Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7611 del 23/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/03/2017, (ud. 16/02/2017, dep.23/03/2017),  n. 7611

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17898/2014 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO

CANULEIO 127, presso lo studio dell’avvocato ALFONSO DELLARCIPRETE,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA già denominata FONDIARIA SAI SPA (C.F.

(OMISSIS)), in persona del Procuratore Speciale, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI N. 76 presso lo studio

dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

ALLIANZ ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6724/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/02/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

1. M.V. ha proposto ricorso per Cassazione, contro Allianz Assicurazioni s.p.a. e nei confronti di Unipolsai s.p.a. (già Milano nonchè Nuova M.A.A. s.p.a.), avverso la sentenza n. 6724 del 10 dicembre 2013, con cui la Corte d’Appello di Roma, dopo avere riformato la sentenza di prime cure, nella parte in cui aveva dichiarato l’estinzione del processo per invalidità della notifica dell’atto riassuntivo del giudizio, ha, tuttavia, rigettato nel merito la domanda proposta dal M., ritenendo non provato il fatto storico del sinistro stradale cagionativo del danno, di cui l’odierno ricorrente chiedeva il ristoro, a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale, nè adeguatamente dimostrate le stesse lamentate lesioni personali.

2. Nello specifico, la vicenda processuale ha avuto ad oggetto i presunti danni che il M. avrebbe subito in occasione di un sinistro stradale, e precisamente per effetto dello schianto contro un muro dell’autovettura, in cui sedeva in qualità di passeggero, di proprietà di E.V. e condotta dal figlio G.. Tale schianto, nella prospettazione del ricorrente era stato cagionato dalle condotte del conducente del veicolo su cui era trasportato e da quella del conducente di un autocarro di proprietà della Meridiana Trasporti s.n.c.. L’azione veniva proposta contro i proprietari dei veicoli e le rispettive società assicuratrici per la r.c.a., in allora R.A.S. s.p.a. e Nuova M.A.A. s.p.a..

3. Il ricorso del M. è affidato a tre distinti motivi.

4. Unipol Sai Assicurazioni s.p.a. ha resistito con controricorso.

5. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di inammissibilità ed è stata fissata con decreto l’adunanza della Corte. Il decreto è stato notificato agli avvocati delle parti costituite, unitamente alla proposta del relatore.

6. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

1. Il Collegio condivide la valutazione fatta nella proposta dei relatore.

Queste le ragioni.

2. Con il primo motivo di ricorso, si deduce “errata valutazione e interpretazione del documento prodotto dalla Nuova Maa, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; consequenziale omesso esame delle altre prove orali e documentali attestanti il contrario sul medesimo punto decisivo della controversia”. In particolare, il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente qualificato tale documento, che in realtà consisteva in un mero verbale di accesso, come accertamento tecnico preventivo, ed avrebbe in forza di esso escluso la collisione della Lancia Y con il muro, conseguentemente rigettando la domanda dell’appellante.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce “violazione della norma dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 167 c.p.c. e art. 2697 c.c.: violazione del principio della devoluzione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, gli appellati, che in primo grado non avevano in alcun modo negato la veridicità del fatto storico del sinistro, avrebbero poi mutato il proprio sistema difensivo in sede di gravame, per cui la sentenza della Corte d’Appello, nell’accogliere tale prospettazione, si porrebbe in diretto contrasto con il principio di devoluzione.

Infine, con il terzo motivo il ricorrente deduce “violazione degli artt. 115, 168 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3”. In particolare, si censura la motivazione della sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui motiva che “delle lesioni, non risulta presente in atti un solo documento dal quale si possa evincere che una diagnosi è stata fatta o che il M. si è sottoposto ad alcuna terapia… non v’è traccia di alcun ricovero… del resto non è in atti neppure la relazione del perito medico-legale, nominato in primo grado”. Ritiene infatti il ricorrente di aver debitamente assolto al proprio onere probatorio, essendo stata la CTU acquisita al fascicolo di primo grado, per cui la Corte d’appello, dinanzi alla riscontrata assenza della CTU, avrebbe quantomeno dovuto sospendere il giudizio in attesa del suo reperimento, sicchè la sentenza risulterebbe aver violato l’art. 115 c.p.c..

3. Il ricorso è inammissibile sotto plurimi profili.

3.1. In primo luogo, infatti, risulta violato il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, per cui il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. Ebbene, il ricorrente, che in più occasioni, nell’esposizione delle censure mosse contro la sentenza impugnata, fa espresso riferimento ad atti e documenti, tuttavia non ne fornisce alcuna “specifica indicazione”, nel senso richiesto dalla norma citata.

Sul punto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha da tempo precisato che “Il ricorrente, il quale intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando espressamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento” (Cass. (ord.) n. 22303 del 2008); “Il soddisfacimento del requisito postula che nel ricorso sia specificatamente indicato l’atto su cui esso si fonda, precisandosi al riguardo che incombe sul ricorrente l’onere di indicare non solo il contenuto di tale atto, trascrivendolo o riassumendolo, ma anche in quale sede processuale lo stesso risulta prodotto” (Cass. n. 15628 del 2009). Adde, ex multis: Cass. sez. un. nn. 28547 del 2008 e 7161 del 2010.

Ciò posto, detto requisito risulta palesemente non soddisfatto, con riferimento ai documenti citati a sostegno dei motivi di ricorso.

Il ricorrente, infatti, denuncia l’errata valutazione del documento che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente qualificato come accertamento tecnico preventivo, censura il consequenziale omesso esame delle “altre prove orali e documentali attestanti il contrario”, fa a più riprese riferimento a verbali d’udienza e alla consulenza tecnica d’ufficio, che sarebbe stata acquisita in primo grado, senza tuttavia preoccuparsi, in relazione ad alcuno dei predetti documenti di indicarne la sede in cui in questo giudizio di legittimità sarebbero esaminabili, in quanto prodotti.

Nè, si badi, per gli atti processuali, adduce di voler fare riferimento, per esentarsi dall’onere dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, alla loro presenza nel fascicolo d’ufficio, come ammette Cass. sez. un. n. 22726 del 2011, fermo restando, però, l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e, dunque, di fare riferimento a detta presenza.

Risulta pertanto gravemente violato l’onere di indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

3.1.1. Nella memoria ci si astiene dal prendere posizione sulla giurisprudenza sopra citata ed evocata dalla relazione, che è quella pertinente sul problema e si sostiene un’inesistente violazione della Cedu, senza nemmeno indicare la norma di essa che sarebbe violata dalla detta giurisprudenza.

Peraltro, la conformità alla CEDU dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è stata già affermata da Cass. n. 7455 del 2013, seguita da numerose conformi.

3.2. Il ricorso, in aggiunta al rilievo di inammissibilità svolto, risulta ulteriormente inammissibile quanto alla formulazione dei motivi: in tutti i motivi, al di là dell’evocazione formale di violazioni di norme del procedimento, il ricorrente imputa alla Corte d’Appello di aver erroneamente valutato gli elementi probatori a sua disposizione, così risolvendosi nella deduzione di un vizio motivazionale al di fuori dei limiti in cui la motivazione sulla quaestio facti, alla luce dell’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, è controllabile in sede di legittimità.

Infatti, a seguito della riforma operata con la L. n. 83 del 2012, che ha modificato il motivo di ricorso di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è stata fortemente limitata la possibilità di censurare la motivazione della sentenza impugnata, sicchè l’esame delle risultanze probatorie costituisce elemento non sindacabile dalla Corte di Cassazione, alla sola condizione che la motivazione della sentenza del giudice di merito risulti immune da gravi vizi logici o giuridici.

Al riguardo, le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 8053 del 2014, hanno precisato che “a seguito della riforma del 2012, scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata. Il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5), concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti”.

Per effetto della riforma, dunque, la motivazione della sentenza impugnata potrà ancora essere oggetto di doglianza, non più dell’art. 360 c.p.c., ex n. 5, ma ex n. 4 del medesimo articolo (e, cioè, per violazione di legge), soltanto qualora la motivazione manchi del tutto, si risolva in una motivazione meramente apparente ovvero si componga di affermazioni del tutto inconciliabili tra loro, sì da integrarsi la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4; al contrario, con dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è stato introdotto un nuovo, specifico vizio, che consiste nell’omesso esame di un fatto (storico, principale o secondario) decisivo e oggetto di discussione tra le parti, e che non può dirsi integrato per il mero omesso esame di elementi istruttori, quando il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice e, dunque, sia stato oggetto della sua decisione motivazione.

Ciò posto, è evidente come i vizi prospettati dal ricorrente non corrispondano nè all’ipotesi di violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nè a quella ora individuata dell’art. 360 c.p.c., n. 5, onde ne consegue la radicale inammissibilità del ricorso.

3.3. Si aggiunga che nel secondo e nel terzo motivo è evocata la violazione dell’art. 2697 c.c., del tutto al di fuori delle modalità con cui può essere dedotta (Cass. sez. un. n. 16598 del 2016, evocata dalla proposta e alla cui lettura parte ricorrente va rimandata).

Nel terzo motivo è prospettata la violazione dell’art. 115 c.p.c., al di fuori dei limiti (ancora indicati da Cass. sez. un. n. 15698 del 2016, cit.).

La memoria ignora i principi di diritto evocati dalla proposta al riguardo con la citazione di detta sentenza.

3.4. In fine, si deve considerare che la sentenza impugnata ha incentrato la sua motivazione sulle deficienze probatorie e sul problema del fascicolo di parte ed in parte qua essa viene ignorata dal ricorso.

4. La rilevata inammissibilità del ricorso esime dal dover disporre ai sensi dell’art. 331 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei proprietari dei veicoli.

5. Il ricorso è, pertanto, dichiarato inammissibile.

6. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza nei confronti della resistente, atteso che il rilievo della memoria del ricorrente circa un’inammissibilità del controricorso ai sensi dell’art. 100 c.p.c., per mancanza di interesse, che sarebbe desumibile dalle pagine 4 e 7 del controricorso risulta assolutamente oscuro ed incomprensibile.

Le spese si liquidano ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione alla parte resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro ottomila, oltre duecento per esborsi, nonchè le spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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