Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7606 del 02/04/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7606 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: TRICOMI LAURA

SENTENZA

sul ricorso 12432-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2014
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contro

ASS. TABACCHICOLTORI ABRUZZESI;
– intimato –

sul ricorso 15885-2008 proposto da:
ATA COOP SRL in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA

Data pubblicazione: 02/04/2014

CAVOUR,

presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
PISCOPO ANNA MARIA con studio in LANCIANO VIA PER
FOSSACESIA 77 (avviso postale) giusta delega a
margine;

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimato –

avverso la sentenza n. 18/2007 della
COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di PESCARA, depositata il
27/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/01/2014 dal Consigliere Dott. LAURA
TRICOMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato DE STEFANO che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso principale e il
rigetto del ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso principale e
l’assorbimento del ricorso incidentale.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 18/10/2007, depositata il 27.03.07 non notificata, la
Commissione Tributaria Regionale di L’Aquila, sez. distaccata di Pescara, rigettava
l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Lanciano, avverso la decisione
di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla A.T.A.

n.RA5060100377.
Con tale avviso di accertamento era stata rettificata la dichiarazione IVA 1999
contestando tra l’altro, per quanto interessa l’odierno giudizio:
a) l’omessa contabilizzazione di ricavi relativi alla cessione di quote di
produzione del tabacco per £.2.028.607.700 con IVA al 10%.
2. La CTR preliminarmente aveva disatteso l’eccezione proposta dalla appellata
A.T.A. in merito alla inutizzabilità del risultato della verifica fiscale, durata oltre i trenta
giorni lavorativi in violazione dell’art.12 comma 5 della L. 212/2000.
Quindi, nel merito, aveva confermato la decisione di primo grado.
Riteneva invero, la CTR, con riferimento al rilievo fiscale sub a), che:
– nell’atto di appello dell’Ufficio “In particolare non viene espressa posizione e,
nel caso di specie, confutazione, all’affermazione dei primi giudici < che le cessioni del diritto alle quote non rientrano nella fattispecie disciplinata espressamente dall'art.34 del DPR 633/72 e pertanto sono da considerarsi, senza alcun dubbio, fuori dal campo di applicazione dell'IVA>. Che, se le operazioni di cessione, come meglio spiegato, sono
comprese nel campo di applicazione del tributo, devono essere fatturate ai sensi
dell’art.21, contrariamente non vi è obbligo di fatturazione. Pertanto considerato la
genericità della motivazione, che in sostanza non evidenzia consistenti motivi di
censura, la su esposta eccezione va disattesa” (fo.5/6 della sentenza impugnata).
3. Per la cassazione della sentenza n. 18/10/2007 limitatamente al rilievo sub a) ha
proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi.
Resiste la A.T.A. Associazione Tabacchicoltori Abruzzesi Soc. Cooperativa a RL,
così trasformatasi per atto per notaio Giuseppe Sorrentini in data 19.12.2005, con
controricorso e ricorso incidentale affidato a tre motivi.

Proc. R.G.N. 12432 + 15885 del 2008

Cons. Laura Tricorni estensore

Associazione Tabacchicoltori Abruzzesi avverso l’avviso di accertamento

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CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente va disposta la riunione dei due ricorsi aventi ad oggetto
l’impugnazione della medesima sentenza.
1.2. Va quindi segnalato che, dei ricorsi riuniti, va preliminarmente scrutinato
quello principale, giacché solo in caso di accoglimento dello stesso si configurerebbe
l’attualità dell’interesse dei ricorrenti incidentali alla statuizione sui motivi proposti in

accertamento oggetto del giudizio, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della
Cassazione (Cass. SSUU sent. n. 5456/2009 e n. 1796/2013) che si condivide. Si deve
ritenere infatti, anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del
processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad
ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente
vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese
quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso
condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere
esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito,
rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove
quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia
intervenuta detta decisione, come nel caso in esame, tale ricorso incidentale va
esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse,
sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale.
2. I tre motivi di impugnazione proposti dall’Agenzia delle Entrate riguardano
esclusivamente l’accertamento sub a), relativo all’omessa contabilizzazione di ricavi
relativi alla cessione di quote di produzione del tabacco per £.2.028.607.700 con IVA
al 10%.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 10 comma, numero
n.4, cpc, e 62 1° comma Dlgs 546/92, l’Agenzia delle Entrate lamenta la violazione e
falsa applicazione dell’art.53 Dlgs 546/92 in ordine alla valutazione dell’atto di appello
formulata dalla CTR che aveva ritenuto non espressamente confutata l’affermazione,
contenuta nella sentenza di primo grado, “che le cessioni del diritto alle quote non
rientrano nella fattispecie disciplinata espressamente dall’art.34 del DPR 633/72 e
pertanto sono da considerarsi, senza alcun dubbio, fuori dal campo di applicazione

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ordine alla legittimità della verifica fiscale, costituente presupposto dell’avviso di

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dell’IVA”, ed aveva concluso “Pertanto, considerato la genericità della motivazione,
che in sostanza non evidenzia consistenti motivi di censura, la su esposta eccezione va
disattesa”. Sostiene la ricorrente che nell’atto di appello era stato invece individuato
con precisione la questione centrale, quello cioè della natura commerciale e della
assoggettabilità ad IVA delle operazioni di cessione delle quote di produzione,
considerate come un bene immateriale suscettibile di trasferimenti a titolo oneroso e che

disciplina per l’agricoltura, contenuta nell’art.34 DPR 633/72, avrebbe avallato la tesi
dell’applicabilità del regime ordinario dell’imposta dettato dall’art.21 dello stesso DPR.
La ricorrente Agenzia formula quindi il seguente quesito di diritto ” Dica la S.
Corte se sia ammissibile l’atto di appello che esprima in modo adeguato le ragioni e
l’oggetto della pretesa avanzata ed i motivi di illegittimità della sentenza impugnata,
anche se non contenga l’analisi puntuale di qualunque considerazione non decisiva,
contenuta nella sentenza stessa e non approfondisca tutte le questioni di diritto che
possono determinare l’accoglimento dell’impugnazione”.
2.2. Il primo motivo di impugnazione è inammissibile per erronea identificazione
dell’archetipo del vizio valorizzato (Cass. Ord. n. 26712/2013).
Ne è sintomo la circostanza che la parte ricorrente — dopo avere genericamente
identificato la disposizione di legge che il giudicante avrebbe violato — si limita poi
sostanzialmente a dolersi del fatto che il giudicante – avvalendosi delle sue prerogative
di apprezzamento decisorio — abbia pretermesso o sottovalutato circostanze di fatto
rilevanti ai fini di ritenere violata la disposizione di legge medesima. Si tratta — per
evidenza — di circostanze di fatto e di valutazioni di puro merito che concernono il
potere di ricostruzione della fattispecie concreta — dalla legge di rito assegnato in
esclusiva al giudice di merito — il cui apprezzamento non può costituire oggetto di
erronea interpretazione o applicazione della norma, almeno non nell’ottica prospettata
dalla parte ricorrente.
Ed invero è principio tante volte enunciato da questa Corte che “In tema di
ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di
un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie
astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema
interpretativo della stessa; viceversa l’allegazione di una erronea ricognizione della

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l’esclusione delle operazioni in contestazione dall’ambito di applicazione della speciale

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fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna alla esatta interpretazione
della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui
censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il
discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della
erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione
della legge in ragione di carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta

contestata valutazione delle risultanze di causa” (Cass. sent. n.16698/2010).
2.3. Con i motivi secondo e terzo del ricorso principale sono rispettivamente
dedotte violazione e falsa applicazione del!’ art. 21 del DPR 633/72 ed insufficiente
motivazione circa le ragioni per cui le operazioni sulle quote di produzione del tabacco
compiute dall’ATA siano state ritenute escluse dal tributo IVA.
2.4.- Entrambi i motivi – che possono essere congiuntamente esaminati per la
connessione che li connota – sono fondati.
2.5. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma,
numero 3 cpc, e 62 10 comma Dlgs 546/92, l’Agenzia delle Entrate lamenta la
violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del DPR 633/72 relativo all’obbligo di
fatturazione. In particolare la ricorrente osserva che i giudici a quibus avevano dedotto
la estraneità delle operazioni in esame al regime speciale per l’agricoltura richiamando
le affermazioni della CTP, sostenendo che le stesse avrebbero dovuto essere fatturate ai
sensi dell’art.21 DPR 633/72 se fossero rientrate nel campo di applicazione del tributo,
senza tuttavia verificare se si trattava o meno di operazioni commerciali, soggette al
regime impositivo IVA. In proposito la ricorrente deduce che l’ATA non si era limitata
a prestare assistenza agli associati nella compravendita delle quote di produzione, ma
era intervenuta direttamente nelle transazioni, acquistando le quote eccedenti di un
agricoltore e rivendendole ad altri, anche non appartenenti all’associazione. Assume la
ricorrente che si è trattato di una vera e propria attività commerciale, esercitata
abitualmente e professionalmente nello svolgimento di finalità istituzionali, avente ad
oggetto un bene immateriale, quale deve ritenersi il diritto di realizzare una determinata
quota di produzione sul mercato.
La ricorrente Agenzia formula quindi il seguente quesito di diritto “Dica la
Suprema Corte se costituiscono operazioni commerciali assoggettate ad IVA le cessioni

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— è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non la prima, è mediata dalla

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di quote di produzione di prodotti agricoli effettuate da una Associazione di produttori
per conto dei propri associati”.
2.6. Con il terzo motivo l’Agenzia delle Entrate lamenta l’insufficiente
motivazione su fatti controversi e decisivi della causa ai sensi dell’art.360, comma 1,
n.5. cpc
Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata omette di esaminare e di

produzione dei prodotti agricoli ed omette di spiegare le ragioni per le quali tale
attività, a suo dire pacificamente estranea all’ambito delle cessioni dei prodotti agricoli
disciplinato dall’art.34 DPR 633/72 , debba ritenersi esente da tributo. Conclusivamente
chiede la cassazione della pronuncia impugnata, in parte qua, e la remissione degli atti
ad altro giudice per un nuovo esame.
2.7. I motivi secondo e terzo del ricorso principale sono fondati.
Innanzi tutto va considerato che nel caso in esame le operazioni oggetto del
recupero a tassazione per omessa contabilizzazione di ricavi vengono descritte in modo
molto vario nella sentenza impugnata, e segnatamente:
– Al fol. 2, nel ricostruire la prospettazione dell’Ufficio finanziario, è scritto che
si tratta di “cessioni dai produttori all’A.T.A., che a sua volta li rivendeva ad altri
produttori tra loro mai conosciuti”;
– Al fol. 3, nel ricostruire la prospettazione dell’ATA, è scritto che ” l’attività
della associazione che è intervenuta nella compravendita delle quote in qualità di
intermediario che ha firmato contratti preliminari di acquisto delle stesse quote per sé o
per persona da denominare, che non può ricondursi ad attività di compravendita delle
quote di produzione; l’attività rientra nel compito istituzionale di salvaguardia della
produzione del tabacco, e ne è riprova il fatto che gli accertatori hanno verificato che da
tali operazioni non è stato realizzato un utile”;
– Al fol. 3, nel ricostruire la prospettazione dell’ATA, è scritto ancora che “i
verificatori hanno sostenuto l’esistenza di un contratto di commissione”;
– Al fol. 5, nel riportare il testo dell’avviso di accertamento è scritto “considerato
che la parte nell’anno di imposta 1999 ha omesso di contabilizzare ricavi: da “cessione
di quote “di produzione del tabacco…”

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qualificare l’attività svolta dalla A.T.A. nel mercato della cessione delle quote di

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Orbene ciò rende evidente la contraddittorietà e la palese incertezza della sentenza
sui soggetti tra cui le operazioni sono state concluse e sulla natura delle stesse, mentre
va rimarcato come la CTR non abbia provveduto alla ricostruzione ed alla
qualificazione giuridica di tali operazioni secondo i normali canoni ermeneutici di
interpretazione e, in modo del tutto carente di motivazione, abbia affermando
apoditticamente non solo la non soggezione delle stesse al regime IVA dettato dall’art.

motivazionali.
In proposito il Collegio ricorda che questa Corte, in fattispecie analoghe tra le
stesse parti, relative ad altre annualità di imposta (C. Cass. ord. n.20964/2010 e ord.
n.20968/2010), ha già riconosciuto palesemente fondato il ricorso principale, ritenendo
la motivazione resa dalla CTR insufficiente per comprendere quali siano stati i dati
fattuali esaminati e l’iter logico seguito dai giudici di appello nel confermare la sentenza
impugnata.
Ciò detto in punto di fatto, è necessario ricordare in diritto che, conformemente
all’articolo 6, paragrafo 1, della VI direttiva CEE, la cessione di beni immateriali,
rappresentati o meno da un titolo, deve essere considerata come una prestazione di
servizi. L’attività connessa al trasferimento delle quote di produzione quindi vi rientra
sicuramente.
Occorre ancora ricordare che ai sensi dell’art.2135 cc “E’ imprenditore agricolo
chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento
di animali ed attività connesse” e che per tali attività si intendono quelle “dirette alla
cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso … “.
Anche la acquisizione della quota — e cioè del diritto a coltivare quel determinato
prodotto — è parte delle attività dirette alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico dello
stesso, nel caso di specie il tabacco soggetto anche al rispetto del regime giuridico
comunitario delle quote di produzione. In questi termini si è espressa anche la
Amministrazione: la Circolare n. 51/E del 04.04.2006 dell’Agenzia delle Entrate – in
tema di disciplina fiscale applicabile ai fini IRPEF ed IVA alla cessione di quote latte e
diritti di reimpianto vigneti poste in essere da produttori agricoli (che richiama la Circ.
n. 141 del 1998 e la Ris. n. 27 del 2003) — ha riconosciuto, in sostanza, il carattere
strumentale che i diritti in questione rivestono rispetto alla attività agricola e, per quanto

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34 DPR n.633/72, ma anche al regime IVA in generale, con chiare ed ampie lacune

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concerne l’IVA, ha affermato che le cessione dei diritti in esame devono essere
assoggettate al tributo con aliquota ordinaria, essendo poste in essere nell’esercizio di
impresa e non essendo comprese nelle operazioni da assoggettare ad aliquota ridotta ai
sensi della tabella A, allegata al DPR n. 633 del 1972.
Tanto premesso, per un corretto inquadramento è necessario ricordare anche
quanto stabilisce il Regolamento (CE) n. 2848/98 della commissione del 22 dicembre

ordine al regime di premi, alle quote di produzione e all’aiuto specifico alle associazioni
di produttori nel settore del tabacco greggio), che, nel definire i compiti e le funzioni
delle associazioni di produttori, non prevede tra i compiti istituzionali una attività
diretta per il trasferimento delle quote. All’art.33 del Regolamento è detto che la
cessione delle quote può avvenire tra un singolo produttore ad un altro, a titolo
temporaneo o definitivo: ai sensi del comma 1 letti), se chi cede l’attestato di quota è
membro di un’associazione di produttori, la cessione deve essere autorizzata da tale
associazione qualora il beneficiario della cessione non sia membro della stessa
associazione; l’associazione di produttori concede l’autorizzazione se nessuno dei suoi
membri ha manifestato interesse a utilizzare i quantitativi oggetto della cessione alle
condizioni offerte; se la cessione ha luogo tra produttori membri della stessa
associazione di produttori, l’associazione deve esserne informata. Tuttavia anche se non
è disciplinata una attività di cessione di quote svolta direttamente dall’associazione dei
produttori, va pure osservato non può escludersi che in concreto ciò si sia verificato,
come sembra emergere dalla fattispecie in esame, senza che sul punto la sentenza
impugnata abbia fatto la dovuta chiarezza.
In proposito, qualora le prestazioni di servizi in esame non siano riconducibile ai
produttori agricoli, ma alla associazione di categoria ATA, giova ricordare che ai sensi
dell’art.4, comma 2, del DPR 633/72 si considerano in ogni caso effettuate
nell’esercizio di imprese “Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da altri enti
pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza
personalità giuridica e le società semplici, che abbiano per oggetto esclusivo o
principale l’esercizio di attività commerciali o agricole” (n.2) e che ” Si considerano
effettuate in ogni caso nell’esercizio di impresa a norma del comma 2, anche le cessioni
di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società e dagli enti ivi indicati ai propri soci,

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1998 (modalità d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2075/92 del Consiglio in

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associati o partecipanti” (art. 4, comma 3, DPR 633/72) con le eccezioni previste dal
successivo comma 5 da applicare ove ne ricorrano i presupposti. Vige pertanto, con
riferimento alle associazioni, il principio di assoggettamento all’IVA delle operazioni
relative a prestazioni di servizi, tra cui rientrano i trasferimenti di beni immateriali. Tale
disciplina è applicabile anche quando non via sia un utile. Questa Corte ha avuto modo
di affermare in tema di consorzi, ai quali si applica la medesima disciplina delle

scientifica svolge attività imprenditoriale – ed è assoggettato alla relativa disciplina
d’imposta – ove, in seguito allo svolgimento della ricerca scientifica, ceda ai propri
consociati o ai terzi i risultati di tali ricerche, in vista della loro utilizzazione industriale
e commerciale, senza che rilevi la mancanza dello scopo di lucro o la produzione di beni
immateriali o la finalità mutualistica perseguita dal Consorzio. Infatti, lo stesso art. 4,
commi 3 e 4, del d.P.R. n. 633 del 1972 sottende la compatibilità tra la natura
commerciale dell’attività consortile e la destinazione ai propri associati, con finalità
mutualistica, del risultato di tale attività commerciale e, più in generale, lo scopo
mutualistico non è incompatibile con lo svolgimento di attività commerciale ed il
perseguimento di uno scopo di lucro.” (C. Cass. Sent. n.22644/2004).
Passando quindi ad esaminare il dettato dell’art.34 DPR 633/72 che disciplina un
regime speciale di imposizione per i produttori agricoli, osserva il Collegio che la
disciplina IVA dettata dall’art.34 DPR 633/72 per il settore agricolo, come concepito a
livello comunitario e recepito a livello nazionale si configura più che come un regime
speciale di applicazione dell’imposta, come un regime speciale di detrazione, che si
risolve in una forfetizzazione e non in una esenzione, il cui carattere agevolativo può
derivare dalla maggiore o minore larghezza con cui sono fissate le percentuali di
compensazione; a tale regime, peraltro, la parte può rinunciare facendo rivivere il
regime ordinario di cui all’art.21 DPR 633/72; è tuttavia evidente che tale disciplina non
è applicabile alle prestazioni di servizi afferenti beni immateriali quali le quote, che non
sono comprese nelle operazioni da assoggettare ad aliquota ridotta ai sensi della tabella
A, allegata al DPR n. 633 del 1972.
Risulta invece del tutto ilk.ponferente il richiamo operato dalla intimata all’art.9
della L 674/1978 che prevede la esenzione da imposta delle quote associative e non già
delle quote di produzione.

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associazioni, che “In tema di IVA, un consorzio costituito per l’attività di ricerca

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Sulla scorta di queste considerazioni è errata e non motivata la decisione della
CTR secondo la quale “le cessioni del diritto alle quote non rientrano nella fattispecie
disciplinata espressamente dall’art.34 del DPR 633/72 e, pertanto sono da considerarsi,
senza alcun dubbio, fuori dal campo di applicazione dell’IVA” in quanto deduce
apoditticamente dalla affermata inapplicabilità dell’art.34 alla fattispecie in esame, la
sottrazione delle operazioni al regime impositivo IVA senza valutare nemmeno la

giuridicamente le operazioni stesse in modo chiaro. Tale arresto interpretativo non è
sostenibile nemmeno qualora sia accertata la mancanza di utile nelle operazioni, come
già ricordato.
3.1. L’accoglimento dei motivi secondo e terzo del ricorso principale impone la
disamina dei motivi proposti con il ricorso incidentale dalla A.T.A. Associazione
Tabacchicoltori Abruzzesi Soc. Cooperativa a RL.
3.2. Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto ex articolo 360, comma
1, numero 3, cpc, e 62, comma 1, Dlgs 546/92, la A.T.A. lamenta la violazione e falsa
applicazione dell’art.12, comma 5, e 6, comma 1, L. 212/2000 per avere la CTR
erroneamente ritenuto che fosse stata autorizzata la proroga dell’attività ispettiva svolta
dalla G. di F.
3.3. Con il secondo motivo proposto ex articolo 360, comma 1, numero 3, cpc, e
62, comma 1, Dlgs 546/92, la A.T.A. lamenta la violazione e falsa applicazione
dell’art.12, commi 1 e 5, L. 212/2000 e dell’art.12 delle disposizioni sulla legge in
generale sempre in merito all’attività ispettiva svolta dalla G. di F. sulla considerazione
del fatto che la stessa era durata per 52 giorni non continuativi in un periodo di circa sei
mesi nel corso del quale la documentazione era rimasta conservata a disposizione dei
verificatori in una stanza chiusa di cui questi detenevano in via esclusiva le chiavi.
3.4. Con il terzo motivo proposto ex articolo 360, comma 1, numero 3 cpc e 62,
comma 1, Dlgs 546/92, la A.T.A. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.7
L.212/2000, per non avere ritenuto la CTR che la mancata allegazione all’avviso di
accertamento del provvedimento di proroga previsto dall’art.12, comma 5, L. 212/2000
ne determinasse l’illegittimità.

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qualità dei soggetti tra cui erano state concluse le operazioni e senza avere qualificato

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Formula il seguente quesito di diritto “Dica la Suprema Corte se la mancata
allegazione all’avviso di accertamento del provvedimento di proroga previsto
dall’art.12, comma 5, L. 212/2000 ne provoca l’illegittimità”
3.5. I primi due motivi per la sostanziale omogeneità delle questioni affrontate,
afferenti durata e modalità della verifica fiscale eseguita presso gli uffici della A.T.A. e
l’applicazione degli artt.12, commi 1 e 5, e 6, comma 1, della L. 212/2000 possono

Gli stessi sono infondati e vanno respinti.
Per quanto riguarda l’applicazioni dell’art.12 comma 5 della L. 212/2000, ed in
particolare gli effetti che l’eventuale difetto di proroga possa determinare sull’espletata
attività di verifica, osserva il Collegio che detta disposizione si colloca nell’ambito della
disciplina dei “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”. La
lettura testuale di tale disposizione non consente di individuare sanzioni a carico
dell’amministrazione, qualora non risultino rispettate le modalità operative ivi descritte,
ed il successivo comma 6 prevede uno specifico strumento a tutela del contribuente, per
cui questi “… nel caso ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi
alla legge, può rivolgersi anche al Garante del contribuente, secondo quanto previsto
dall’articolo 13”, senza che sia prevista alcuna ricaduta in termini di illegittimità o
inutilizzabilità sull’attività verificatoria espletata. Va quindi ribadito il principio, già
affermato da questa Corte e condiviso dal Collegio, che “In tema di verifiche tributarie,
il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione
finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna
disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo
decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla “ratio” delle disposizioni in materia,
apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a
fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti
dell’Amministrazione.” (C. Cass. sent. n.17002/2012, id. C. Cass. n.26732/2013), così
come correttamente ritenuto anche dalla CTR. È, peraltro, consolidato il principio
generale secondo cui i termini di conclusione del procedimento amministrativo devono,
salva espressa previsione contraria, essere considerati come ordinatori e non perentori
(cfr. Cons. St., sez. 6″, 29 dicembre 2010, n.9569, e 15 dicembre 2010, n. 8931,
entrambe in C.d.S., 2010, fasc. 12).

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essere trattati unitariamente.

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ESENTE DA REGISTRAZIONE
AI SENSI DEL D.P.R. 26/4/1986
N. 131 TAB. ALL. B. – N. 5

MATERIA TRIBUTARIA
3.6. Il terzo motivo di ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
Richiamando la conforme motivazione di questa Corte, in fattispecie analoghe tra le
stesse parti, relative ad altre annualità di imposta (C. Cass. ord. n.20964/2010 e ord.
n.20968/2010), osserva il Collegio che il motivo concluso dal seguente quesito di
diritto: “Dica la Suprema Corte se la mancata allegazione all’avviso di accertamento

del provvedimento di proroga previsto dall’art.12, comma 5, L. 212/2000 ne provoca
afferma apoditticamente l’illegittimità della verifica fiscale compiuta dalla Guardia di
Finanza.
4. Conclusivamente la sentenza impugnata va cassata con accoglimento dei motivi
secondo e terzo del ricorso principale, rigettato il primo motivo del ricorso principale ed
il ricorso incidentale integralmente, e va rinviata alla CTR dell’Abruzzo in altra
composizione perché provveda ad emendare i vizi motivazionali e logici riscontrati,
attenendosi ai principi di diritto enunciati al par. 2.7. della motivazione, nonché a
liquidare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte,
riuniti i ricorsi, accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale,
rigetta il primo motivo del ricorso principale e tutti i motivi del ricorso incidentale,
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR Abruzzo — Sez. Pescara, in diversa
composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così 4eciso in Roma, camera di consiglio del 14 gennaio 2014
Il Co sigliere esten ore
Dott. Laura Trico
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••••

l’illegittimità” risulta inammissibile perché tale quesito non risolve la controversia, ma

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