Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7613 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. III, 30/03/2010, (ud. 17/12/2009, dep. 30/03/2010), n.7613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32275/2005 proposto da:

C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO

Sergio, che lo rappresenta e difende con delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DALIA SRL (OMISSIS), in persona del Curatore Dott.

B.E. elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO

9, presso lo studio dell’avvocato SPALLINA Bartolo, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BORGATTI VITTORIO con

delega a margine del controricorso;

F.LLI ARVEDA DI ENZO e FERNANDO ARVEDA & C SNC (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo

studio dell’avvocato SPALLINA BARTOLO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARUZZI CLAUDIO;

– controricorrenti –

e contro

M.L., IMM PIAZZA GARIBALDI SRL IN LIQ, R.A.,

R.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 554/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

Sezione Prima Civile, emessa il 01/03/2005; depositata il 19/05/2005;

R.G.N. 1993/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/12/2009 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato SERGIO GALLEANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO

C.E. convenne in giudizio gli odierni resistenti (ad eccezione della s.n.c. F.lli Arvieda, interveniente volontaria in primo grado) per sentir dichiarare, in via principale, la inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., della vendita intercorsa tra la società Immobiliare Piazza Garibaldi e la società Dalia; in subordine, per l’annullamento dell’atto per errore sulla qualità del bene.

I convenuti, nel costituirsi, chiedendo il rigetto dell’istanza, spiegarono domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni.

Il giudice di primo grado respinse le entrambe domande.

L’impugnazione proposta dal C. fu rigettata dalla corte di appello di Bologna, che ne rilevò in limine il difetto di legittimazione attiva, disconoscendone la qualità di creditore per aver egli dedotto unicamente la propria veste di socio della società venditrice.

La sentenza è stata impugnata dal C. con ricorso per cassazione articolato in 3 motivi.

Resistono con controricorso il fallimento della società Dalia e la s.n.c. F.lli Arveda.

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2901 c.c.); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Il motivo è privo di pregio.

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che la deduzione della mera qualità di socio, e non già quella di creditore – ancorchè eventuale – della società in relazione a specifiche e concrete ragioni di credito – nella specie mai prospettate, sia pur con riferimento all’esito della liquidazione del patrimonio sociale con residuo attivo, previo soddisfacimento dei relativi debiti – fosse del tutto inidonea, e perciò ostativa, all’esperimento dell’azione in parola.

Dalla mera allegazione della qualità di socio di una società, difatti, scaturisce esclusivamente una situazione di aspettativa, futura ed eventuale, destinata a concretizzare un diritto di credito soltanto se ed in quanto residui un utile in sede di liquidazione del patrimonio sociale, all’esito della delibera di distribuzione da parte degli organi competenti ex art. 2282 c.c..

Con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede, la corte territoriale ha osservato che nessuna delle predette condizioni poteva dirsi legittimamente predicabile al tempo dell’esperimento dell’azione pauliana, nè l’appellante aveva, dal suo canto, fornito alcuna prova (sia pur presuntiva, va soggiunto), al riguardo. Sotto altro profilo, non va dimenticato che l’aspettativa a che alle operazioni di liquidazione del patrimonio sociale consegua la realizzazione di un utile (il maggiore possibile) trova tutela nelle azioni sociali riservate al socio, e non certo nell’azione revocatoria (la cui natura è meramente conservativa, e giammai restitutoria) sì come esperita dal C..

Sotto tali aspetti, pertanto, la sentenza impugnata si sottrae alle censure mossele.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2901 e 2903 c.c.); motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria.

Il motivo è inammissibile.

Esso ripropone, difatti, la doglianza già espressa in sede di appello in tema di ritenuta prescrizione dell’azione revocatoria, doglianza respinta soltanto ad abundantiam dalla corte territoriale, ma in realtà assorbita dal rigetto del primo motivo di ricorso.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1419 c.c.); motivazione omessa, carente e contraddittoria.

Il motivo non ha giuridico fondamento.

Premessa la inammissibilità della censura volta alla declaratoria di nullità parziale del contratto di compravendita, attesane la evidente novità (nè il ricorrente, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, evidenzia a questa corte in quale fase del giudizio di merito la doglianza sia stata tempestivamente sollevata e illegittimamente pretermessa), decisiva al fine di escludere la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 1429 c.c., con riferimento all’immobile oggetto della contestata alienazione appare la considerazione secondo la quale l’errore dedotto dal C. non andava a ricadere su di una qualità esistente dell’oggetto del contratto, bensì su di una caratteristica meramente supposta, meramente sperata, ovvero ancora illecitamente conseguita, della quale, pertanto, appariva del tutto impredicabile la essenzialità (così, del tutto condivisibilmente, la sentenza impugnata al f. 25 della parte motiva).

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese – che possono per motivi di equità essere in questa sede compensate – segue come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

 

 

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