge è stato
in realtà prospettato come sostanziale carenza di motivazione, nell’ambito di una
confusa enunciazione descrittiva nella quale fanno difetto una chiara selezione del
punto decisivo della controversia (ratione temporis ragguagliato all’art.360 co.1 n.5
cod.proc.civ.) e una conclusione finale adeguata relativamente al necessario quesito di
diritto (risoltosi in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di
legge denunziata nel motivo, ma senza chiarire l’errore di diritto imputato alla
sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia: Cass. s.u. 21672/2013),
tanto più che, come anche di recente deciso da questa Corte, “i/ motivo di impugnazione
che prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si
assumono violate, e dalla deduzione del vizio di motivazione, è inammissibile, richiedendo un
inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo,
dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di
motivazione.” (Cass. 21611/2013 ed invero 12248/2013, ove manchino distinti
momenti finali di sintesi).
2. Il secondo motivo di ricorso è a sua volta inammissibile, facendo riferimento la parte ad
una presunta contraddittorietà della decisione impugnata a raffronto di un diverso
apprezzamento del medesimo fatto che, da un lato, non è stato con chiarezza
individuato e, dall’altro, appare riportato in termini assolutamente incomprensibili ove
la contestazione si limita ad evocare che “il coniuge potesse finanziare con i propri redditi
anche l’apporto della ricorrente”, e ciò solo sulla base del maggior reddito accertato per il
decennio 1990-2001. Dopo breve richiamo ad un’alternativa qualificazione
dell’apporto finanziario del coniuge della contribuente, con chiarezza ascritto dalla
C.T.R. ad ipotesi indimostrata e priva di plausibilità economica (in assenza di prove
dirette e tenuto conto che anche tale soggetto ebbe a partecipare all’aumento di
capitale in proprio, essendo divenuto cessionario di un identico 8,33% da parte di
ciascuno degli altri tre soci, scesi al 25%), la mancanza finale di un momento di sintesi
impedisce a questo Giudice di cogliere la criticità della motivazione, per la quale
occorre che il ricorso ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non
ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (Cass. 2652/2008).

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estensore

Con il secondo motivo, si deduce il vizio di motivazione circa un punto decisivo
della controversia, riferito all’utilizzo del reddito familiare (indicato in oltre 902
milioni Lit dichiarate, dal 1990 al 2001) ed in particolare all’apporto finanziario del
coniuge Romeo Cataldo, che aveva redditi superiori (Lit 551 milioni Lit, contro 350
milioni Lit della ricorrente) e dunque ben avrebbe potuto procedere al finanziamento
del coniuge (qui ricorrente) perché questi sostenesse l’aumento di capitale.
Con il terzo motivo, si deduce la violazione di legge ancora con riguardo all’art.38,
comma 5, d.P.R. n.600/1973 avendo erroneamente condiviso la C.T.R. il
frazionamento del reddito, come desunto sinteticamente dall’aumento di capitale, per
sole 5 annualità, escludendo quella di produzione della spesa.

ESENTE DA REGISTRAZIONE
MA1ERIA TRIBUTARIA
3. Il teqo motivo è fondato. Secondo la sentenza, la determinazione sintetica del maggior
reddito complessivo riferito alla contribuente per il 1996, muoveva da un lato
dall’applicazione della metodologia del ricalcolo redistributivo della spesa per
incrementi patrimoniali e, dall’altro, dalla chiara individuazione in Lit 392.500.000
totali “ne/ periodo 1996-2001″ delle predette spese. Il criterio pacificamente evocato, ai
sensi dell’art.38, comma 5, d.P.R. n.600/1973, in realtà esige che Qualora l’ufficio
determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relnione alla spesa per incrementi
patrimoniak, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote
costanti, nell’anno in cui e’ stata effettuata e nei cinque precedenti”. Occorre ciò procedere ad
una valorizzazione distributiva che operi per 6 e non per 5 la divisione (un obbligo di
spalmatura di quote costanti sopravvenuto con la 1. n. 413 del 1991, per Cass.
6907/2013), come erroneamente invece indicato dal giudice di merito. Sul punto,
nessun conforto proviene, per sorreggere la decisione, dall’alternativa ricostruzione
della parte controricorrente che, solo nella difesa avanti al giudice di legittimità,
prospetta atti del 1999 e del 2000, privi di richiamo puntuale nella sentenza impugnata
e senza che analogo riscontro possa permetterne un idoneo raffronto con l’atto di
accertamento (non riportato nei suoi termini essenziali o trascritto). Va infatti
sottolineato che la pronuncia censurata, oltre al citato riferimento al periodo 19962001, chiarisce che l’aumento di capitale, cui ha partecipato la socia Valente, deliberato
il 21.7.1999, si è protratto gradualmente sino al 31.12.2001, a quella data ascendendo
alla somma totale di Lit 1.570.100.000, poi spalmata (e sia pur con calcolo errato pro
rata annuale) sulla socia stessa in base alla sua quota del 25%.
Il ricorso va pertanto accolto, con riguardo al terzo motivo, dichiarati inammissibili i
primi due, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla C.T.R. della Calabria,
in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i primi due motivi, dichiara fondato il terzo e, per
l’effetto, cassa con rinvio alla C.T.R. della Calabria, in diversa composizione, anche
per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 gennaio 2014.

Al SENSI DEL D.P.R. 26/4/1986
N. 131 TAB. ALL. B. – N. 5

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