Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7605 del 04/04/2011

Cassazione civile sez. I, 04/04/2011, (ud. 14/02/2011, dep. 04/04/2011), n.7605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.R., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato RUSSO ANTONINO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositato il

17/06/2003; n. 134/08 Reg. Vol.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/02/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto depositato il 17/6/2008, la corte d’appello di Palermo ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze alla corresponsione a favore del ricorrente T.R. della somma di Euro 24.500,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, per il danno non patrimoniale sofferto dal ricorrente per la durata irragionevole del giudizio promosso avanti alla Corte dei Conti il 17/12/1979, per ottenere la pensione militare per infermita’ contratta in servizio, e definito dalla Corte dei Conti, sez. giurisdizionale per la Regione Sicilia, con sentenza di rigetto dell’11/10/2007.

La corte d’appello ha valutato nel caso superata di 24 anni e 10 mesi la durata ragionevole del processo in oggetto, non particolarmente complesso, fissata in tre anni, ed ha riconosciuto al ricorrente, alla stregua dei criteri applicati dalla Corte di Giustizia per casi simili, la somma di Euro 1000,00 per anno di eccessiva durata, e di Euro 500,00 per la frazione di 10 mesi. Ricorre per cassazione il T., sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso il Ministero.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione o erronea applicazione dell’art. 6 CEDU; dell’art. 4, comma 2 della Carta dell’Unione Europea dei diritti fondamentali, della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 111 Cost.; l’erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione del decreto impugnato, sostenendo la durata irragionevole del giudizio per 27 anni.

1.2.- Con il seconde motivo, il ricorrente denuncia la violazione o erronea applicazione dell’art. 6 CEDU, dell’art. 4, comma 2 della Carta dell’Unione Europea dei diritti fondamentali, violazione ed erronea applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 111 Cost., in relazione alla rilevanza della fase amministrativa precedente il giudizio, erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione, per non avere la corte d’appello valutato la fase amministrativa necessaria.

1.3.- Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia violazione o erronea applicazione dell’art. 6 CEDU, dell’art. 4, comma 2 della Carta dell’Unione Europea dei Diritti fondamentali, della L. n. 89 del 2001, art. 2 dell’art. 111 Cost., in relazione al quantum indennizzabile attesa la natura della causa, erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione alla misura dell’indennizzo, trattandosi di materia pensionistica.

1.4.- Con il quarto motivo, il T. denuncia la violazione od erronea applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., l’erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione, in ordine alla compensazione delle spese.

2.1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ed invero, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto, con decorrenza dal 2/3/2006; dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr, L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5), allorche’ il ricorrente denunzi la sentenza impugnata per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, che, come ritenuto dalla giurisprudenza di questa corte, ” deve consistere in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimita’, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa o affermativa – che ad essa si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame” (cosi’ la sentenza delle sezioni unite, n. 20360 del 2007, e in senso conforme, la successiva ordinanza n. 2658 del 2008 e la sentenza resa a sezione semplice, n. 20360 del 2007).

Quanto alla denuncia del vizio di motivazione, la norma processuale richiede, sempre a pena di inammissibilita’, che l’illustrazione del motivo deve contenere “la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”: la giurisprudenza di questa corte, come da ultimo ribadito nella pronuncia 27680/2009, ha affermato che ” cio’ importa che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ ( cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603)… non e’ sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che e’ indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente destinata”.

Ebbene, nel caso di specie e’ di palese evidenza la carenza del quesito di diritto e del momento di sintesi, essendosi limitato il ricorrente ad una mera espositiva di censure, ora prospettate come violazione di legge, ora come vizio di motivazione, all’interno dei motivi fatte) valere.

Va pertanto dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso.

Le spese di lite del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rifondere all’Amministrazione le spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 900,00, oltre le spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, il 14 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2011

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