Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7595 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/03/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 18/03/2021), n.7595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15680-2019 proposto da:

M.M., P.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO

HERNANDEZ, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MA.MI., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE SANTO

68, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LETIZIA, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMILIANO GUIDI,

PAOLO EMILIO LETRARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1053/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO

SCODITTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Ma.Mi. propose innanzi al Tribunale di Treviso opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di P.E. e M.M. sulla base di ricognizione di debito sottoscritta da Ma.Gi. ed in qualità di garante da Ma.Mi.. Il Tribunale adito accolse l’opposizione. Avverso detta sentenza proposero appello P.E. e M.M.. Con sentenza di data 15 marzo 2019 la Corte d’appello di Venezia rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale che l’eccezione di tardività del disconoscimento della copia della ricognizione di debito e della sottoscrizione era stata sollevata per la prima volta in appello ed era quindi inammissibile. Aggiunse che il motivo era in ogni caso infondato perchè l’appellato aveva disconosciuto la propria sottoscrizione prodotta in copia sia nell’opposizione al decreto ingiuntivo che in sede di prima udienza, mentre d’altra parte gli appellanti non avevano prodotto l’originale del documento nè avevano dichiarato di intendere di valersi della scrittura disconosciuta.

Osservò ancora che il Ma. aveva tempestivamente fatto riserva di disconoscimento della scrittura privata e della propria sottoscrizione nell’atto di opposizione: “lo stesso asserito documento è stato allegato in copia fotostatica ed in quanto tale non consente all’odierna difesa di verificare l’autenticità del contenuto e delle sottoscrizioni per cui sin d’ora si chiede che il giudice istruttore ordini ai sensi dell’art. 210 c.p.c. alle controparti l’esibizione dell’originale se esistente al fine di consentire l’eventuale disconoscimento del documento e della relativa sottoscrizione”. Aggiunse che tale disconoscimento era stato ribadito alla prima udienza: “gli avvocati Letrari e Guidi formalmente disconoscono la sottoscrizione in calce al documento ricognitivo del 13.07.2004 (doc. 1 del ricorso per ingiunzione qui opposto) attribuita al sig. Ma.Mi. e parimenti disconoscono l’autenticità del documento stesso che ad oggi risulta in atti solo in copia fotostatica”.

Hanno proposto ricorso per cassazione P.E. e M.M. sulla base di un motivo e resiste con controricorso la parte intimata. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi di manifesta infondatezza del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e 215 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che dagli opposti era stato eccepito il mancato disconoscimento in cui era incorso il Ma., sia pure non con formule sacramentali, fin dalla comparsa di costituzione, e che solo in prima udienza il disconoscimento era stato operato, e dunque non quale prima risposta successiva alla produzione del documento.

Il motivo è manifestamente infondato. Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (da ultimo richiamato da Cass. 24 settembre 2019, n. 23636), la tardività del disconoscimento di una scrittura privata non è rilevabile d’ufficio, ma dev’essere eccepita dalla parte che tale scrittura abbia prodotto (Cass. 24 giugno 2003, n. 9994), dovendo ritenersi che l’attribuzione esclusiva, alla parte che ha prodotto il documento, del potere di eccepire la tardività dell’altrui disconoscimento della scrittura privata, risponda al riconoscimento del carattere esclusivo del correlativo interesse dell’istante a valutare l’utilità di un accertamento positivo della provenienza della scrittura (Cass. 9 maggio 2011, n. 10147). L’eccezione di tardività del disconoscimento ha dunque natura di eccezione in senso stretto, e non in senso lato. Stante il divieto in appello di nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio (art. 345 c.p.c., comma 2), deve valutarsi se nella specie l’eccezione sia stata sollevata in primo grado.

I ricorrenti affermano che in primo grado l’eccezione è stata sollevata in sede di comparsa di costituzione ed al riguardo nel ricorso a pag. 7 viene trascritta la parte reputata rilevante della comparsa. Si legge nella comparsa che “qualora la controparte voglia eccepire la falsità di quanto contenuto nella promessa unilaterale posta a fondamento dell’opposto decreto ingiuntivo e l’effettiva provenienza delle dichiarazioni in esso contenuto dal sig. Ma., lo dovrà fare con i mezzi processuali a ciò predisposti dal nostro codice. Non è certamente sufficiente la mera enunciazione di presunte incongruenze nella ricognizione di debito o di un lapsus calami nella redazione dello stesso (errore nell’indicazione della via di residenza dell’odierno attore) a far venir meno la giuridica rilevanza dello stesso. Si ribadisce: controparte dovrà utilizzare i mezzi processuali idonei a disconoscere la paternità del documento, negando formalmente che la sottoscrizione in esso apposta non provenga dalla sua mano”. Tale deduzione ha fatto seguito a quanto allegato nell’atto di opposizione che, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, è nei termini seguenti: “lo stesso asserito documento è stato allegato in copia fotostatica ed in quanto tale non consente all’odierna difesa di verificare l’autenticità del contenuto e delle sottoscrizioni per cui sin d’ora si chiede che il giudice istruttore ordini ai sensi dell’art. 210 c.p.c. alle controparti l’esibizione dell’originale se esistente al fine di consentire l’eventuale disconoscimento del documento e della relativa sottoscrizione”. Successivamente alla costituzione degli opposti, in sede di prima udienza, è stato dedotto dall’opponente, quanto segue, sempre sulla base di ciò che risulta dalla sentenza impugnata: “gli avvocati Letrari e Guidi formalmente disconoscono la sottoscrizione in calce al documento ricognitivo del 13.07.2004 (doc. 1 del ricorso per ingiunzione qui opposto) attribuita al sig. Ma.Mi. e parimenti disconoscono l’autenticità del documento stesso che ad oggi risulta in atti solo in copia fotostatica”. Con l’atto di appello infine è stata eccepita la tardività del disconoscimento.

Ai fini della valutazione del contegno processuale della parte opposta deve preliminarmente procedersi alla valutazione del comportamento processuale di controparte. Si prospettava alla parte opponente, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo quale prima difesa successiva alla produzione del documento, la seguente alternativa:(a) contestare la conformità della fotocopia all’originale, riservandosi poi – una volta prodotto quest’ultimo – di disconoscere la propria sottoscrizione; (b) ammettere la conformità della fotocopia all’originale, ma disconoscere la propria sottoscrizione (cfr. Cass. 3 aprile 2014, n. 7775). Non è stata eccepita la non conformità della copia fotostatica all’originale, nè tantomeno disconosciuta la sottoscrizione della scrittura privata. La parte si è limitata a proporre un’istanza di esibizione del documento in originale.

A fronte di tale condotta processuale, gli opposti si sono limitati a dedurre che qualora la parte intenda disconoscere la sottoscrizione della scrittura, “dovrà utilizzare i mezzi processuali idonei”. Risulta evidente che non si è eccepita l’intervenuta decadenza della parte opponente dalla facoltà di disconoscimento, ma si è anzi dedotto che la parte per disconoscere doveva utilizzare il mezzo processuale idoneo, sottintendendo così che la parte avesse ancora il termine a disposizione per procedere al disconoscimento della sottoscrizione. Quest’ultimo è quindi intervenuto in sede di prima udienza e soltanto con l’atto di appello ne è stata eccepita la tardività. Trattasi di eccezione nuova, mai sollevata in primo grado, e dunque inammissibile, come rilevato dal giudice di merito.

La questione della tardività del disconoscimento risulta assorbita dal preventivo rigetto del motivo in relazione alla questione del carattere di novità o meno della relativa eccezione sollevata in appello.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 – quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

 

 

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