Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7591 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 08/03/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 08/03/2022), n.7591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18423/2015 R.G. proposto da:

D & D S.R.L., elettivamente domiciliata in Roma, via Cardinal de

Luca n. 10, presso lo studio dell’Avv. Tullio Elefante, che la

rappresentata e difende per procura speciale.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 1836/31/15, depositata il 23 febbraio 2015.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La D & D s.r.l., esercente l’attività di commercio all’ingrosso di dolciumi, impugnò l’avviso, relativo all’anno d’imposta 2007, con il quale l’Agenzia delle Entrate, all’esito di processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, aveva recuperato a tassazione, ai fini Ires, Irap ed Iva, maggiori ricavi, assumendo che il conto “soci c/ finanziamenti infruttiferi” – in considerazione della ristretta base partecipativa della società, delle ridotte disponibilità finanziarie dei soci che apparivano finanziatori e della circostanza che il finanziamento fosse avvenuto anche per contanti- celasse in realtà ricavi societari non dichiarati e distribuiti ai soci.

Con lo stesso atto l’Agenzia aveva inoltre recuperato a tassazione la ritenuta sui ricavi occulti che la società avrebbe dovuto applicare alla socia M.P., detentrice di partecipazione qualificata, a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 27. L’adita Commissione tributaria provinciale di Napoli respinse il ricorso.

Avverso tale sentenza la contribuente ha proposto appello di fronte alla Commissione tributaria regionale della Campania che, con la sentenza n. 1836/31/15, depositata il 23 febbraio 2015, lo ha respinto.

La società ha quindi proposto ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza d’appello.

L’Agenzia si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Assume infatti la ricorrente che la CTR ha omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello con il quale era stata censurata l’applicabilità della ritenuta di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 anche alla distribuzione di utili occulti, che l’Ufficio presuma distribuiti ai soci e che quindi, necessariamente, non siano stati formalmente deliberati dalla società.

Il motivo, sebbene rubricato formalmente con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia inequivocabilmente un error in procedendo, ovvero l’omessa pronuncia del giudice a quo su un motivo d’appello il quale, a differenza di quanto eccepito dalla controricorrente, era ammissibile, non potendo considerarsi nuovo.

Infatti la ricorrente ha trascritto il passo del ricorso introduttivo nel quale poneva la questione dell’applicazione della ritenuta, con riferimento sia alla circostanza che non vi erano stati utili occulti distribuiti ai soci; sia al fatto che, comunque, la socia in questione aveva reso alla s.r.l. la dichiarazione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 5, che legittimava la società a non effettuare la ritenuta in questione.

Nella sostanza, quindi, la contestazione del rilievo attinente la ritenuta era stata formulata, radicalmente, dalla contribuente sin dal ricorso introduttivo, con il quale negava sia i presupposti (ricavi e loro distribuzione) dell’imposizione, e quindi della stessa ritenuta; sia comunque l’applicabilità di quest’ultima. La circostanza che, in appello (trascritto in parte qua nel ricorso) la contribuente abbia esteso le ragioni giuridiche dell’inapplicabilità della ritenuta anche alla natura (presunta e non formale) della distribuzione accertata non ha comportato quindi un mutamento dell’originaria causa petendi del ricorso introduttivo, non avendo introdotto elementi fattuali nuovi e mantenendosi l’argomentazione difensiva all’interno della più ampia negazione dello stesso presupposto dell’imposizione e della ritenuta.

Non si ha quindi, nel caso di specie, domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione della causa petendi, non essendo il motivo, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, e non comportando pertanto il mutamento dei fatti costitutivi, né alterando l’oggetto sostanziale ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (cfr. Cass. 23/07/2020, n. 15730).

Tanto premesso, il motivo è infondato.

Infatti la sentenza impugnata ha prima specificamente menzionato, tra i motivi d’appello, anche la pretesa violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, ed ha quindi rigettato integralmente lo stesso appello della contribuente, confermando pertanto in toto l’atto impositivo controverso, il quale riprendeva a tassazione l’omessa ritenuta, nella misura indicata nello stesso atto impositivo. Pertanto la sentenza qui impugnata ha rigettato implicitamente il motivo in questione, per cui non sussiste l’omessa pronuncia denunziata.

2. Con il secondo motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., assumendo che la CTR avrebbe erroneamente negato la sussistenza del giudicato esterno con riferimento a due sentenze, passate in giudicato, della CTP di Napoli che, giudicando sugli anni d’imposta 2005 e 2006, avevano accolto i rispettivi ricorsi introduttivi della società, accertando che i soci godevano della disponibilità di mezzi finanziari personali adeguati rispetto ai finanziamenti in questione e ritenendo pertanto infondata la presunzione che vi fossero stati ricavi societari non dichiarati e che essi fossero stati distribuiti ai soci “in nero”.

Il motivo è infondato.

Infatti la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità (Cass. 08/04/2015, n. 6953 del 08/04/2015; conforme, ex plurimis, Cass. 07/12/2021, n. 38950).

Nel caso di specie la disponibilità finanziaria personale di ciascuno dei soci che risultavano finanziatori costituisce un dato fattuale ed economico che non ha, di per sé, carattere tendenzialmente permanente, essendo anzi per sua natura destinato a variare, in misura neppure prevedibile, da un anno d’imposta all’altro. Così come, del resto, può variare la misura del finanziamento, altro termine della relativa valutazione comparativa.

Pertanto il relativo accertamento, riferito ad una delle annualità precedenti, non è necessariamente vincolante e preclusivo rispetto a quello di una successiva diversa annualità.

Una diretta conferma di tale conclusione, peraltro, viene dalla stessa ricorrente che nel terzo motivo, a proposito della prova dell’adeguatezza dei mezzi personali dei soci, deduce dati relativi alla disponibilità della quale essi potevano disporre nel 2007, dimostrando quindi (ove ve ne fosse bisogno) che gli accertamenti irrevocabili relativi ad anni d’imposta precedenti non erano tendenzialmente permanenti, né quindi potevano pregiudicare l’accertamento relativo all’anno sub iudice.

Non ha quindi errato la CTR nell’escludere l’efficacia di giudicato esterno.

3. Con il terzo motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e dell’art. 2697 c.c., assumendo di aver dimostrato in giudizio che le capacità reddituali del socio di minoranza, come quelle patrimoniali del socio di maggioranza, erano adeguate rispetto ai finanziamenti in questione, con la conseguenza che sarebbe stato onere dell’Ufficio dimostrare che questi ultimi celassero in realtà utili extracontabili distribuiti ai soci.

Avrebbe pertanto errato la CTR nell’applicazione dei principi che regolano il riparto dell’onere probatorio e le presunzioni tributarie.

4. Con il quarto motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., assumendo che la CTR avrebbe valorizzato, nella motivazione, una circostanza non già considerata nell’atto impositivo, ovvero la mancata emersione delle ragioni che determinarono la necessità del presunto finanziamento.

5. Con il quinto motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, rappresentato dalla circostanza che, come risulta dal p.v.c. (trascritto in parte qua nel ricorso) solo una parte (17.500,00 Euro rispetto al totale di 183.500,00) dei versamenti relativi al conto in questione era avvenuta per contanti.

5.1. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo, per la loro connessione ed in parte sovrapponibilità, vanno trattati congiuntamente e sono infondati.

Pare opportuno innanzitutto premettere l’orientamento di questa Corte nella materia sub iudice, così come è stato recentemente ribadito e sintetizzato (Cass. 22/09/2020, n. 19780, in motivazione), per cui: ” a) la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile; in tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (arg. da Cass., Sez. 5, 18.5.2012, n. 7871, Rv. 622907-01); b) nell’ipotesi quale quella di specie – di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci (…) nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (arg. da Cass., Sez. 6-5, 24.1.2019, n. 1947, Rv. 652391-01. Il principio, peraltro, è stato ritenuto operante anche in tema di società di persone a ristretta base familiare, come chiarito da Cass., Sez. 5, 21.11.2018, n. 30098, Rv. 651555-01); c) l’esiguità dei redditi dei soci conferenti, inidonea a giustificare i finanziamenti alla società in misura conforme all’impegno dagli stessi assunto e’, al contrario, circostanza idonea a fondare una presunzione di distribuzione di utili extrabilancio (arg. da Cass., Sez. 5, 6.9.2013, n. 20514); d) a tutto volere, l’effettività di un finanziamento infruttifero in favore della società non potrebbe comunque neppure desumersi dalla prova della capacità di spesa e dalla disponibilità di liquidità in capo al socio finanziatore, giacché le anticipazioni dei soci, laddove (come nella specie) siano ingiustificate (…), possono essere considerate quali ricavi in nero (arg. da Cass., Sez. 5, 7.6.2017, n. 14066).”.

5.2. Non si è quindi discostata da tali principi, in tema di riparto dell’onere della prova, la CTR che ha innanzitutto accertato i presupposti legittimanti l’accertamento praticato, dando atto che dal p.v.c. risultava la sussistenza di “diffuse irregolarità nella tenuta della contabilità aziendale”, specie con riferimento al conto in questione, anche per i numerosi conferimenti e prelevamenti effettuati con denaro contante versato e prelevato direttamente in cassa, senza interessare i conti della società e senza che quest’ultima avesse peraltro documentato la disponibilità finanziaria dei soci finanziatori.

Verificati quindi i presupposti della conseguente presunzione di maggiori ricavi, la CTR ne ha tratto il conseguente spostamento dell’onere della prova a carico della contribuente, che ha ritenuto non assolto in giudizio.

E’ pertanto infondato il terzo motivo, poiché non vi è stata inversione dell’onere probatorio. Esso (come pure il quarto ed il quinto) è invece inammissibile ove intenda attingere la valutazione, nel merito, del materiale probatorio effettuata dal giudice d’appello, proponendone una alternativa e favorevole alla contribuente.

Infatti, ” In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.” (Cass. 23/10/2018, n. 26769).

Inoltre, spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. 08/01/2015, n. 101, ex plurimis).

E’ quindi inammissibile il ricorso per cassazione che, come nel caso di specie, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34476).

Premessa la rilevata inammissibilità, il terzo motivo è comunque anche ulteriormente infondato nella parte in cui insiste nell’affermazione di aver assolto l’onere della prova contraria attraverso la dimostrazione della disponibilità finanziaria del socio di minoranza e patrimoniale della socia di maggioranza. Fermo restando che si tratta di apprezzamenti del materiale istruttorio rimessi al giudice del merito e non sindacabili in questa sede, deve infatti considerarsi che “l’effettività di un finanziamento infruttifero in favore della società non potrebbe comunque neppure desumersi dalla prova della capacità di spesa e dalla disponibilità di liquidità in capo al socio finanziatore, giacché le anticipazioni dei soci, laddove (come nella specie) siano ingiustificate (…), possono essere considerate quali ricavi in nero (arg. da Cass., Sez. 5, 7.6.2017, n. 14066).” (Cass. 22/09/2020, n. 19780, cit.).

Non ha quindi errato la CTR nel rilevare (con giudizio in fatto non censurabile in questa sede) che la condizione patrimoniale della socia di maggioranza non risultava tradotta in una capacità reddituale effettiva adeguata al finanziamento (sulla necessità che la prova contraria idonea a contrastare la valenza della prova presuntiva prospettata dall’amministrazione finanziaria investa non l’astratta capacità patrimoniale del socio, ma la disponibilità effettiva delle somme, cfr. Cass. 17/01/2022, n. 1151, in motivazione). Ne’ il giudice a quo ha errato nel ritenere, all’interno di una valutazione complessiva del contesto indiziario, che, comunque, anche a prescindere dalla disponibilità finanziaria in ipotesi ascrivibile ai soci, nel caso di specie rimanevano ingiustificate le operazioni di finanziamento.

5.3. Infondato è anche il quarto motivo, atteso che l’accertamento, da parte della CTR, della mancata emersione di ragioni che rendessero necessario il finanziamento, quali elementi indiziari che concorrano a dimostrarne la natura effettiva, non viola l’art. 112 c.p.c..

Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire in fattispecie analoga, tale motivazione non incorre nel vizio di ultrapetizione come denunciato dalla società ricorrente, posto che esso si configura quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori mediante l’introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso.Nel caso di specie quello che era controverso, a differenza di quanto pare presupporre il motivo, non era la capacità finanziaria dei soci ex se o la circostanza che i movimenti relativi al finanziamento fossero stati effettuati o meno in contanti, ma il fatto che tali elementi indiziari potevano o meno provare, ovvero la natura effettiva, o meno, del finanziamento (cfr. Cass. 07/06/2017, n. 14066, in motivazione). Pertanto l’argomentazione in questione non esorbita dalla pretesa originaria dell’amministrazione finanziaria oggetto, in fatto ed in diritto, dell’atto impositivo (cfr. Cass. 03/02/2021, n. 2413).

5.4. Inammissibile è infine il quinto motivo, che incorre nel limite della c.d. doppia conformità di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, senza che peraltro la ricorrente abbia indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774).

Il motivo è comunque anche infondato, posto che la circostanza che non tutte le movimentazioni del conto in questione (e, per quanto in particolare eccepisce la contribuente, non tutti i versamenti dei soci) siano avvenute in contanti è stata, invece, presa espressamente in considerazione dalla CTR, come risulta da due segmenti della motivazione della sentenza d’appello: quello con cui è stato argomentato il rigetto del motivo attinente i pretesi difetti della motivazione della sentenza di primo grado; nonché quello in cui, a proposito delle risultanze del p.v.c., si rileva che sono stati effettuati in contanti “numerosi conferimenti”, e non la loro totalità.

Il fatto in questione è stato quindi oggetto di esame da parte della CTR, che ne ha pure escluso la rilevanza decisiva nel contesto della valutazione delle risultanze istruttorie (giudizio che sarebbe ulteriormente inammissibile sindacare in questa sede di legittimità).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro. 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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