Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7618 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/03/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 18/03/2021), n.7618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 37558/2019 R.G., proposto da:

A.C., rappresentato e difeso da sè, con domicilio eletto

in Roma, Via Antonio Baiamonti n. 10, presso l’avv. Massimiliano

Casadei.

– ricorrente –

contro

B.G..

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 597/2019,

depositata in data 2.5.2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

17.2.2021 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il tribunale di Fermo ha accolto l’opposizione proposta da B.G. avverso il decreto ingiuntivo n. (OMISSIS) ottenuto dall’avv. A.C. a titolo di pagamento di compensi professionali, rilevando che il ricorrente aveva già percepito somme superiori a quelle effettivamente dovute per l’attività svolta.

La Corte anconetana ha confermato la sentenza di primo grado, respingendo le impugnazioni proposte separatamente da entrambe le parti.

Quanto all’appello proposto dall’ A., la sentenza, dopo aver permesso che il parere del Consiglio dell’ordine ha valore di atto amministrativo non vincolante nel giudizio di opposizione, ha precisato che la B. non aveva inteso ottenerne l’annullamento o la disapplicazione, volendo solo resistere alle pretese di pagamento del difensore, sicchè, discutendosi di un diritto soggettivo, la lite apparteneva alla giurisdizione ordinaria. Ha evidenziato che il parere costituisce prova del credito solo ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, mentre nel successivo giudizio di opposizione è onere del professionista dar prova delle attività svolte.

Quanto al merito la pronuncia, premesso che le dichiarazioni testimoniali dell’Avv. Rizzo – co-difensore nominato dalla B. unitamente all’ A. per la causa di lavoro intentata dinanzi al tribunale di Roma – dovevano ritenersi inattendibili, essendo il teste portatore di un interesse di fatto ad un determinato esito del processo, ha posto in rilievo che gli atti relativi alla causa in cui il ricorrente aveva esercitato il patrocinio erano stati sottoscritti solo dal Rizzo e che era carente la prova delle attività che il ricorrente aveva asserito di aver svolto, ad eccezione di quelle per le quali gli era stato già riconosciuto il compenso.

La cassazione della sentenza è chiesta da A.C. con ricorso in cinque motivi.

B.G. è rimasta intimata.

Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente infondato, poteva esser definito ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, il Presidente ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

2. Il primo motivo denuncia la violazione della L. n. 2248 del 1865, art. 5, e dell’art. 113 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che il parere di congruità della parcella professionale, essendo un atto amministrativo che era stato comunicato alla resistente e che non era stato impugnato nel termine di legge, era divenuto definitivo ed era ormai vincolante, sicchè il giudice, per poterlo disapplicare, avrebbe dovuto rilevare eventuali profili di legittimità, non potendo altrimenti prescinderne nella quantificazione del compenso.

Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Come ha chiarito la sentenza impugnata, nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo si controverte della spettanza del compenso del professionista e perciò di un diritto soggettivo che non trova titolo nel parere di congruità, ma nell’attività effettivamente svolta e nel rapporto di patrocinio.

In tale ambito, la rilevanza del parere come prova concorrente del credito professionale si esaurisce nella fase monitoria ai fini della sola emissione dell’ingiunzione di pagamento, valendo nella successiva opposizione, ove contestato, quale mera dichiarazione asseverata ed unilaterale del difensore priva di valenza probatoria.

Il parere è reso dal competente del Consiglio dell’ordine sulla base delle voci indicate dallo stesso difensore e senza alcun previo accertamento dell’effettivo svolgimento delle prestazioni elencate nella parcella (Cass. n. 10428 del 2005; Cass. n. 13743 del 2002).

Proprio per la natura meramente valutativa e non vincolante dell’atto, non sussiste alcun onere del cliente di impugnare l’atto dinanzi al giudice amministrativo.

L’attribuzione alla cognizione del giudice amministrativo della verifica di legittimità del parere, inteso quale atto amministrativo, riguarda le diverse ipotesi in cui venga la lite insorga tra il difensore e il Consiglio dell’ordine degli avvocati e riguardi il rilascio o il contenuto del parere, stante la natura di ente pubblico non economico del medesimo Consiglio ed il carattere di tale parere – da ritenere un atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo, emesso nell’esercizio di poteri autoritativi e tale da implicare una valutazione di congruità del “quantum” (cfr. Cass. S.U. n. 6534 del 2008; Cass. S.U. n. 14812 del 2009).

3. Il secondo motivo denuncia la violazione del D.M. n. 585 del 2004, art. 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta il ricorrente di aver curato, quale unico difensore, l’intera controversia nell’interesse della B., mentre l’avv. Rizzo era stato incaricato solo per agevolare la trattazione del processo dinanzi al tribunale di Roma. In ogni caso, al ricorrente andava attribuito l’intero compenso richiesto con la parcella, la quale elencava solo le prestazioni svolte direttamente dall’ A..

Il motivo è infondato.

La sentenza ha chiaramente evidenziato che l’avv. A., pur essendo stato officiato della difesa unitamente all’avv. Rizzo, non aveva provato di aver svolto attività difensive diverse da quelle per le quali già il tribunale aveva liquidato il compenso, rilevando che per le altre prestazioni, gli atti risultavano sottoscritti solo dal co-difensore.

Su tale premessa in fatto, non era lecito riconoscere alcun compenso ulteriore neppure in base al contenuto della nota specifica, sia per il fatto che per parte delle prestazioni ivi elencate il giudice ha ritenuto non raggiunta la prova della loro effettuazione, sia perchè, a norma del D.M. n. 55 del 2014, art. 8, applicabile ratione temporis, al ricorrente competeva solo il compenso per l’opera effettivamente svolta.

4. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La Corte distrettuale avrebbe omesso di pronunciare sul quarto motivo di impugnazione con il quale era stato chiesto di riconoscere la maggiorazione D.M. n. 55 del 2014, ex art. 5, comma 3, sulla base del parere di congruità del consiglio dell’ordine.

Il motivo è infondato alla luce del rilievo che il giudice distrettuale ha ritenuto di non essere vincolato al parere del Consiglio dell’ordine sulla base della sua presunta forza probatoria vincolante nel giudizio di opposizione.

Una tale statuizione – presupponendo che neppure la maggiorazione fosse giustificata sulla base alla sole risultanze del parere di congruità ed in carenza di prova dei relativi presupposti giustificativi – vale come pronuncia implicita di rigetto anche sullo specifico motivo di impugnazione proposto dal ricorrente.

E’ noto difatti che, per integrare il vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti, come nel caso in esame, incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 17956 del 2015; Cass. n. 20311 del 2011).

5. Il quarto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che la sentenza non abbia pronunciato sul quinto motivo di appello riguardante la spettanza del compenso per l’attività stragiudiziale, che non era neppure stata oggetto di contestazione. Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando che la Corte non abbia pronunciato sul sesto motivo di appello vertente sull’indebita detrazione, dai compensi spettanti al ricorrente, delle somme attribuite al co-difensore.

Entrambi i motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati, avendo la sentenza puntualizzato che il compenso era stato riconosciuto per le sole prestazioni di cui il difensore aveva dato prova, con pronuncia pertinente a tutte le voci elencate in parcella, comprese quelle per le attività stragiudiziali, restando esclusa, per quanto detto, la necessità di un’esplicita statuizione di rigetto del suddetto motivo di gravame.

Quanto invece alla detrazione dei compensi attributi al co-difensore, mette conto di rilevare che – all’esito del giudizio- il difensore ha ottenuto solo gli importi spettanti per le attività personalmente svolte, senza alcuno scomputo in favore del co-difensore, ed anche la suddetta statuizione implicava il rigetto del corrispondente motivo di gravame.

Quanto all’errato calcolo degli accessori, la Corte, senza effettuare alcuna compensazione tra il saldo e gli acconti, si è limitata a constatare che il ricorrente aveva già ottenuto un importo addirittura superiore a quello richiesto in via monitoria, senza alcun residuo attivo sul quale applicare le voci accessorie (rimborso delle spese generali, iva e c.p.a.).

Il ricorso è in definitiva, inammissibile.

Nulla sulle spese, non avendo l’intimata svolto difese.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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