Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7604 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 08/03/2022, (ud. 21/12/2021, dep. 08/03/2022), n.7604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26143/2018 R.G. proposto da:

N.G., appresentato e difeso giusta delega in atti

dall’avv. Claudio Lucisano e dall’avv. Sonia Vulcano, con domicilio

eletto in Roma, presso e nello studio dei ridetti difensori in Roma,

via Crescenzio n. 91;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del

Piemonte n. 339/02/18 depositata il 15/02/2018 non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

21/12/2021 dal Consigliere Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha rigettato sia l’appello principale dell’Ufficio sia l’appello incidentale del contribuente e quindi confermato la pronuncia della CTP che aveva, previa riunione dei giudizi, sancito la legittimità dell’avviso di accertamento IRPEF, IVA e IRAP per l’anno 2006 e in parte invece annullato gli avvisi di accertamento per i medesimi tributi riferiti agli anni 2007 e 2008;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione il sig. N. con atto affidato a cinque motivi; resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e mancata applicazione L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, nonché del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice di appello erroneamente ritenuto non necessaria alcuna replica da parte dell’Ufficio alle osservazioni presentate dal contribuente con la memoria in risposta all’emissione del processo verbale di constatazione;

il motivo è privo di fondamento; questa Corte è costante nel ritenere, nella ormai consolidata e del tutto costante sua giurisprudenza, (Cass. Sez. 6/5, Ordinanza n. 8378 del 31/03/201; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3583 del 24/02/2016; Civile Ordinanza Sez. 5 n. 20017 Anno 2019) che in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente della L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo;

– il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonché del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’elencazione dettagliata delle fatture in contestazione contenuta nel PVC assolvesse all’obbligo di motivazione del presupposto di fatto previsto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, difettando quindi la prova dei fatti affermati e posti alla base della pretesa tributaria azionata con l’avviso di accertamento impugnato;

il motivo, sia nella sua contestazione del difetto di motivazione dell’atto impugnato, sia quanto alla contestazione della sussistenza della prova degli elementi di fatto posti a base della pretesa, è infondato;

invero, la CTR a pag. 9 chiarisce come le fatture in parola siano, ai fini dell’accertamento, “irrilevanti”; evidentemente quindi il difetto di analitica elencazione delle stesse non ha costituito elemento fondante né il contenuto motivazione degli atti impugnati prima, né la decisione del giudice dell’appello poi; questi in forza soprattutto di altri elementi ha ritenuto provata la pretesa dell’Agenzia delle Entrate; e in particolare, il giudice del gravame ha ritenuto – come si evince dalla lettura della sentenza – che nel PVC, debitamente portato a conoscenza del contribuente in quanto notificatogli, vi fossero altri elementi idonei e sufficienti a sostenere quanto alla prova dei fatti costitutivi della pretesa, le istanze dell’Ufficio;

– la CTR (pag. 9 della sentenza gravata, penultimo periodo) rimanda infatti a “una molteplicità di elementi (dichiarazioni del B., documentazioni extracontabile della ditta N., elencazione fatture riportate nel pvc notificato al contribuente, documentazione extracontabile della ditta N. sui rapporti con B. e ditta P.G. committente)” atti a giustificare sul piano motivazionale come su quello probatorio la pretesa di maggiori tributi;

il terzo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, dell’art. 42, e dell’art. 2697 c.c., nonché sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice di secondo grado errato nel ritenere che l’ufficio abbia effettuato una corretta istruttoria e abbia assolto completamente al proprio onere probatorio scaturente dal metodo accertativo utilizzato con conseguente difetto di motivazione dell’atto impugnato;

– il motivo è infondato; come ormai costantemente ritiene questa Corte (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 33604 del 18/12/2019) in tema di rettifica dei redditi d’impresa, il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico-induttivo e quello con metodo induttivo c.d. “puro” sussiste, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilita, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati (apparentemente regolari), sicché l’amministrazione finanziaria può “prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.;

nondimeno questa Corte ha anche puntualizzato come (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18934 del 17/07/2018) proprio sempre in tema di accertamento dei redditi di impresa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, la ricorrenza dei presupposti per l’accertamento induttivo (anche nella ipotesi di inattendibilità dell’intera contabilità) non comporta l’obbligo dell’ufficio di avvalersi di tale metodo di accertamento, ma costituisce una mera facoltà che non preclude, pertanto, la possibilità di procedere ad una valutazione analitica dei dati comunque emergenti dalle scritture dell’imprenditore;

nel presente caso, in concreto, gli accertamenti qui impugnati, qualificati anche dalla sentenza come “di tipo induttivo” (pag. 8 terzultimo periodo), in primo luogo si fondano sull’attività ispettiva della GdF e quindi risultano rispettosi dell’art. 39, sopra citato, che consente all’Ufficio di agire determinando il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui al ricitato art. 39, comma 1, alla lett. d), “quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica”;

inoltre, tali irregolarità non solo sono state debitamente accertate e constatate con il verbale di ispezione di cui si è detto, ma sono state ritenute (in quanto consistenti in omessa dichiarazione di operazioni imponibili per importi evidentemente talmente cospicui (per l’anno 2006 per Euro 10.572; per l’anno 2007 per Euro 33.615; e infine per l’anno 2008 quanto all’omessa contabilizzazione di operazioni imponibili, sempre nei rapporti con la ditta B., per la rilevantissima cifra di Euro 241.390) da costituire irregolarità talmente gravi (in forza dell’ammontare contestato), numerose (si tratta di tre violazioni, non di una violazione) e così ripetute (le tre violazioni si sono ripetute in tre periodi d’imposta diversi, e per importi crescenti nel tempo) da consentire la determinazione del reddito del contribuente anche prescindendo dalle scritture contabili;

ma in ogni caso, poiché per costante insegnamento di questa Corte (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18934 del 17/07/2018) la ricorrenza dei presupposti per l’accertamento induttivo (anche nella ipotesi di inattendibilità dell’intera contabilità) non comporta l’obbligo dell’Ufficio di avvalersi di tale metodo di accertamento, ma costituisce una mera facoltà che non preclude la possibilità di procedere ad una valutazione analitica dei dati comunque emergenti dalle scritture dell’imprenditore, nel concreto l’Ufficio ha proceduto ai recuperi contestati – come si evince dalla lettura della sentenza gravata – proprio esaminando e riprendendo ai fini dell’imposizione le singole operazioni in parola;

pertanto, l’Agenzia delle Entrate ha proceduto a un esame della situazione reddituale del contribuente che nella sostanza, al di là dei nominalismi, è risultato nei fatti analitico e non puramente induttivo; ne deriva quindi il rigetto del motivo;

– il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione avendo i giudici di seconde cure errato nel ritenere compiutamente motivati gli avvisi di accertamento impugnati in quanto sarebbe illegittima la ricostruzione proposta poiché fondata unicamente sulla testimonianza del sig. B.V. e non supportata da adeguato riscontro documentale;

– il motivo va rigettato;

– in primo luogo, esso risulta claudicante quanto ad autosufficienza; in forza di giurisprudenza costante di questa Corte (tra molte, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16147 del 28/06/2017) nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso;

– soprattutto, il motivo è comunque infondato dal momento che la CTR, come si rileva dalla motivazione della sentenza gravata, non è stata indotta a decisione solo da dette dichiarazioni;

– invero essa ha rilevato come “e’ lo stesso contribuente ad affermare l’esistenza di rapporti reciproci di debito credito tra il contribuente e ditta B., della sussistenza di eventuali compensazioni non è stata fornita prova”… “il rinvenimento di documentazione extra contabile presso il contribuente avvalora di credibilità le dichiarazione del B. che risulta essere l’unico ad aver fatturato alla P.G.” (pag. 11 della sentenza della CTR);

– il quinto motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR, nonché violazione e mancata applicazione dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici di seconde cure errato nel ritenere che – ai fini dell’imposizione sul reddito – a fronte di maggiori ricavi accertati in via induttiva non dovessero a conoscersi maggiori costi in percentuale;

il motivo è infondato;

posto che, come sopra chiarito, gli accertamenti in oggetto avevano in concreto natura di accertamenti analitico-induttivi e non induttivi “puri”, trova qui applicazione la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (tra le più recenti vedasi Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22868 del 29/09/2017) in tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione al contribuente sottoposto a controllo soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, mentre nel diverso caso di accertamento analitico o analitico-presuntivo è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario;

– conclusivamente, il ricorso è rigettato;

– le spese sono regolate dalla soccombenza;

– sussistono i requisiti per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato per atti giudiziari.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 5.600,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 dei 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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