Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7596 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. I, 08/03/2022, (ud. 02/03/2022, dep. 08/03/2022), n.7596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26408-2019 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio

Emanuele II, 154 presso lo studio dell’Avvocato Vincenzo Sparano,

che la rappresenta e difende per procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Bruno

Buozzi, 59 presso lo studio dell’Avvocato Stefano Giorgio, e

rappresentato e difeso dall’Avvocato Antonella Daina Squilloni, per

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 530/2019 della Corte d’Appello di Firenze,

depositata il 07/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/03/2022 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.M. ricorre con sette motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte d’Appello di Firenze, nel rigettare l’impugnazione proposta, ha confermato la sentenza del 13 giugno 2018 pronunciata dal Tribunale di Firenze che, dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con P.G., aveva respinto la domanda della ricorrente di riconoscimento dell’assegno divorzile e di attribuzione della quota parte del TFR percepito dall’ex coniuge.

2. La Corte di merito, nel dare applicazione ai principi affermati da Cass. n. 11504 del 2017 e SU n. 18287 del 2018, apprezzata come libera e decorosa la vita condotta dall’appellante – insegnante di ruolo che godeva di uno stipendio pari ad Euro 1.600,00 mensili e che era proprietaria della metà della casa di abitazione, per l’altra metà donata dall’ex coniuge alla figlia con lei convivente – e ritenuti insussistenti le ragioni di natura compensativa o risarcitoria, in mancanza dei contributi dell’appellante alla vita familiare, con prevalente impegno domestico e sacrificio delle aspettative professionali, ha negato il diritto all’assegno.

3. Resiste con controricorso P.G.. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo ed il secondo motivo la ricorrente deduce la nullità del procedimento per omessa pronuncia, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, e la nullità della sentenza per omessa motivazione o motivazione apparente, con violazione dell’art. 111 Cost., comma 6; dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 Disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

La Corte di merito, nel dare applicazione ai principi di questa Corte (SSUU n. 18287 del 2018), era incorsa in contraddizioni tali che l’avevano determinata a violare e/o falsamente interpretare regole di diritto e norme di rifermento.

L’avere stimato, astrattamente ed in modo meccanicistico, il reddito della ricorrente, pari ad Euro 1.600,00 mensili, come “adeguato” era valutazione impossibile ed errata, dovendo invece la corte di merito, proprio in applicazione dei principi sanciti da SU cit., fondare il giudizio sull’adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi su di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, che non aveva effettuato.

Il giudizio di comparazione, ove correttamente condotto, avrebbe accertato l’esistenza tra gli ex coniugi di una disparità economica non accettabile perché dopo venticinque anni di matrimonio (o trentatre’, se considerati anche i tempi in cui i coniugi erano stati separati) P. godeva di un reddito mensile netto di Euro 3.100,00, di un “lauto” TFR ed aveva un patrimonio immobiliare costituito da tre appartamenti, uno solo dei quali ereditato dai propri genitori, ed un garage, mentre la ricorrente era proprietà della sola metà della ex casa coniugale e di uno stipendio mensile di Euro 1.600,00.

I giudici di appello non avevano fatto applicazione del principio affermato da questa Corte sulla funzione assolta dall’assegno divorzile di riequilibrio del reddito degli ex coniugi, in declinazione del principio costituzionale di solidarietà coniugale, nel riconoscimento del ruolo e contributo fornito dalla ricorrente, economicamente più debole, alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

L’adeguatezza del reddito dell’avente diritto all’assegno andava stimata in ragione del contributo fornito alla formazione del patrimonio della famiglia.

2. Con il terzo e quarto motivo la ricorrente fa valere la nullità del procedimento e della sentenza per i profili già denunciati con i procedenti motivi, in relazione alla omessa o mancata pronuncia su prove rilevanti travisate dalla corte di merito.

La ricorrente quale comproprietaria della ex casa coniugale affrontava con la figlia, altra comproprietaria, le spese condominiali ordinarie e straordinarie e le spese di manutenzione dell’appartamento nonché, in proprio, quelle per il mantenimento e per le cure mediche e la mobilità della figlia, disoccupata, sicché non corrispondeva al vero che la ricorrente fosse poi in grado di condurre una vita libera e dignitosa senza il contributo del marito, come ritenuto dalla corte territoriale.

Il trasferimento a (OMISSIS) era stato assolutamente provvisorio ed obbligato perché ove non accettato non avrebbe permesso alla ricorrente di divenire docente di ruolo là dove la stabilità del posto di lavoro così conseguita dalla ricorrente era stata di utilità anche per il marito e la famiglia.

Per dodici anni la ricorrente, rallentando il proprio ingresso nella scuola quale docente di ruolo, aveva sacrificato le proprie aspirazioni lavorative per una scelta che era stata comune ai due coniugi e tanto perché gli sviluppi della carriera bancaria del marito sarebbero stati di gran lunga più redditizi di quelli della moglie, che, quale docente della scuola italiana, veniva sacrificata nella scelta di massimizzare il patrimonio familiare.

La ricorrente, al netto di questa scelta, sarebbe divenuta docente di ruolo ben prima dei quarant’anni, come invece avvenuto.

3. Con il quinto ed il sesto motivo la ricorrente fa valere la nullità del procedimento e della sentenza per omessa pronuncia e omessa o apparente motivazione, per non avere la corte di merito, una volta escluso il diritto all’assegno L. n. 898 del 1970, ex art. 5, comma 6, pronunciato sulla distinta domanda di corresponsione di una quota del TFR dell’ex coniuge L. n. 898 cit., ex art. 12-bis.

Non avrebbe potuto escludersi che la corte di merito potesse riconoscere l’assegno divorzile muovendo dall’esame approfondito delle ragioni che fondavano il distinto diritto al trattamento di fine rapporto ed ogni diverso rapporto tra i due istituti avrebbe sostenuto il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 12-bis cit., nella parte in cui prevede che una quota di TFR di un coniuge possa essere attribuita all’altro soltanto nel caso in cui a questi sia già stato attribuito l’assegno divorzile.

4. Con il settimo motivo la ricorrente fa valere, secondo lo schema di violazioni già dedotto a sostegno dei precedenti motivi per denunciare la nullità della sentenza, l’erronea applicazione del principio della soccombenza e dei criteri di rimborso delle spese legali alla controparte (artt. 91 e 92 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014) che, ove rettamente intesi, avrebbe dovuto determinare la corte fiorentina a compensare tra le parti le spese di lite.

L’importo liquidato era sproporzionato e non calibrato sull’equo contemperamento dei diritti di entrambe le parti e sui minimi di tariffa.

5. Può darsi congiunta trattazione dei primi quattro motivi del ricorso perché, tutti, relativi ai presupposti integrativi dell’assegno di divorzio da individuarsi in applicazione dei principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimità.

Ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile questa Corte, puntualizzando i principi di cui a SU n. 18287 del 2018, si è trovata a chiarire che lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi opera unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento necessario per l’applicazione dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, in ragione della finalità, composita – assistenziale, perequativa e compensativa – del detto assegno (in termini: cfr. Cass. 11/12/2019, n. 32398 e Cass. 05/05/2021, n. 11796).

La differenza reddituale tra gli ex coniugi non legittima di per sé sola il riconoscimento dell’assegno divorzile dovendo accertarsi dal giudice del merito se quella sperequazione sia conseguenza di scelte maturate durante la vita matrimoniale dalla coppia nella distribuzione dei ruoli, in esito alla quale il coniuge richiedente, economicamente più debole, rinunciando anche a proprie aspettative di crescita professionale, abbia contribuito alla formazione del patrimonio familiare e di quello dell’altro coniuge, avuto riguardo alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

Degli indicati principi la Corte d’Appello di Firenze ha fatto corretta applicazione, nei termini di seguito indicati e precisati, e le introdotte censure sono infondate.

5.1. La nozione di adeguatezza/inadeguatezza del reddito del richiedente l’assegno L. n. 898 del 1970, ex art. 5, comma 6, non è astratta e solitaria, assumendo essa significato solo quale esito di un giudizio di comparazione che deve essere condotto dal giudice di merito sui redditi degli ex coniugi.

L’indicato profilo ben può dirsi ricompreso, o meglio presupposto, nella valutazione condotta dalla Corte fiorentina, che muovendo da quel raffronto, proprio in esito alla rilevata sperequazione tra i redditi delle parti, ha poi svolto le proprie valutazioni su funzione e parametri dell’istituto dell’assegno divorzile come individuati dalla norma in applicazione (art. 5, comma, L. cit.).

Per consolidata giurisprudenza di questa Corte (SU 18287 del 2018; Cass. 23/01/2019, n. 1882; Cass. 05/05/2021, n. 11796), il raffronto tra i redditi degli ex coniugi nella riscontrata loro sperequazione è il prerequisito perché l’accertamento del giudice si apra alla verifica degli ulteriori parametri sui cui va calibrata debenza e consistenza dell’assegno divorzile.

Ed, infatti, la mera diversa consistenza della retribuzione goduta dagli ex coniugi è irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno divorzile perché non è l’entità del reddito dell’altro ex coniuge a giustificare, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze dovendo, piuttosto, la sua maggiore entità e la derivata sperequazione essere esito di scelte condivise di ruoli e rinunce maturate nel corso del matrimonio quanto al coniuge che alla cessazione del vincolo matrimoniale risulti economicamente più debole (cfr. Cass. 09/08/2019, n. 21234).

5.2. Muovendo dagli indicati principi – esclusa la funzione assistenziale dell’assegno divorzile, e tanto in ragione della apprezzata consistenza della retribuzione goduta dall’appellante qui ricorrente, pari ad Euro 1.600,00 mensili, ed alla titolarità del 50% della ex casa familiare -, la corte territoriale ha ritenuto l’insussistenza nel corso della vita matrimoniale di rinunce della richiedente a migliori sviluppi professionali, avendo costei continuato a lavorare nel corso del matrimonio, dapprima come insegnante precaria della scuola e quindi come titolare di cattedra, trasferendosi a tal fine, per un periodo, a (OMISSIS), così mantenendo l’impegno, per una scelta condivisa con il coniuge, nel perseguimento dell’obiettivo professionale.

Il contributo al menage coniugale non è stato apprezzato dalla corte di merito come segnato da quelle abdicazioni che avrebbero, altrimenti, aperto il giudizio della medesima corte a valutazioni sul rilievo compensativo assolto, una volta cessato il matrimonio, dall’assegno divorzile.

5.3. La vicenda cennata in ricorso e per la quale la signora F. avrebbe conseguito la cattedra di insegnante, stabilizzandosi di ruolo solo a quarant’anni, e tanto per il ritardo con cui ella avrebbe perseguito l’obiettivo professionale in ragione della precedenza data, nel passato, ed in condivisione con il marito, alle esigenze familiari, segnate dalla necessità di crescere la propria figlia, non risulta dedotta puntualmente, per richiamo di evidenze fattuali tempestivamente dedotte nel corso del giudizio di merito ed omesse nella loro valutazione e comunque manca di decisività nell’orientare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, diversamente il giudizio, in applicazione della novellata figura del vizio di motivazione.

5.4. Le dedotte nullità per decisione omessa ex art. 112 c.p.c. e, ancora, per motivazione apparente o mancante, non colgono nel segno, invece, risultando del tutto inefficacemente introdotte.

Una decisione nella ipotesi in esame non è mancata né è mancata la motivazione, in disparte, poi, ogni valutazione sulla inconciliabilità logica di una censura di omessa pronuncia e di motivazione omessa, contestualmente promosse.

L’omessa pronuncia, infatti, consiste nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, indispensabile alla soluzione del caso concreto là dove, invece, quanto alla seconda figura insieme alla “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, alla “motivazione apparente” per “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” ed alla “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, la motivazione è presente sia pure nelle segnalate carenze (cfr. in tal senso: Cass. 08/10/2014, n. 21257 e Cass. 20/11/2015, n. 23828).

5.5. Conclusivamente quanto la ricorrente denuncia è la violazione della norma sostanziale sull’assegno divorzile, come essa vive nella interpretazione data da questa Corte, là dove invece a venire in rilievo sono fatti che, integrativi della relativa fattispecie, mancano, in questa sede, di puntuale allegazione nella necessaria loro decisività.

La censura proposta rispetto agli esiti di prova che si vogliono in ricorso non correttamente scrutinati nell’impugnata sentenza, con travisamento della realtà fattuale (p. 24 ricorso motivo n. 4), è introdotta in modo inammissibile, valendo a dare conto di una mera alternativa lettura dei fatti.

Il travisamento della prova o della realtà fattuale che ne è esito, non è valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata nel provvedimento impugnato, è contraddetta da uno specifico atto processuale.

Si tratta di contenuti che, integrativi del dedotto vizio, non si riscontrano nella proposta censura, in cui la ricorrente si duole che il trasferimento a (OMISSIS) non sia stato inteso dalla corte gigliata come scelta obbligata a consentirne l’accesso al ruolo come docente, per una opzione che, di vantaggio per l’intera famiglia, era stata condivisa con l’ex marito.

La corte di merito ha apprezzato quella stessa circostanza come indicativa della perdurante volontà della ricorrente di conseguire gli obiettivi professionali che si era prefissa in costanza di matrimonio senza andare incontro ella, in tal modo, ad incidenti rinunce e tanto per una interpretazione di quello stesso dato fattuale che non integra il travisamento e rispetto al quale, quanto dedotto si pone come lettura meramente alternativa.

Ogni ulteriore dedotta evidenza sulle maggiori spese di mantenimento della ex casa familiare e della figlia sconta anch’essa, nella sua proposizione, la natura di questione meramente fattuale diretta ad orientare solo in modo alternativo la lettura altrimenti intesa dai giudici di merito.

6. La questione di legittimità costituzionale, introdotta con il sesto motivo di ricorso, della L. n. 898 del 1970, art. 21 bis anch’essa del tutto generica e mancante di profili di rilievo.

In tesi della ricorrente, l’accertamento sulla debenza della quota del TFR all’ex coniuge divorziato non dovrebbe procedere necessariamente muovendo dalla titolarità dell’assegno divorzile che, una volta escluso nel suo riconoscimento, precluderebbe al richiedente l’accesso alla quota del TFR, ma, in senso inverso, ed ogni diversa obbligata interpretazione della L. n. 898 del 1970, art. 12-bis inserito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 16 dovrebbe condurre a dubitare della legittimità della stessa.

Si tratta di argomentazione logica di difficile comprensione, sganciata dal chiaro disposto di legge (l’art. 12-bis Legge sul divorzio prevede che “il coniuge nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”) che instaura tra i due istituti una relazione univoca che dall’assegno, quale presupposto, procede verso il riconoscimento del diritto al TFR, senza dare conto, o offrire occasione, di una applicazione di inversi percorsi interpretativi.

La denunciata questione neppure risulta vestita dei contenuti propri del motivo di ricorso per cassazione in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali ritualmente dedotte nel processo (Cass. 09/07/2020, n. 14666).

7. Il settimo motivo sulle spese di lite è inammissibile perché non si confronta con la motivazione impugnata che enuncia le ragioni della ritenuta parziale reciproca soccombenza tra le parti quanto alle spese del grado di giudizio celebrato, indicando per ciascuna gli importi riferiti alle varie fasi.

Si tratta pertanto di censura generica là dove la ricorrente denuncia il carattere non proporzionato dei compensi e l’inosservanza dei criteri-guida di loro quantificazione fondati sulla natura della controversia.

8. Il ricorso è conclusivamente infondato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese di lite secondo soccombenza come indicato in dispositivo.

Doppio contributo.

Oscuramento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto da nei confronti di e condanna la ricorrente, F.M., a rifondere al controricorrente, P.G., le spese di lite che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Si dispone che ai sensi del D.Lgs. 196 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile, il 2 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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