Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7599 del 30/03/2020

Cassazione civile sez. I, 30/03/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 30/03/2020), n.7599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8358/2019 proposto da:

E.D., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Dei

Consoli, 62, presso lo studio dell’avvocato Enrica Inghilleri e

rappresentato e difeso dall’avvocato Lucia Paolinelli in forza di

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 28/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso il D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, depositato il 20/7/2018, E.D., cittadino della (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Ancona – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato in (OMISSIS), e di essersi trasferito con la moglie per lavoro nel (OMISSIS); di aver accettato nel 2013 un nuovo impiego a (OMISSIS), da cui tornava ogni due settimane per vedere moglie e figlio; che il suo lavoro di camionista lo portava a viaggiare per tutta la Nigeria; che nel mese di (OMISSIS) vi era stato l’ennesimo attacco terrorista a (OMISSIS) da parte dei (OMISSIS); di essersi licenziato immediatamente con l’intenzione di portare la sua famiglia in un luogo più sicuro di (OMISSIS), che era stato teatro di numerosi gravi attacchi terroristici; di essersi perciò trasferito a (OMISSIS) a (OMISSIS), presso l’abitazione del padre, uno degli autorevoli anziani del villaggio, e di aver iniziato a lavorare come contadino; che il villaggio di etnia edo era spesso attaccato da un’altra etnia nomade, i (OMISSIS); che l'(OMISSIS), sentite grida dietro casa, si era accorto che il figlio era stato ucciso da un gruppo di (OMISSIS); che uno di loro teneva in ostaggio il padre, e poi lo aveva colpito con violenza e lo aveva accoltellato; un altro aveva colpito lui alla testa con il calcio del fucile; un altro ancora stava violentando sua moglie; lui era intervenuto e lo aveva colpito con un bastone, fuggendo poi con la moglie verso la campagna; che il pastore li aveva fatti nascondere e poi li aveva avvertiti che i (OMISSIS) stavano cercandoli per vendicare la morte del loro compagno rimasto ucciso nello scontro; di essersi indotti a lasciare il Paese su consiglio del pastore per il timore della vendetta dei (OMISSIS); che la moglie era morta di stenti durante il viaggio per la Libia; di essersi poi imbarcato per l’Italia.

Con Decreto del 28/1/2019 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto, comunicato il 29/1/2019, ha proposto ricorso E.D., con atto notificato il 27/2/2019, svolgendo tre motivi, diretti contro i capi da 4 a 8 della sentenza (ossia: valutazione di credibilità del richiedente asilo; situazione del Paese di origine; status di rifugiato; protezione sussidiaria; permesso di soggiorno per motivi umanitari).

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con memoria 10/6/2019, al solo fine di poter partecipare alla discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente impugna i predetti capi con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, ravvisando nella pronuncia impugnata una motivazione tautologica e apodittica, e pertanto meramente apparente.

La censura è infondata.

Il Tribunale, specialmente nel p. 4, pag. 2, ultimi tre capoversi, nel p. 5, pag. 5, secondo capoverso, nel p. 6.5., pag. 6, terzultimo e penultimo capoverso, e nel p. 7. 2., pag. 7, quartultimo, terzultimo e penultimo capoverso, ha chiarito efficacemente le ragioni del diniego delle forme maggiori di protezione internazionale, status di rifugiato e protezione sussidiaria.

In buona sostanza, secondo il Tribunale, il racconto del sig. E. circa la sua vicenda personale era veritiero e credibile, ma l’attacco omicida subito dai (OMISSIS) doveva essere considerato come un evento episodico e casuale in una regione come l’Edo State, sicchè in caso di rientro in patria il ricorrente non avrebbe corso il rischio di un grave danno alla persona.

2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 A della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 2, 3, 4, 5 e art. 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, artt. 11 e 32, nonchè vizio di motivazione.

2.1. Secondo il ricorrente, il Tribunale aveva mistificato il principio per cui la credibilità soggettiva del richiedente deve essere apprezzata secondo i criteri legali e non può essere il frutto di soggettivistiche opinioni, non avendo tenuto debitamente conto dell’adempimento del dovere di cooperazione, del riferimento di tutti gli elementi rilevanti, dell’assenza di contraddizione e della linearità del narrato.

La censura è fuori fuoco: il Tribunale, come si è detto, non ha dubitato della genuinità del racconto del richiedente asilo.

2.2. Secondo il ricorrente il Tribunale era poi incorso in contraddizione con le fonti informative acquisite ed illustrate circa la sicurezza della Nigeria.

Il Tribunale, pur ritenendo credibile la storia del ricorrente, l’aveva svalutata quale fatto episodico non idoneo a giustificare alcuna concessione di forme di protezione.

La censura è del tutto generica e non tiene conto dell’indagine condotta dal Tribunale sulla base della consultazione delle fonti informative che l’hanno indotto a ritenere che nell’Edo State il pericolo delle scorrerie dei (OMISSIS) fosse del tutto occasionale ed episodico, pur non disconoscendo la sussistenza di altri tipi di problematiche, peraltro piuttosto risalenti, legati ai giacimenti petroliferi del (OMISSIS) ed escludendo il rischio per i civili di esposizione a violenza indiscriminata scaturente da conflitto armato interno.

2.3. Il ricorrente aggiunge di essere stato vittima indiretta della violenza del gruppo terrorista (OMISSIS) che lo aveva costretto ad abbandonare con la sua famiglia la città di (OMISSIS).

La circostanza, pur processualmente acquisita attraverso l’avallo della credibilità attribuita al racconto personale del richiedente asilo, di per sè appare ininfluente ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

Infatti il ricorrente si era volontariamente rilocalizzato nella diversa regione di provenienza, ossia nell’Edo State, in modo stabile, essendosi ivi trasferito con la famiglia nella comunità del padre, dopo aver abbandonato il precedente lavoro di camionista per fare il contadino.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della legge nazionale e sovrannazionale inerente il permesso di soggiorno per motivi umanitari, e in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, art. 3 CEDU e art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c), nonchè vizio di motivazione.

3.1. Secondo il ricorrente, il Tribunale aveva errato anche non riconoscendo un permesso di soggiorno per motivi umanitari, tenuto conto della grave instabilità politica e sociale del Paese di provenienza, come risultava dall’ultimo rapporto di Amnesty International 2017-2018 e del principio del divieto di refoulement.

Il richiedente asilo era soggetto vulnerabile, sradicato dal Paese di origine, abbandonato per sfuggire alla morte e allo sterminio della sua famiglia; il suo equilibrio psicofisico era stato compromesso; era affetto da sindrome psicotica di origine ipotimica che aveva reso necessaria una terapia farmacologica antipsicotica; era impensabile un suo rientro in Nigeria; in Italia aveva appreso la lingua, si era ben integrato e aveva mantenuto un comportamento rispettoso delle regole.

3.2. Giova ricordare che secondo la recentissima sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che ha avallato l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684-01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto D.L..

Inoltre, la stessa sentenza n. 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito ha aderito al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298-01, in tema di protezione umanitaria, ha affermato il principio secondo cui l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

Secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale, i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale del richiedente derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

La condizione di vulnerabilità può avere ad oggetto anche le condizioni per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa. Al fine di verificare la sussistenza di tale condizione, non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Nè il livello di integrazione dello straniero in Italia nè il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Da un lato, infatti, il diritto al rispetto della vita privata, sancito dall’art. 8 CEDU, può subire ingerenze da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, in modo particolare nel caso in cui lo straniero non goda di un titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale. Dall’altro, il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del richiedente deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente stesso, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la sua situazione particolare, ma quella del suo Paese di origine in termini generali e astratti, in contrasto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5.

Il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, non può pertanto escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine. Tale riconoscimento deve infatti essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4455).

3.3. Il Tribunale, a sostegno del disposto diniego della “protezione umanitaria”, pur correttamente ritenuta riconoscibile ratione temporis, ha escluso la sussistenza di una situazione di vulnerabilità soggettiva del richiedente asilo, ha negato che egli avesse intrapreso un serio percorso di integrazione sociale ed economica e ha ritenuto che la problematica di salute da lui evidenziata non giustificava di per sè la concessione di un permesso umanitario, tenuto conto del diritto alle cure sino alla permanenza sul territorio nazionale e del divieto temporaneo di espulsione in caso di necessità di cure mediche mediante trattamenti non disponibili nel luogo di rimpatrio.

3.4. Così ragionando, il Tribunale è incorso in una valutazione atomistica e frammentaria dei componenti della fattispecie, poichè ha esaminato uno per uno i singoli elementi accertati ma non li ha valutati complessivamente e unitariamente, contraddicendo il suo stesso assunto teorico, invece pienamente corretto, circa la funzione integrativa e residuale della tutela offerta dal permesso di soggiorno per motivi umanitari, applicabile quando vengano in rilievo plurimi aspetti di vulnerabilità.

Infatti, il concorso di singole circostanze, di per sè insufficienti a determinare una condizione di vulnerabilità, può ben determinarla allorchè esse si cumulino e interagiscano, alla stregua di un criterio logico di giudizio che ha trovato espressione nella giurisprudenza di questa Corte nei più vari ambiti, dalla responsabilità disciplinare a quella sanitaria, dalla diffamazione al licenziamento (ex plurimis: Sez. 3, n. 5487 del 26/02/2019, Rv. 652991-01; Sez. L, n. 23042 del 26/09/2018, Rv. 650448-01; Sez. 3, n. 9178 del 13/04/2018, Rv. 648590-01; Sez. 3, n. 29640 del 12/12/2017, Rv. 646655-01; Sez. 3, n. 12012 del 16/05/2017, Rv. 644302-01; Sez. U., n. 6468 del 31/03/2015, Rv. 634767-01).

Nella fattispecie, in primo luogo, il ricorrente aveva vissuto l’esperienza di aver dovuto abbandonare la zona del Paese ove si era stabilito con la famiglia a causa delle persecuzioni terroristiche del gruppo (OMISSIS); in secondo luogo, dopo aver lasciato casa e lavoro ed essersi rilocalizzato nella zona originaria, presso il villaggio del padre, aveva subito la tragica esperienza dell’aggressione presso la propria abitazione, dell’assassinio del figlio, dello stupro della moglie, del ferimento proprio e del padre; in terzo luogo, il ricorrente aveva perso la compagna per gli stenti durante il viaggio migratorio; in quarto luogo, le sue condizioni di salute erano compromesse dall’accertata sindrome psicotica di origine ipotimica, sottoposta a trattamento farmacologico; infine, sotto il profilo dell’integrazione, risulta pur sempre che il ricorrente aveva frequentato corsi di formazione, volontariato e apprendimento linguistico.

Era il complesso di tali elementi fattuali, positivamente accertati, a dover essere valutato globalmente ai fini del riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, nella prospettiva di una situazione di vulnerabilità personale dello straniero derivante dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale tale da costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili.

3.5. Il motivo di ricorso deve pertanto essere accolto, con l’enunciazione del seguente principio di diritto ex art. 384 c.p.c., a cui si dovrà attenere il Giudice del rinvio:

“Ai fini del riconoscimento di un permesso di soggiorno per casi speciali previsto dal D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 9, convertito nella L. n. 132 del 2018, nel caso in cui ricorrano i presupposti per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, applicabile ratione temporis alle domande di protezione proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova disciplina introdotta con il predetto D.L. n. 113 del 2018, il giudice deve valutare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili, evitando di addivenire ad una considerazione atomistica e frammentata dei singoli elementi fattuali a tal fine accertati dovendoli invece considerare globalmente e unitariamente”.

4. In ragione dell’accoglimento del terzo motivo di ricorso, respinti i primi due, la sentenza impugnata deve essere cassata con il rinvio della causa al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il terzo motivo di ricorso, respinti i primi due, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2020

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