Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7602 del 04/04/2011

Cassazione civile sez. I, 04/04/2011, (ud. 14/02/2011, dep. 04/04/2011), n.7602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20349/2004 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona

dell’institore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

TUPINI 113, presso l’avvocato CORBO Nicola, che la rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.M. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di

erede di D.M.A.A., assistito da D.V.

nella qualità di sua curatrice, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20, presso l’avvocato GULLO ALESSANDRI,

rappresentato e difeso dall’avvocato TIBONI Carla, giusta procura in

calce al controricorso;

A.A., nella qualità di erede di D.M.A.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, via A. REGOLO 12/D, presso

l’avvocato CASTALDI ITALO, rappresentata e difesa dagli avvocati

GIANSANTE ENNIO, MARINELLI FABRIZIO, giusta procura a margine del

controricorso;

T.C. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di

erede di D.M.A.A., elettivamente domiciliato in ROMA,

via A. REGOLO 12/D, presso l’avvocato CASTALDI ITALO, rappresentato e

difeso dall’avvocato TENTARELLI ETTORE, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 810/2003 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 07/10/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/02/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato N. CORBO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente T.C. per D.M.,

l’Avvocato E. TENTARELLI che ha chiesto il rigetto del ricorse-udito,

per il controricorrente T.M., l’Avvocato E.

TENTARELLI, per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito, per la controricorrente A.A., l’Avvocato E. GIANSANTE

che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione del 12 febbraio 1986, D.M.A.A. convenne dinanzi al Tribunale di L’Aquila l’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, chiedendo, ai sensi della L. 29 luglio 1980, n. 385, art. 1, comma 2, il conguaglio dell’indennità per l’espropriazione di alcuni suoi terreni, determinata, a seguito di accordo bonario, ai sensi della L. citata n. 385 del 1980, art. 1, comma 1.

In contraddittorio con l’Ente Ferrovie dello Stato che resistette alla domanda, il Tribunale adito, disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio, con la sentenza n. 79/1994 dell’11 marzo 1994, tra l’altro, determinò l’indennità di espropriazione, ai sensi del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, in L. 71.234.842, detratto l’acconto già percepito, negando invece il diritto alla rivalutazione monetaria di tale somma.

2. – Avverso tale sentenza la D.M. interpose appello dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila.

Resistette al gravame l’Ente Ferrovie dello Stato, il quale propose anche appello incidentale, chiedendo la rideterminazione dell’indennità di espropriazione in riferimento alle concrete caratteristiche dell’area espropriata.

La Corte adita, con la sentenza n. 810/2003 del 7 ottobre 2003, tra l’altro, in accoglimento dell’appello principale, determinò l’indennità di espropriazione e quella di occupazione temporanea, accogliendo anche la domanda di rivalutazione monetaria delle relative somme, e respinse l’appello incidentale.

In particolare, per quanto in questa sede ancora rileva, i Giudici dell’appello:

A) quanto alla domanda di rivalutazione monetaria della liquidata indennità di espropriazione, hanno affermato che la stessa è accoglibile, “perchè pacificamente provata la sua dell’appellante principale qualità di imprenditore, questa Corte ritiene di dover seguire l’indirizzo, prevalente in giurisprudenza, secondo cui, ai fini del riconoscimento del maggior danno ragguagliato alla svalutazione monetaria, non è necessario che l’imprenditore fornisca la prova di un danno concreto causalmente ricollegabile alla indisponibilità del credito per effetto dell’inadempimento, dovendosi presumere, in base all’id quod plerumque accidit, che, se vi fosse stato tempestivo adempimento, la somma dovuta sarebbe stata utilizzata in impieghi antinflattivi” (vengono richiamate le sentenze della Corte di cassazione nn. 1770 del 2001, 4184 e 1403 del 1998);

B) quanto all’appello incidentale, lo hanno rigettato, “in quanto nessuno degli argomenti portati a sostegno appaiono decisivi nel senso di indurre ad una modifica delle valutazioni accuratamente condotte dal CTU”, ed in quanto, con riferimento alla “presunta erroneità di altri riferimenti, la genericità del rilievo lo rende del tutto inconsistente, mentre il paragone fatto dal CTU col Comune di Pescara non appare sbagliato, posta la contiguità edilizio- urbanistica di quest’ultimo con quello di (OMISSIS)”.

3. – Avverso tale sentenza la s.p.a. Rete Ferroviaria Italiana ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura.

Resistono, con distinti controricorsi, A.A. e T.C., quali eredi di D.M.A.A..

3.1. – Tutte le parti hanno depositato memoria.

3.2. – Con ordinanza pronunciata all’udienza del 16 dicembre 2009, la Corte ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti di T.M., quale altro erede di D.M.A.A..

A tanto ha tempestivamente e ritualmente provveduto la s.p.a. Rete Ferroviaria Italiana nei confronti di T.M., il quale – debitamente assistito dalla curatrice, Dott.ssa D. V. – ha tempestivamente e ritualmente notificato controricorso, con il quale resiste al ricorso proposto dalla s.p.a.

Rete Ferroviaria Italiana. Anche tale controricorrente ha depositato memoria.

3.3. – All’esito dell’odierna udienza di discussione, il difensore della ricorrente ha depositato osservazioni scritte sulle conclusioni del Procuratore generale, ai sensi dell’art. 379 cod. proc. civ., comma 4.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 1, e segg., della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, della L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 3, e di ogni altra norma e principio in tema di determinazione dell’indennità di esproprio con particolare riferimento alla nozione di edificabilità legale e di fatto. Omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”), con il secondo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 1, e segg., della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, della L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 3, e di ogni altra norma e principio in tema di determinazione dell’indennità di esproprio e di occupazione d’urgenza, di rilevanza di vincoli espropriativi e di rapporto tra questi ultimi ed i vincoli conformativi. Violazione del D.P.R. n. 753 del 1980, art. 49 e di ogni altra norma e principio in materia di distanze delle costruzioni dalle strade ferrate. Omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia – art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.”) e con il terzo motivo (con cui deduce:

“Violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 1, e segg., della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, della L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 3, e di ogni altra norma e principio in tema di determinazione dell’indennità di esproprio e di occupazione d’urgenza. Omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, la ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che: a) la indennità di espropriazione, pur essendo stata formalmente determinata ai sensi del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, lo è stata sostanzialmente ai sensi della L. n. 2359 del 1865, perchè i Giudici dell’appello hanno fondato la decisione esclusivamente sulla consulenza tecnica d’ufficio espletata nel 1990, respingendo altresì la richiesta di rinnovazione della stessa consulenza sulla base della disciplina sopravvenuta; b) nella determinazione dell’indennità di espropriazione dell’area non si sono tenuti in alcun conto nè il vincolo ferroviario nè ulteriori vincoli urbanistici posti alle zone limitrofe; c) i Giudici a quibus, quanto alla ritenuta natura edificatoria dell’area, non avrebbero tenuto in alcun conto i rilievi del consulente tecnico di parte.

Con il quarto motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., e di ogni altra norma e principio in materia di liquidazione del maggior danno. Omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”), la ricorrente critica ancora la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello hanno erroneamente riconosciuto il diritto alla rivalutazione monetaria esclusivamente sulla base della qualità di imprenditrice della creditrice, senza considerare che questa non aveva dato alcuna prova del maggior danno.

2. – Tutti i controricorrenti eccepiscono l’inammissibilità dei primi due motivi del ricorso, perchè sulla natura edificatoria dell’area espropriata si sarebbe formato il giudicato interno, in assenza di specifiche censure al riguardo nell’appello incidentale della ricorrente.

3. – I primi tre motivi del ricorso sono inammissibili.

La predetta eccezione di giudicato sollevata dai controricorrenti consente di svolgere le seguenti osservazioni.

3.1. – In primo luogo, sulla natura edificatoria delle aree espropriate si è formato il giudicato interno.

Al riguardo, si osserva – per quanto in questa sede rileva – che il Tribunale di L’Aquila, con la sentenza di primo grado n. 79/94 dell’11 marzo 1994, nel pronunciare sulla domanda di determinazione dell’indennità di espropriazione richiesta dalla D.M.: a) ha dichiaratamente applicato il D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 1, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, che, come noto, stabiliva i criteri per la determinazione della “indennità di espropriazione per le aree edificabili”; b) ha inequivocabilmente ritenuto le aree espropriate di natura edificabile: infatti, premettendo di condividere totalmente le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio sulla determinazione in concreto dell’indennità di espropriazione, ha tra l’altro, affermato: “Il consulente (…), tenuto conto della vocazione edificatoria del fendo della attrice (situato in una zona dal notevole sviluppo edilizio e provvista di tutte le necessario infrastrutture) … ha determinato in L. 85.000 al metro quadrato il valore di mercato che il predetto fondo aveva all’epoca della espropriazione”.

D’altro canto, l’odierna ricorrente, nel costituirsi nel giudizio d’appello promosso dalla D.M. con la comparsa di costituzione e risposta depositata il 5 marzo 1996, ha proposto appello incidentale avverso la predetta sentenza, concludendo come segue: “in accoglimento dell’appello incidentale ed in parziale riforma della sentenza impugnata, determinando l’indennità di esproprio sulla base delle valutazioni espresse dal C.T.P. e delle norme di legge successivamente intervenute”. In particolare, i motivi dell’appello incidentale sono tutti volti a contestare esclusivamente il valore venale unitario attribuito alle aree espropriate dal consulente tecnico d’ufficio e, segnatamente, alcuni criteri erroneamente applicati, per determinarlo (“la non definitività di taluni accertamenti” tributari, “la erroneità di altri riferimenti”, “la inerenza di comparazioni ad altro Comune”), senza alcuna contestazione circa la affermata natura edificatoria dell’area in questione.

E’, pertanto, evidente che sulla natura edificatoria delle aree espropriate si è formato il giudicato interno.

3.2. – In secondo luogo, 11^ motivo con il quale si denuncia la omessa considerazione del vincolo ferroviario e di ulteriori vincoli urbanistici posti alle zone limitrofe nella determinazione dell’indennità di espropriazione è parimenti inammissibile, perchè pone questioni nuove.

Infatti, la Corte aquilana tace al riguardo, perchè – come si è già visto – i motivi dell’appello incidentale dell’odierna ricorrente non si riferivano in alcun modo alle predette questioni, limitandosi a richiamare, globalmente quanto genericamente, le non meglio precisate osservazioni del consulente tecnico di parte.

4. – Il quarto motivo è, invece, fondato.

4.1. – Con due successive sentenze del 2007 e del 2008, le sezioni unite di questa Corte hanno affermato i seguenti principi: a) nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione pecuniaria, il danno da svalutazione monetaria non è in re ipsa, ma può essere liquidato soltanto ove il creditore deduca e dimostri che un tempestivo adempimento gli avrebbe consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell’inflazione (sentenza n. 16871 del 2007); b) nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in rutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali, con la conseguenza che, ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva, e che, in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi, ovvero attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite, mentre il debitore avrà l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale (sentenza n. 19499 del 2008).

Tali principi – che costituiscono ormai diritto vivente (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 3042 del 2009) e sono condivisi dal Collegio – hanno innovato rispetto al precedente orientamento, secondo cui in tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, nel caso in cui il creditore – del quale non sia controversa la qualità di imprenditore commerciale – deduca di aver subito dal ritardo del debitore nell’adempimento un pregiudizio conseguente al diminuito potere di acquisto della moneta, non è necessario, ai fini del riconoscimento del maggior danno ragguagliato alla svalutazione monetaria, che egli fornisca la prova di un danno concreto causalmente ricollegabile all’indisponibilità del credito per effetto dell’inadempimento, dovendosi presumere, in base all’id quod plerumque accidit, che, se vi fosse stato tempestivo adempimento, la somma dovuta sarebbe stata utilizzata in impieghi antinflattivi per il finanziamento dell’attività imprenditoriale e, quindi, sottratta agli effetti della svalutazione (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 5860 del 2006 e 13359 del 2007).

Tale precedente orientamento è proprio quello applicato dalla Corte d’Appello di L’Aquila nella specie, sulla base dell’unico rilievo che risultava “pacificamente provata la … qualità di imprenditore” della dante causa dei controricorrenti.

All’applicazione del nuovo orientamento deve conseguire l’annullamento della sentenza impugnata, nella parte in cui riconosce il diritto della dante causa dei ricorrenti ( D.M.A.A.) alla rivalutazione monetaria sulle somme liquidate a titolo di indennità di espropriazione e di occupazione temporanea.

4.2. – Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, con la conseguente reiezione della domanda di rivalutazione monetaria sulle somme liquidate a titolo di indennità di espropriazione e di occupazione temporanea, proposta da D. M.A.A..

Conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate, per l’intero – previa compensazione per un quarto, in ragione dell’accoglimento parziale dell’appello, in complessivi Euro 10.500,00, ivi compresi Euro 250,00 per esborsi, Euro 1.500,00 per diritti, ed Euro 8.750,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

5. – Le spese del presente grado del giudizio compensate per un quarto, in ragione dell’accoglimento di un solo motivo del ricorso – seguono la residua prevalente soccombenza della ricorrente e vengono liquidate nel dispositivo in favore di ciascun controricorrente.

PQM

Dichiara inammissibili i primi tre motivi; accoglie il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, respinge la domanda di rivalutazione monetaria.

Condanna la ricorrente alle spese, che determina, per il giudizio di merito, in tre quarti dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 10.500,00, ivi compresi Euro 250,00 per esborsi, Euro 1.500,00 per diritti, ed Euro 8.750,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e, per il giudizio di legittimità, in tre quarti dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 5.400,00 per ciascun resistente, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2011

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