Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7608 del 02/04/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7608 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: DI IASI CAMILLA

SENTENZA

sul ricorso 7267-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

PAGNINI MARCO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 43/2009 della COMM.TRIB.REG. di
ANCONA, depositata il 26/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Data pubblicazione: 02/04/2014

udienza del 15/01/2014 dal Consigliere Dott. CAMILLA
DI IASI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per

l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso.

R.G.N. 7267/10

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre -nei confronti di Marco Pagnini (ingegnere, che non ha resistito)per la cassazione della sentenza di cui in epigrafe con la quale la CTR Marche, in controversia
concernente impugnazione del diniego di rimborso dell’Irap versata per gli anni 1998/2001,
confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso del contribuente.
In particolare, i giudici d’appello rilevavano che il contribuente nell’esercizio della propria attività
non si era avvalso né di lavoratori dipendenti né di collaboratori, ricorrendo all’utilizzo di beni
strumentali nella misura minima necessaria all’esercizio della professione fondata esclusivamente
sul proprio lavoro.
2. Con un unico motivo, deducendo vizio di motivazione, l’Agenzia ricorrente si duole del fatto
che i giudici d’appello abbiano affermato apoditticamente che nella specie il contribuente aveva
utilizzato beni strumentali nella misura indispensabile per l’esercizio della propria attività senza
indicare né i suddetti beni né sulla base di quali elementi si era giunti a tale conclusione ed, inoltre,
senza considerare i dati risultanti dalle dichiarazioni dei redditi del contribuente acquisite agli atti.
La censura è inammissibile per assoluta inidoneità della indicazione prevista dalla seconda parte
dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis), a norma del quale il motivo di censura ex art.
360 n. 5 c.p.c. deve contenere una indicazione che, pur libera da rigidità formali, si deve
concretizzare nella esposizione chiara e sintetica del fatto controverso e decisivo in relazione al
quale la motivazione si assume viziata, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la
giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le
ragioni per le quali la motivazione è viziata deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il
relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e
sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al
giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. cass. n. 8897 del 2008).
E’ peraltro da aggiungere che, dopo la modifica introdotta dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n.
40, la denuncia di vizio di motivazione deve riguardare (non più un “punto” o una “questione”, ma)
un vero e proprio fatto (controverso e decisivo), da intendersi in senso storico e normativo, quindi
un fatto principale, ex art. 2697 c.p.c.civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o
estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto
principale), purché ritenuto controverso e decisivo (v. sul punto, tra le altre, cass. n. 2805 del 2011).
Nella specie invece, né nella indicazione conclusiva né nel corpo del motivo parte ricorrente
individua con precisione il “fatto” controverso e decisivo in relazione al quale la motivazione della
sentenza risulterebbe insufficiente, ma si limita genericamente a denunciare la ritenuta apoditticità
della motivazione censurata ed a riportare alcune voci risultanti dalla dichiarazione dei redditi del
contribuente (peraltro non relative a spese per lavoratori dipendenti né di rilievo economico
particolarmente imponente in assoluto) che non sarebbero state considerate dai giudici di merito,
senza evidenziare il carattere decisivo di tali elementi trascurati dai giudici d’appello (né con
riguardo a caratteristiche “qualitative” delle voci di spesa né, in ipotesi, con riguardo all’ammontare
di esse ed alla eventuale “eccedenza” delle medesime rispetto a quanto da ritenersi indispensabile in
relazione alla specifica attività esercitata dal contribuente).
Tanto premesso, è appena il caso di aggiungere che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di
legittimità, costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. quello
la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (v. tra
numerosissime altre, da ultimo, cass. n. 18368 del 2013 e n. 3668 del 2013).

Sentenza
In fatto e in diritto

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In assenza di attività difensiva nessuna decisione deve
essere assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
PQM

La Corte rigetta il ricorso.
Roma 15.01.2014

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