Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7614 del 04/04/2011

Cassazione civile sez. I, 04/04/2011, (ud. 09/02/2011, dep. 04/04/2011), n.7614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

E.O.M. elett.te dom.to in ROMA, via G. Palumbo 12

presso l’avv. CRISCI Simonetta dal quale e’ rappresentato e difeso

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato-

Avverso il decreto n. 730 in data 22.3.2010 della Corte di Appello di

Trento;

Udita la relazione del cons. Dott. MACIOCE L. alla ud. 9.3.2011;

Sentite le conclusioni dei P.G. nella persona del Sost. Proc. Gen.

Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E.O.M., sull’assunto di appartenere alla etnia (OMISSIS) e di aver avuto travagliata storia personale, ha chiesto al Tribunale di Trento di riconoscere il proprio stato di apolide. Il Tribunale, con decreto 27.10.2009, ha dichiarato inammissibile l’istanza perche’ proposta nelle forme de rito camerale e non in quelle, generali ed obbligatorie, del rito ordinario di cognizione.

La Corte di Appello di Trento, alla quale lo straniero aveva proposto reclamo e contro il quale si era costituita l’Avvocatura dello Stato, ha affermato che l’accertamento dello stato in discorso – in difetto di espressa previsione sul rito camerale (quale quella afferente lo status di rifugiato) e non potendosi applicare il richiamo allo “stato delle persone” di cui all’art. 742 bis c.p.c. (afferente le ipotedi del tit. 2^ del libro 4^ del codice) – doveva essere proposto e trattato con il rito ordinario. Pertanto, con decreto 22.3.2010 ha rigettato il reclamo. Per la cassazione di tale decreto E.G. ha proposto ricorso 18.6.2010 notificato al Ministero dell’Interno ed al P.G. presso la Corte di Trento, che non hanno svolto difese.

Nel ricorso si denunzia la violazione degli artt. 737 e 742 bis c.p.c. perpetrata con il diniego del rito camerale e si invoca ampia giurisprudenza di merito a sostegno.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Collegio non fondate le censure proposte avverso la esatta decisione della Corte territoriale per la quale la controversia sottoposta dovesse essere proposta nelle forme del rito ordinario contenzioso civile. Ed infatti:

1) L’apolidia e’ status del soggetto, riconosciuto dalla Convenzione di New York del 28.9.1954; la L. 5 febbraio 1992, n. 91 menziona lo status anzidetto equiparandolo a quello del cittadino straniero ai fini dell’acquisizione della cittadinanza e ad esso impone, ove residente, l’osservanza della legge italiana e ad esso attribuisce i diritti civili (art. 16, comma 1). Il riconoscimento dello status promana dalla sussistenza delle situazioni indicate nella Convenzione e viene “attestato” da decreto del Ministro dell’Interno (D.P.R. n. 572 del 1993, art. 17 regolamento di attuazione della L. 91 del 1992). Ed e’ proprio il Ministro dell’Interno il necessario ed esclusivo contraddittore in ordine alle domanda di riconoscimento dello stato in discorso (S.U. n. 28873 del 2008).

2) Le controversie sull’acquisto della cittadinanza spettano, come noto, trattandosi di stato della persona, al Tribunale in sede di ordinaria cognizione (art. 9 c.p.c., comma 2) e la previsione di cui all’art. 742 bis c.p.c. non si puo’ intendere come estensiva del rito da quelle controversie sullo stato delle persone nominate al titolo 2^ del libro 4^ c.p.c. a tutte quelle appartenenti ad un indeterminato “genus” di “famiglia e stato”. L’art. 742 bis c.p.c., infatti, la’ dove dispone che “Le disposizioni del presente capo si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio, ancorche’ non regolati dai capi precedenti o che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone” comporta che, quando un procedimento in camera di consiglio sia regolato da una disciplina speciale, le eventuali lacune, in mancanza di norme che lo escludano, debbono essere colmate con il ricorso alla disciplina generale dei procedimenti in camera di consiglio contenuta negli artt. da 737 a 742 bis c.p.c. (Cass. n. 18143 del 2002): la previsione, quindi, non ha alcuna idoneita’ ad estendere le ipotesi applicative di procedura camerale – sempre “nominate” – ma e’ diretta solo a completare le regole processuali di quelle esterne al codice di rito con le regole generali di cui all’art. 737 e segg..

3) Il rito camerale contenzioso e’ espressamente previsto da numerose leggi speciali e, per quel che rileva, tanto dal T.U. sull’immigrazione approvato dal D.Lgs. 286 del 1998 (artt. 13 e 13 bis del T.U. come modificati dal D.Lgs. n. 113 del 1999, artt. 3 e 4 – art. 30, comma 6 del T.U.), quanto, in materia di protezione internazionale, dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 come modificato dalla L. n. 94 del 2009, nelle prime come nella seconda ipotesi in ragione delle esigenze di assoluta celerita’ nella definizione del procedimento (stante l’urgenza dei concorrenti interessi della sollecita esecuzione della misura espulsiva, nel primo caso, e della immediata risposta alla esigenza di protezione, nel secondo caso): ed appare palese come nell’acquisizione dello status di apolide non si scorge ne’ assoluta urgenza soggettiva ne’ interesse pubblico alla immediatezza di definizione. Ne’ del resto appare casuale che il legislatore, all’atto di optare per la scelta camerale in ordine ai procedimento afferente la protezione internazionale, cio’ abbia fatto esplicitamente, ripetutamente (da ultimo con il citato D.Lgs. 25 del 2008) ed imponendo la adozione della forma della sentenza per la definizione in ciascuno dei due gradi della controversia (S.U. 27310 de 2008) restando silente invece quanto alla definizione camerale di legittimita’, pertanto conclusa con ordinanza ( Cass. n. 17576 del 2010).

4) Sulla questione del rito camerale per la controversia che occupa non appare poi corretto richiamare, in favore della tesi del ricorrente, precedenti di questa Corte, dato che la decisione delle S.U. n. 28873 del 2008 si e’ limitata a ritenere ammissibile il ricorso in sede di legittimita’ avverso il decreto emesso in sede camerale contenziosa (non essendo stato prospettato alcun problema di legittimita’ di tale procedimento) e che di contro l’unica decisione assunta in un procedimento nel quale la questione del rito venne posta dall’Amministrazione (Cass. n. 5212 del 2008) ha ritenuto assorbente l’accoglimento del diverso motivo che prospettava la nullita’ della decisione per essere stata la notifica dell’atto effettuata nei confronti del Ministero e non ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 11.

Sulla base di tali argomenti disattese pertanto le censure mosse alla esatta decisione della Corte di merito, si rigetta il ricorso affermandosi il principio di diritto per il quale, in difetto di diversa esplicita previsione del legislatore, le controversie afferenti lo stato di apolide devono essere proposte e decise, nel contraddittorio del Ministro dell’Interno, nelle forme proprie dell’ordinario giudizio di cognizione. Nulla per le spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 Marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2011

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