Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7599 del 04/04/2011

Cassazione civile sez. I, 04/04/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 04/04/2011), n.7599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26833/2009 proposto da:

B.M.M. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUNIGIANA 6, presso il Dott. GREGORIO

D’AGOSTINO, rappresentata e difesa dall’avvocato INTILISANO Mario,

giusta procura speciale per Notaio JOHN L. ROSSI di WINDSOR (ONTARIO-

CANADA) – Prot. n. 155 del 4.11.09;

– ricorrente –

contro

BE.GI. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 142, presso l’avvocato GALGANO

Giuseppe, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

COSTANTINO BENEDETTO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1245/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/12/2010 dal Consigliere Dott. MASSIMO DOGLIOTTI;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato G. GALGANO che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 20/10/2004, BE.Gi.

chiedeva pronunciarsi la separazione personale dalla moglie B. M., cittadina (OMISSIS), e disporsi l’affidamento congiunto dei figli minori A. e J..

Si costituiva la B., eccependo il difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Il Presidente del Tribunale di Bassano del Grappa assumeva provvedimenti provvisori, affidando i figli al padre.

In corso di causa, veniva disposta ed espletata CTU sull’affidamento dei minori.

Parimenti in corso di causa, la B. proponeva ricorso per regolamento di giurisdizione a questa Corte, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 42 e art. 1 Convenzione dell’Aia 5/10/1961. Veniva sospeso il giudizio per la parte relativa ai provvedimenti a “protezione” dei minori.

Contestualmente la B. adiva il Tribunale dei Minorenni di Venezia ai sensi della Convenzione dell’Aia 1980, per sottrazione internazionale di minori; il Giudice ne disponeva il rientro con provvedimento in data 1/11/2005.

Con ordinanza in data 12 – 26/10/2006, le sezioni unite di questa Corte dichiaravano inammissibile il ricorso per regolamento di giurisdizione, in quanto la B., nel costituirsi, aveva implicitamente accettato la giurisdizione italiana, non avendo eccepito tempestivamente tale difetto.

Riassunto il processo davanti al Tribunale di Bassano del Grappa, la B. proponeva nuovamente la questione di giurisdizione, sostenendo che il giudice avrebbe dovuto rilevare d’ufficio il proprio difetto di giurisdizione ai sensi della L. n. 218 del 1995, artt. 11 e 42, nonchè art. 1 Convenzione dell’Aia 1961. Essa chiedeva altresì l’affidamento esclusivo dei figli. Il giudice istruttore, ai sensi dell’art. 708 c.p.c., accoglieva tale ultima istanza.

Con sentenza in data 23/5 – 17/6/2008, il Tribunale di Bassano del Grappa dichiarava la giurisdizione del giudice italiano, nonchè l’applicabilità della legge italiana, ai sensi della L. n. 218, art. 14, ult. parte, non essendo possibile individuare uno Stato, nel quale la vita matrimoniale si fosse prevalentemente localizzata;

dichiarava la separazione personale dei coniugi, affidava i figli alla madre, con regolamentazione del diritto di visita del padre;

poneva a carico di questo assegno mensile di Euro 1.500,00 per i figli; dichiarava inammissibile perchè tardiva la domanda della B. di mantenimento.

Proponeva appello la B., eccependo il difetto di giurisdizione, e sostenendo l’erronea applicazione della legge italiana, nonchè l’ammissibilità della domanda di mantenimento per sè, lamentando altresì la mancata concessione di termini per memorie ex art. 183 c.p.c., art. 184 c.p.c., nonchè l’erronea determinazione dell’assegno di mantenimento in Euro 1.500,00 anzichè Euro 3.000,00 per i figli.

Proponeva appello incidentale il Be., in ordine al contributo al mantenimento dei figli e alle modalità di visita.

La Corte di Appello di Venezia, con sentenza in data 23/3 – 16/7/2009, rigettava entrambi gli appelli.

Ricorre per cassazione la B., sulla base di quindici motivi.

Resiste con controricorso il Be..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente eccepisce difetto di giurisdizione, lamentando violazione della L. n. 218 del 1995, artt. 11 e 42, nonchè art. 1 Convenzione dell’Aia 5/10/1961 resa esecutiva con L. n. 742 del 1980 (art. 360 c.p.c., nn. 1, 3 e 4). Sostiene la ricorrente che andava rilevato d’ufficio L. n. 218 del 1995, ex art. 11, il difetto di giurisdizione del giudice italiano, ai sensi dell’art. 1 della Convenzione predetta (ove si fa riferimento allo Stato di residenza abituale dei minori) richiamata dalla L. n. 218 del 1995, art. 42.

Il motivo va rigettato, in quanto infondato.

Sostiene la pronuncia impugnata che ogni profilo del difetto di giurisdizione è assorbito dall’intervenuta pronuncia di questa Corte, cui si è fatto riferimento in parte narrativa.

Va, sul punto, corretta la motivazione della Corte di merito.

Questa Corte, in applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 4, ha precisato che la convenuta è comparsa nel processo, senza eccepire difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo (essa aveva erroneamente richiamato il criterio di collegamento di cui all’art. 31 predetta legge: prevalente localizzazione della vita matrimoniale, che attiene non già alla giurisdizione, ma alla applicabilità, da parte del giudice italiano, della legge stranierai.

Non contesta peraltro la ricorrente tale profilo, evidentemente coperto da giudicato, ma afferma invece che, ai sensi dell’art. 11 stessa legge, il giudice avrebbe dovuto provvedere d’ufficio.

La rilevabilità d’ufficio non è evidentemente coperta da giudicato:

è da ritenere infatti che le ipotesi di rilevabilità d’ufficio, ai sensi dell’art. 11, si aggiungano a quelle di deducibilità ad istanza di parte, da eccepirsi nel primo atto difensivo. E tuttavia tali ipotesi sono estranee alla fattispecie in esame.

Il difetto di giurisdizione può essere rilevato in qualunque stato o grado del procedimento dal convenuto costituito che non abbia accettato, ancorchè implicitamente (come, al contrario, indicato dalla predetta ordinanza di questa Corte) la giurisdizione italiana, ovvero dal giudice, se il convenuto sia contumace, ovvero si tratti di azioni reali, aventi ad oggetto beni immobili situati all’estero;

ovvero se la giurisdizione sia esclusa per effetto di una “norma internazionale”.

E’ da ritenere, con riferimento a questa ultima ipotesi, che si tratti, nella specie, di limiti posti all’esercizio della potestà giurisdizionale dello Stato italiano da norme di natura consuetudinaria (ad es. l’esclusione dalla giurisdizione civili degli Stati stranieri) o pattizie, come quelle regolanti la immunità dalla giurisdizione italiana delle organizzazioni internazionali, degli agenti diplomatici o consolari , secondo una specifica e circoscritta ratio per cui il rispetto dell’obbligo internazionale assunto dallo Stato di non esercitare la propria giurisdizione non può essere rimesso alla disponibilità delle parti.

Dunque non ricorre, nella specie, nessuna ipotesi di cui all’art. 11 predetto.

Al contrario, la giurisdizione italiana, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 32, che regola la giurisdizione con riferimento al procedimento di separazione personale dei coniugi, sussiste anche quando uno dei coniugi è cittadino italiano ovvero il matrimonio, come nella specie, è stato celebrato in Italia.

La ricorrente pure si riferisce alla L. n. 218 del 1995, art. 42, che si riferisce ai provvedimenti “a protezione” dei minori. Tale norma richiama la convenzione dell’Aia 5 ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, resa esecutiva con L. 24 ottobre 1980, n. 742. Il legislatore del 1995 ha inteso attribuire a tale convenzione una portata generale, al di là del suo ambito originario, l’imitato agli Stati contraenti. La predetta convenzione, quanto alla giurisdizione privilegia il luogo di residenza abituale del minore (art. 1) ma pure prevede, in alternativa quella dello Stato di cui il minore è cittadino (art. 4).

Per quanto osservato, va dunque affermata la giurisdizione italiana, pur correggendosi la motivazione della impugnata sentenza.

Rigettato il primo motivo, rimangono assorbiti tutti quelli attinenti la giurisdizione (motivi da 2 a 6 nonchè motivi 13 e 14), ivi compresi quelli relativi alla eccezione di costituzionalità della L. n. 218 del 1995, artt. 4, 11 e 42 e alla proposizione di questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia U.E., le quali appaiono nella specie, irrilevanti in quanto riferite a minori, residenti abituali in paesi (come il Canada) che non hanno ratificato la predetta convenzione dell’Aja del 1961.

Con il settimo motivo, la ricorrente lamenta violazione della L. n. 218 del 1995, artt. 14, 29, 30 e 31 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), affermando l’erronea applicazione della legge italiana piuttosto che di quella canadese, sostenendo altresì che era già stato documentato e poteva provarsi coni mezzi istruttori richiesti che la vita matrimoniale si era svolta prevalentemente in Canada. Precisa altresì la ricorrente che l’art. 14 riguarda la mancata conoscenza della legge straniera, ma non pone un criterio di collegamento residuale ai fini della individuazione della legge applicabile.

Il motivo merita accoglimento per quanto di ragione.

La L. n. 218 del 1995, art. 31, prevede, come è noto, con riferimento alla separazione personale dei coniugi il criterio di collegamento, ai fini della legge applicabile, del luogo di prevalente localizzazione della vita matrimoniale, ove i coniugi non abbiano la medesima nazionalità. Tale criterio è stato introdotto per la prima volta dal legislatore del 1995. Si parla di “vita matrimoniale” e non di famiglia: nozione dinamica, di relazione tra soggetti, anzichè “materiale”, indicante l’ubicazione, la dimora della famiglia. Si tratterà dunque del centro principale degli interessi e degli affetti, spesso coincidente con la residenza familiare, ma non necessariamente, potendo i componenti della famiglia avere residenze differenti. Non pare altresì dubbio che se per lungo tempo la vita matrimoniale fosse stata localizzata in uno Stato e successivamente, ancorchè da breve tempo, si fosse verificato un mutamento, alla nuova “localizzazione” ci si dovrà riferire, essendo determinante il momento della presentazione della domanda.

Appare in tal senso erronea l’affermazione del giudice a quo circa l’impossibilità di determinare in quale Stato si sia svolta prevalentemente la vita matrimoniale, non avendo i coniugi, fin dalla celebrazione del matrimonio, indicato con chiarezza un luogo dove stabilirsi: è al concreto atteggiarsi dei loro rapporti che ci si doveva riferire, alla vicenda storica matrimoniale, suscettibile di eventuali modifiche con il trascorrere del tempo.

Altrettanto erroneo il riferimento alla L. n. 218 del 1995, art. 14, che attiene all’accertamento “materiale” della legge straniera: in caso di impossibilità di accertamento, si applicherà la legge italiana. Tale disposizione non appare suscettibile, come invece afferma la sentenza impugnata, di interpretazione analogica.

Andrà quindi sul punto cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia, che opererà, secondo i criteri sopra indicati, al fine della individuazione della legge applicabile.

Rimangono pertanto assorbiti, essendo pregiudiziale l’accertamento della legge applicabile gli ulteriori motivi (11 – 12 – 15) che attengono al diritto sostanziale; non al contrario, quelli che lamentano violazione di norme processuali, posto che, ai sensi dell’art. 12 predetta legge, il procedimento civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana.

Con il motivo ottavo, la ricorrente lamenta vizio di motivazione della sentenza impugnata che ha confermato la tardività della sua domanda volta ad ottenere un assegno di mantenimento, formulata per la prima volta in memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c. (formulazione previgente).

Con il nono motivo, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 708, 709 e 710 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) sostenendo che la domanda di assegno doveva considerarsi ammissibile, anche quale richiesta di modifica dei provvedimenti presidenziali.

I motivi possono trattarsi congiuntamente e vanno rigettati in quanto infondati.

Correttamente il giudice a quo ha considerato improponibile perchè tardiva la domanda di assegno proposta dalla B. per sè. Tale domanda infatti – come chiarisce la sentenza impugnata, ed emerge dagli atti di causa – non è stata formulata nella memoria di costituzione (tale atto conteneva solo la richiesta di cessione del controvalore di una quota societaria), ma soltanto in successiva memoria ex art. 183 c.p.c. (e non, come ulteriormente afferma la ricorrente, in sede di richiesta di modifica dei provvedimenti presidenziali, ciò che avrebbe comportato – e sul punto avrebbe dovuto essere fornita prova – la sussistenza di una situazione nuova, secondo l’art. 708 c.p.c., u.c., nella formulazione all’epoca vigente.

Pure la questione di legittimità costituzionale, proposta in subordine, per violazione dell’art. 111, 3, 24 Cost., appare manifestamente infondata. Non si nega infatti la possibilità, per il coniuge, di chiedere un assegno di mantenimento, in sede di modifica dell’ordinanza presidenziale, ma si richiede comunque la presenza di circostanze nuove che andranno specificate e provate.

Con il 10^ motivo la ricorrente lamenta violazione degli artt. 183 e 184 c.p.c. (formulazione previgente) (art. 360 c.p.c., n. 4), per mancata concessione di termini per memorie in ordine alla domanda di affidamento dei minori.

Anche tale motivo va rigettato in quanto infondato.

Come chiarisce il giudice a quo, i termini di cui all’art. 183 c.p.c., erano stati concessi, erano rimasti necessariamente sospesi per effetto dell’intervenuta sospensione, collegata alla proposizione del regolamento di giurisdizione, avevano ripreso a decorrere dalla riassunzione fino alla scadenza, e dunque non potevano essere nuovamente concessi.

Conclusivamente, il ricorso va parzialmente accolto nei termini di cui in motivazione, va cassata la pronuncia impugnata in relazione alla censura accolta, con rinvio alla corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che si atterrà a quanto sul punto indicato, ai fini della individuazione della legge applicabile, e pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie, il settimo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, e dichiara assorbiti l’undicesimo, dodicesimo e quindicesimo; rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i motivi da 2 a 6 nonchè il tredicesimo e il quattordicesimo;

rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2011

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