Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7612 del 23/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/03/2017, (ud. 16/02/2017, dep.23/03/2017),  n. 7612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24198/2014 proposto da:

TELECOM ITALIA SPA, P.I. (OMISSIS), in persona del procuratore

speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO BRIGUGLIO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

T.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 430/2014 del TRIBUNALE di MESSINA, depositata

il 24/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/02/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. Telecom Italia s.p.a. ha proposto ricorso per Cassazione, contro T.R., avverso la sentenza del 27 febbraio 2014, con cui il Tribunale di Messina, pronunciando ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c.; a) rigettava l’appello principale proposto dall’odierna ricorrente avverso la sentenza resa in primo grado dal Giudice di Pace di Messina nell’ottobre del 2011, con cui era stata dichiarata l’inesistenza del diritto della stessa ricorrente di ripetere le spese di spedizione delle fatture e dell’importo pari all’IVA applicata sulle fatture, relative al rapporto di utenza inter partes; b) accoglieva l’appello incidentale dell’intimata riguardo alla mancata condanna della Telecom alla restituzione degli importi indebiti.

2. L’intimata non ha svolto attività difensiva.

3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di fondatezza ed è stata fissata con decreto l’adunanza della Corte. Il decreto è stato notificato all’avvocato della ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Il Collegio condivide la proposta del relatore.

Il ricorso appare manifestamente fondato.

Queste le ragioni.

2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 33 e 36, nonchè dell’art. 1341 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Risulta opportuno, preliminarmente, esaminare il testo delle disposizioni testè citate per aver chiaro il quadro normativo cui l’odierno ricorrente fa riferimento.

L’art. 33 del decreto menzionato, al primo capoverso, recita che: “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”. Tale disposizione è stata erroneamente applicata, ad avviso del ricorrente, all’art. 14, comma 6, delle condizioni generali del contratto secondo il quale: “Telecom provvederà ad inviare tutte le fatture e/o le comunicazioni all’indirizzo indicato dal cliente”; la clausola in questione è stata considerata, inoltre, vessatoria poichè ha determinato uno squilibrio eccessivo ed ingiustificato tra le parti in relazione ai diritti ed obblighi derivanti dal contratto.

Tale assunto deve essere ritenuto manifestamente errato. Il ricorrente ha correttamente sottolineato come la decisione oggetto del ricorso non si sia conformata all’ormai consolidato e granitico orientamento della Suprema Corte, in più occasioni chiamata ad esprimersi sulla vessatorietà di tale clausola. E’ stato ribadito,invero, che l’art. 14 delle condizioni generali del contratto di cui è parte la Telecom s.p.a., non integra la previsione dell’art. 33 codice del consumo. A sostegno di tale affermazione è possibile elencare le numerose pronunce che hanno esaminato la questione escludendo la vessatorietà della clausola di tale contratto. Si tratta delle sentenze della Sezione Terza nn. 5731 e 5732 del 2009 (sebbene rese alla stregua dell’art. 1469-bis c.c.), le quali hanno fato leva sull’esiguità dell’importo di cui si discuteva come si discute. Ad esse hanno fatto seguito la sentenza della Seconda Sezione n. 5733 del 2009 e l’ord. sempre di detta sezione n. 5233 del 2013, che pur affermando che nel caso di specie, “Il giudice di appello ha correttamente applicato il D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, che con premessa generale contenuta nel comma 1, pone quale condizione generale necessaria, perchè una clausola possa considerarsi vessatoria la determinazione a carico del consumatore di un “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”. In assenza di tale condizione essenziale, il cui concreto riscontro comporta una valutazione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivata, non può configurarsi la vessatorietà della clausola”, hanno anche soggiunto che l’ulteriore motivazione fondata sull’esiguità degli importi era comunque pienamente corretta. Alla luce delle pronunce testè menzionate, è possibile affermare che il giudice di merito, nel caso qui in esame, non ha tenuto in debita considerazione l’indirizzo seguito dalla Suprema Corte.

Donde la fondatezza del motivo e la cassazione della sentenza impugnata.

3. Il secondo motivo di ricorso – con cui si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, nn. 16 e 13, ossia del decreto che regola le disposizioni in merito all’imposizione dell’IVA, adducendosi che l’imposta sarebbe ad esse applicabile, discute una questione che il Tribunale, una volta ritenuta la vessatorietà della clausola, ha ritenuto sostanzialmente assorbita.

Alla questione, tuttavia, può darsi rilievo una volta cassata la sentenza in accoglimento del primo motivo, perchè la quaestio iuris ritenuta assorbita dal Tribunale, è stata risolta già più volte da questa Corte, come ricorda la ricorrente, evocando le ordinanze nn. 17526/2013, 17613/2013, 17614/2013, 17797/2013, 17798/2013, 17800/2013, 17517/2013, 17531/2103, 7843/2014, 7844/2014, 7845/2014, 8226/2014, 7835/2014, 7836/2014, 5459/2014 e 5461/2014.

3.1. La prospettazione della Telecom è fondata.

La giurisprudenza da essa evocata ha, infatti, affermato il principio di diritto secondo cui: “In tema di rapporto di utenza telefonica fra utente e Telecom, poichè il costo sopportato per l’anticipazione delle spesa sostenuta nei confronti delle Poste Italiane dalla Telecom, per la spedizione della fattura a mezzo del servizio postale, prevista dalle condizioni generali di contratto come costo da addebitare a carico dell’utente, non è, in mancanza di previsione nelle condizioni contrattuali, un’anticipazione eseguita in nome e per conto dell’utente, ma solo un’anticipazione per conto (e nell’interesse) dello stesso, e, dunque, non da luogo alla fattispecie del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, n. 3, deve ritenersi che la pretesa di rimborso della Telecom verso l’utente riguardo a quanto corrisposto per la spesa di spedizione alle Poste Italiane fa parte della base imponibile ai sensi dell’art. 13 del detto D.P.R., trattandosi di spesa per l’esecuzione della prestazione, con la conseguenza che legittimamente la Telecom ricarica detta spesa dell’i.v.a. e ciò ancorchè la Telecom sopporti la spesa di spedizione verso le Poste Italiane in regime di esenzione ai sensi dell’art. 10, n. 16, dello stesso D.P.R.” (così, in particolare, Cass. (ord.) n. 17526 del 2013). Presupposto per l’affermazione del principio di diritto è stata la seguente precisazione: “Ai fini del rapporto con l’utente, poichè il costo sopportato per l’anticipazione delle spesa sostenuta nei confronti delle Poste Italiane non è anticipazione in nome e per conto dell’utente e, dunque, non da luogo alla fattispecie del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, n. 3 e poichè l’esenzione di cui all’art. 10, n. 16 concerne solo chi ha diretto rapporto con chi gestisce il servizio postale universale, la pretesa di rimborso della Telecom verso l’utente fa parte della base imponibile ai sensi dell’art. 13, detto D.P.R. quale spesa per l’esecuzione della prestazione e, quindi, può essere ricaricata di i.v.a., in quanto nessuna norma prevede una sorta di trascinamento dell’esenzione che ha avuto la Telecom al rapporto con l’utente, per cono del quale Essa ha fatto ricorso al sevizio postale”.

L’applicazione di tali principi comporta che, non occorrendo accertamenti di fatto a seguito della disposta cassazione in accoglimento del primo motivo, ricorrono le condizioni per decidere nel merito con l’accoglimento dell’appello principale e la riforma della sentenza del primo giudice, da cui consegue il rigetto della domanda della parte attrice.

Le spese delle fasi di merito, sulle quali questa Corte deve provvedere, possono essere integralmente compensate, giacchè è notorio che nella giurisprudenza di merito la questione di diritto dell’efficacia della normativa oggetto di giudizio è stata decisa in modi opposti. Le spese del giudizio di cassazione seguono invece la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

PQM

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Pronunciando sul merito, accoglie l’appello della Telecom contro la sentenza del Giudice di Pace di Messina e rigetta la domanda degli intimati. Compensa le spese dei gradi di merito. Condanna l’intimata alla rifusione alla ricorrente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro seicento, di cui euro duecento per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 16 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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