Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7600 del 04/04/2011

Cassazione civile sez. I, 04/04/2011, (ud. 10/01/2011, dep. 04/04/2011), n.7600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Varrone n. 9, presso l’avv. ORANDONE ANGELO unitamente all’avv.

VALENTI Alessandro del foro di Bologna, dal quale è rappresentato e

difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t., domiciliato

per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12. presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, dalla quale è rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Catanzaro pubblicato

l’11 gennaio 2007, n. 359/05 R.G.V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

gennaio 2011 dal Consigliere dott. Guido Mescolino:

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. LETTIERI Nicola, il quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. — Con decreto dell’11 gennaio 2007, la Corte d’Appello di Catanzaro ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da C.P. nei confronti del Ministero della Giustizia per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un procedimento penale promosso nei confronti dell’istante dinanzi al Tribunale di Matera per concorso in bancarotta fraudolenta e frode nelle sovvenzioni pubbliche.

Premesso che il ricorrente, tratto in arresto in virtù di ordinanza cautelare di custodia in carcere emessa il 23 aprile 1993 dal Giudice per le Indagini Preliminari, era stato assolto dal Giudice dell’udienza Preliminare con sentenza del 12 aprile 2005. La Corte d’Appello, avuto riguardo alla natura ed alla complessità del procedimento, nonchè del comportamento non dilatorio dell’imputato, ha determinato in quattro anni la durata ragionevole del processo, e, tenuto conto del pregiudizio psichico transitorio legato all’incertezza ed all’ansia per l’esito del processo, ha liquidato in Euro 15.000,00 il danno non patrimoniale subito dall’istante.

Ha invece rigettato la domanda di riparazione del danno patrimoniale, per mancanza di prova.

2. – Avverso il predetto decreto il C. propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione,, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 111 Cost., comma 7, lamentando la totale assenza o la mera apparenza della motivazione del decreto impugnato, nel quale la Corte d’Appello non ha addotto alcun elemento che consenta di ricostruire il sillogismo che ha ispirato la liquidazione del danno non patrimoniale.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, dolendosi dell’iniquità dell’indennizzo liquidato dalla Corte d’Appello, sia in relazione ai parametri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che in relazione all’importanza degli interessi personali lesi dalla durata eccessiva del processo.

3. – Le predette censure da esaminarsi congiuntamente per la comune attinenza alla liquidazione del danno non patrimoniale, sono infondate.

Secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, infatti, il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificale dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli.

E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta lui evidente aggravamento del danno (cfr. Cass.. Sez. 1^, 30 luglio 2010. n. 17922: 14 ottobre 2009, n. 21840).

Tali parametri appaiono sostanzialmente rispettati nel decreto impugnato, con il quale la Corte d’Appello ha liquidato, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale, l’importo complessivo di Euro 15.000,00, che, avuto riguardo all’accertato ritardo di sette anni, undici mesi e venti giorni nella definizione del giudizio presupposto, risulta pari ad un importo annuo di Euro 1.900,00 circa, ben superiore a quello minimo derivante dall’applicazione dei criteri elaborati dai Giudici di Strasburgo. A fondamento di tale liquidazione, la Corte territoriale ha evidenziato la natura del giudizio, avente ad oggetto l’accertamento di gravi reati, ed il pregiudizio conseguentemente sofferto dal ricorrente in dipendenza dell’incertezza e dell’ansia per l’esito del procedimento, sottolineando peraltro i carattere transitorio della sua incidenza sulle condizioni psicologiche dell’interessato.

Il riferimento della motivazione alle particolarità del caso concreto rende evidente che la Corte, pur non avendolo precisato espressamente, ha fatto ricorso a metodo equitativo, ordinariamente ritenuto il più adatto ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, tenuto conto della difficoltà di provare tale pregiudizio nella sua esatta consistenza. Certamente, affinchè la discrezionalità della valutazione in cui tale metodo si sostanzia non trasmodi in arbitrio, è necessario che il giudice di merito fornisca indicazioni in ordine ai criteri che lo hanno condotto a ritenere proporzionata una certa misura dell’indennizzo:

l’indicazione del decreto quale forma della decisione in ordine alla domanda di equa riparazione conferisce peraltro alla motivazione caratteri di sommarietà che appaiono compatibili con una sintetica individuazione delle ragioni della decisione, purchè la stessa non impedisca di individuare, almeno per grandi linee ed anche dall’insieme delle indicazioni espresse nel provvedimento, i fondamentali elementi di giudizio sui quali la decisione è basata (cfr. Cass.. Sez. 1^, 17 aprile 2003, n. 6108; 3 gennaio 2003, n. 8;

19 novembre 2002, n. 16256).

Tale non è, evidentemente, il caso del decreto impugnato, la cui stringatezza, per quanto attiene alla liquidazione del danno non patrimoniale, non incide negativamente sull’individuazione degli elementi posti a base della relativa valutazione, che la Corte d’Appello ha indicato nell’ansia e nel patema d’animo connessi alla durata del procedimento penale ed alla gravità dei reati ascritti al ricorrente. Quest’ultimo contesta la liquidazione, denunciando l’omessa valutazione dell’importanza degli interessi personali e patrimoniali coinvolti nel giudizio presupposto, e richiamando a tal fine i fatti esposti in una memoria depositata nel corso del procedimento, senza però indicare gli elementi acquisiti agli atti, dai quali la Corte d’Appello avrebbe dovuto desumere la prova di tali circostanze, con la conseguenza che le censure proposte risultano, sotto tale profilo, prive di autosufficienza.

4. – E’ parimenti infondato il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 2056 c.c. censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha rigettato per mancanza di prova la domanda di riparazione del danno patrimoniale, senza procedere alla liquidazione in via equitativa, benchè fosse stato dimostrato l’arresto irreversibile della sua carriera di corridore motociclistico professionista.

4.1. Mentre il danno non patrimoniale costituisce una conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, e pertanto, pur non configurandosi come danno in re ipsa, deve essere ritenuto sussistente, in base all’id quod plerumque accidit, una volta accertata la predetta violazione, purchè non ricorrano in concreto circostanze particolari tali da far escludere che esso sia stato subito dal ricorrente, la liquidazione dell’indennizzo per il danno patrimoniale è soggetta alle regole ordinarie in materia di onere probatorio, dettate dall’art. 2697 c.c., con la conseguenza che la parte che agisce per il suo riconoscimento è tenuta a fornire la prova rigorosa dell’esistenza e della consistenza di tale pregiudizio (cfr. Cass. Sez. 1^, 7 marzo 2007, n. 5213). Soltanto in presenza di tale prova la corte d’appello può procedere alla liquidazione in via equitativa, non potendosi con tale metodo sopperire alla mancata dimostrazione dell’esistenza e dell’entità materiale del danno, ma solo all’impossibilità o alla particolare difficoltà di determinarne con precisione l’equivalente pecuniario (cfr. Cass. Sez. 3^, 30 aprile 2010, n. 10607: 18 aprile 2007, n. 9244).

Non merita pertanto censura il decreto impugnalo, nella parte in cui ha rigettato la domanda di riconoscimento dell’indennizzo per il danno patrimoniale, sul presupposto che il ricorrente non aveva fornito una prova specifica e rigorosa della mancata acquisizione di ingaggi e sponsorizzazioni a seguito del protrarsi nel tempo del procedimento penale. Nè tale conclusione si pone in contrasto con la prova, che il ricorrente sostiene di aver fornito, delle difficoltà da lui incontrate nella prosecuzione della sua carriera di corridore motociclistico, non essendo state neppure specificate le ricadute negative di tali difficoltà sul piano economico, la cui dimostrazione avrebbe potuto legittimare la liquidazione del danno in via equitativa da parte del giudice di merito.

5. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 900,00 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 10 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2011

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