Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7617 del 23/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/03/2017, (ud. 16/02/2017, dep.23/03/2017),  n. 7617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16410/2016 proposto da:

M.S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PORTUENSE 104, presso lo studio della signora ANTONIA DE ANGELIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO SPARTI;

– ricorrente –

contro

B.M., D.M.G.;

– intimati –

per regolamento di competenza avverso il provvedimento n. 8172/2015

del TRIBUNALE di PALERMO, depositato il 12/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/02/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del Sostituto

Procuratore Generale T. Basile che chiede l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. M.S.A. ha proposto istanza di regolamento di competenza contro B.M. e D.M.G., avverso l’ordinanza del 12 maggio 2016, con cui il Tribunale di Palermo ha disposto la sospensione del giudizio civile da lui introdotto nel maggio del 2015 contro gli intimati, per ottenere la condanna al risarcimento dei danni per i reati di cui agli artt. 582, 585, 594 e 635 c.p., a suo dire commessi nei suoi confronti dai medesimi, in occasione di una vicenda occorsa in (OMISSIS) il (OMISSIS), che aveva coinvolto il ricorrente, i convenuti e la moglie del B.G.C..

L’azione veniva introdotta dal ricorrente dopo la pronuncia nei confronti degli intimati di due sentenze di applicazione della pena a richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p., emesse dal Tribunale di Palermo nei procedimenti penali per quei fatti di reato, in cui egli si era costituito parte civile.

Il convenuto B., costituendosi chiedeva sospendersi il giudizio in ragione della proposizione da parte sua nei confronti dell’attore di una denuncia per il delitto di calunnia in relazione a fatti enunciati nella citazione, e, successivamente, entrambi i convenuti insistevano nella sospensione, oltre che per detta ragione anche per la pendenza a carico dell’attore, in relazione ai fatti oggetto della vicenda, che aveva occasionato i procedimenti definiti ai sensi dell’art. 444 c.p.p., di un procedimento penale per i delitti di minacciai a carico del B. e della moglie C.G. e di lesioni,a carico di quest’ultima.

2. Il Tribunale di Palermo ha reputato sussistenti i presupposti di cui all’art. 295 c.p.c. e disposto la sospensione, limitandosi ad osservare “che gli accertamenti in corso innanzi all’autorità penale costituiscono comunque l’antecedente logico-fattuale rispetto alla domanda risarcitoria spiegata in questo giudizio da parte attrice, dai quali non può prescindersi in questa sede”.

3. Non vì è stata resistenza degli intimati all’istanza di regolamento di competenza, che è tempestiva, in quanto il termine per la proposizione decorrente dalla pronuncia dell’ordinanza, avvenuta in udienza e da intendersi in pari data comunicata (art. 176 c.p.c.), scadeva l’11 giugno 2016, che cadeva di sabato, onde la scadenza risultò prorogata sino al 13, data in cui il ricorso venne notificato.

4. Essendosi ritenute applicabili le condizioni per la decisione ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., è stata fatta richiesta al Procuratore Generale di formulare le sue conclusioni ed all’esito del loro deposito, ne è stata fatta notificazione all’avvocato del ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. L’istanza di regolamento di competenza appare manifestamente fondata, in quanto la sospensione è stata disposta in palese violazione della consolidata giurisprudenza di questa Corte sui limiti entro cui il giudice civile deve sospendere il processo civile per la pendenza di un processo penale.

In proposito si ricorda che già Cass. sez. un. n. 13682 del 2001 ebbe a statuire che “Ai sensi dell’art. 295 c.p.c., art. 75 c.p.p., art. 211 disp. att. c.p.p., fuori dal caso in cui i giudizi di danno possono proseguire davanti al giudice civile ai sensi dell’art. 75 c.p.p., comma 2, negli altri casi, il processo può essere sospeso se tra processo penale e altro giudizio ricorra il rapporto di pregiudizialità indicato dall’art. 295 c.p.c. o se la sospensione sia prevista da altra specifica norma, e sempre a condizione che la sentenza penale esplichi efficacia di giudicato nell’altro giudizio, ai sensi degli artt. 651, 652 e 654 c.p.p.”.

A sua volta Cass. (ord.) n. 15641 del 2009 ebbe a statuire che: “In materia di rapporto tra giudizio civile e processo penale, il primo può essere sospeso, in base a quanto dispongono l’art. 295 c.p.c., art. 654 c.p.p. e art. 211 disp. att. c.p.p., nell’ipotesi in cui alla commissione del reato oggetto dell’imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto di giudizio nel processo civile, e sempre a condizione che la sentenza che sia per essere pronunciata nel processo penale possa esplicare nel caso concreto efficacia di giudicato nel processo civile. Pertanto, per rendere dipendente la decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto di imputazione nel giudizio penale”; antecedentemente, nello stesso senso, Cass. (ord.) n. 27787 del 2005.

Ora, nella fattispecie il rapporto fra giudizio civile introdotto dal ricorrente e quello penale pendente nei suoi confronti non è riconducibile all’ipotesi dell’art. 75 c.p.p., atteso che il primo ha ad oggetto i danni da reati commessi nei confronti del ricorrente, mentre il secondo fatti di reato che sarebbero stati da lui commessi.

La circostanza che vi sia coincidenza fra taluni dei fatti storici oggetto del giudizio civile, che debbono essere esaminati dal giudice civile per valutare se esista la dedotta fattispecie di illecito, e taluni dei fatti che il giudice penale deve esaminare per accertare se il ricorrente ha commesso i reati oggetto dell’imputazione, non è in alcun modo sufficiente a giustificare la sospensione.

La sospensione si sarebbe potuta giustificare ai sensi dell’art. 295, ed in relazione all’art. 211 disp. att. c.p.p., solo se tra i fatti costitutivi del diritto risarcitorio fatto valere davanti al giudice civile dal ricorrente vi fosse stata la fattispecie di reato per cui si procede nei suoi confronti.

Situazione che palesemente anch’essa non ricorre.

Il provvedimento impugnato non sembra evocare la denuncia per calunnia, ma, quando si reputasse il contrario, assumerebbe rilievo preliminare il principio di diritto secondo cui:

“La sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità penale, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., nell’ipotesi in cui alla commissione del reato oggetto dell’imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, è subordinata alla condizione della contemporanea pendenza dei due processi, civile e penale, e, quindi, dell’avvenuto esercizio dell’azione penale da parte del P.M. nei modi previsti dall’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione o la richiesta di rinvio a giudizio, sicchè tale sospensione non può essere disposta sul presupposto della mera presentazione di una denuncia e della conseguente apertura di indagini preliminari”. (Cass. (ord.) n. 313 del 2015.

2. Dev’essere, pertanto, disposta la prosecuzione del giudizio, essendo l’ordinanza di sospensione palesemente illegittima.

3. Le spese del giudizio di regolamento seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

PQM

La Corte dispone la prosecuzione del giudizio. Fissa per la riassunzione il termine di cui all’art. 50 c.p.c., con decorso dalla comunicazione al ricorrente del deposito della presente. Condanna gli intimati alla rifusione al ricorrente delle spese del giudizio di regolamento, liquidatè in euro quattromilatrecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge ed oltre il diritto alla rifusione del contributo unificato, in quanto corrisposto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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