Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7610 del 02/04/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7610 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: DI IASI CAMILLA

SENTENZA

sul ricorso 7312-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

PINELLI ANNA;
– intimata –

avverso

la

sentenza

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST.
27/01/2009;

di

n.
LATINA,

67/2009

della

depositata

il

Data pubblicazione: 02/04/2014

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/01/2014 dal Consigliere Dott. CAMILLA
DI IASI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

R.G.N. 7312/10

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre -nei confronti di Anna Pinelli (medico, che ha presentato
esclusivamente memoria a propria firma, pertanto senza l’assistenza di un legale, tantomeno
abilitato alla difesa dinanzi a questa Corte)- per la cassazione della sentenza di cui in epigrafe con la
quale la CTR Lazio, in controversia relativa al silenzio rifiuto su istanza di rimborso dell’hai:i
versata per l’anno 2002, ha accolto l’appello della predetta Pinelli avverso la sentenza della C.T.P.
che aveva rigettato il suo ricorso.
In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che nella specie non era ravvisabile la presenza di
personale dipendente svolgente attività omologa a quella della professionista né l’utilizzo di beni
strumentali eccedenti l’id plerumque accidit, posto che la dottoressa si era avvalsa di beni
strumentali limitati ed essenziali nonchè di una segretaria part-time.
2. Col primo motivo, deducendo violazione di legge, l’Agenzia ricorrente censura la sentenza
impugnata per aver i giudici d’appello ritenuto rilevante ai fini della esclusione dei presupposti
dell’imposta in esame, l’assenza di personale dipendente svolgente attività omologa a quella della
contribuente.
Col secondo motivo, deducendo ulteriore violazione di legge, l’Agenzia ricorrente censura la
sentenza impugnata per aver i giudici d’appello escluso nella specie la sussistenza dei presupposti
dell’imposta in esame pur essendo la contribuente medico generico convenzionato col SSN che per
lo svolgimento della sua attività si avvaleva di beni strumentali, uno studio professionale ed una
segretaria.
Col terzo motivo, deducendo vizio di motivazione, l’Agenzia ricorrente si duole del fatto che sulla
circostanza decisiva della sussistenza o meno di beni idonei a configurare l’autonoma
organizzazione i giudici d’appello abbiano reso una motivazione generica in particolare affermando
che la contribuente si sarebbe avvalsa di beni strumentali limitati ed essenziali senza prendere in
esame le complesse voci di spesa inerenti l’esercizio dell’attività professionale della contribuente.
Le censure, da esaminare congiuntamente perché connesse, sono fondate.
Occorre premettere che la ormai assolutamente univoca giurisprudenza di questo giudice di
legittimità non ha ritenuto di condividere l’orientamento (seguito nella specie dai giudici d’appello)
che ritiene la assogettabilità ad IRAP di professionisti e lavoratori autonomi solo nel caso in cui
questi si avvalgano di altri soggetti svolgenti la medesima attività del professionista (e quindi in
grado di sostituirlo), orientamento che porterebbe ad escludere i presupposti per la soggezione
all’Irap in tutti i casi in cui l’attività del professionista si caratterizzi per il rapporto fiduciario
(intuitus personae) che lega il prestatore al cliente, impedendo che la predisposta struttura di risorse
umane e materiali sia in grado di funzionare indipendentemente ed autonomamente dal suo
intervento, nel senso che, per quanto valore e consistenza possa rivestire l’organizzazione dello
studio nel potenziamento dell’attività professionale e dei profitti che ne conseguono, la prestazione
d’opera intellettuale resterebbe personale, non potendo pertanto mai configurarsi un’autonomia
organizzativa distinta dalla prestazione personale del professionista.
Al contrario, questo giudice di legittimità ha ripetutamente affermato che l’IRAP va applicata nei
casi in cui il lavoro autonomo-professionale (quale esso sia, e perciò indipendentemente dallo
svolgimento di attività caratterizzata da intuitus personae) si avvalga di una significativa o non
trascurabile organizzazione di mezzi e/o uomini in grado di ampliarne i risultati profittevoli, con la
conseguenza che lo svolgimento di una libera professione come quella di medico, avvocato,
commercialista, ragioniere, geometra, consulente, si colloca al di fuori dell’area di applicazione
dell’IRAP solo a condizione (da provare da parte del contribuente e da accertare da parte del giudice
di merito) che il professionista operi senza dipendenti (a prescindere dalla circostanza che essi siano
o meno in grado di svolgere attività omologa a quella del professionista medesimo) e con le risorse
umane e strumentali strettamente necessarie allo svolgimento della professione.

Sentenza
In fatto e in diritto

In proposito, questo giudice di legittimità ha affermato il seguente principio di diritto (al quale il
collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene): “l’esercizio per
professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa
commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di
attività autonomamente organizzata e il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento
spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato,
ricorre quando il contribuente che esercita attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma,
il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad
altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo
l'”id quod plerumque accidit”, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio
dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di
lavoro altrui, essendo onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non
dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni” (sul punto vedi v. tra numerosissime
altre cass. n. 3678 del 2007).
Il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Poiché dalla
medesima sentenza (non censurata sul punto da alcuno) risulta accertato in fatto che l’attività della
contribuente veniva svolta avvalendosi del lavoro di una dipendente, ancorché con mansioni di
segretaria e part-time, e deve ritenersi pertanto sussistente quanto meno il presupposto di cui
all’ultima parte del punto b) di cui sopra, si reputa che non siano necessari ulteriori accertamenti in
fatto e che pertanto la causa possa essere decisa nel merito col rigetto del ricorso introduttivo.
Poiché la giurisprudenza citata si è affermata e consolidata in epoca successiva alla proposizione del
ricorso introduttivo, si dispone la compensazione delle spese dei gradi di merito e si condanna la
soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso
introduttivo. Compensa le spese dei giudizi di merito e condanna la soccombente alle spese del
presente giudizio di legittimità che liquida in € 900,00 per esborsi oltre eventuali spese prenotate a
debito.
Roma 15.01.2014
Il Pre *dente
‘Estensore

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