Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7590 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 08/03/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 08/03/2022), n.7590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 915/2017 R.G. proposto da:

D&D S.R.L., elettivamente domiciliata in Roma, viale Giulio

Cesare 14, presso lo studio dell’Avv. Gabriele Pafundi che, con

l’Avv. Laura Formichini, la rappresenta e difende per procura

speciale.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana-sezione staccata di Livorno, n. 1934/14/16, depositata il 7

novembre 2016.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La D&D s.r.l., esercente l’attività di acquisto di immobile al fine di ristrutturarli e venderli, impugnò l’avviso, relativo all’anno d’imposta 2008, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva accertato che si trattava di società non più operativa, ma mantenuta solo per ottenere vantaggi fiscali, in quanto dal 2005 al 2008 essa aveva soltanto acquistato un immobile, che non aveva alienato, ma aveva adibito a residenza della socia B.S., contabilizzando esclusivamente, nella medesima frazione temporale, i costi di manutenzione dello stesso bene e di due autovetture ad uso promiscuo. Pertanto, l’Amministrazione, ai sensi della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, in materia di società di comodo, vigente ratione temporis, ha liquidato le maggiori imposte Ires, Irap sulla base del reddito minimo determinato secondo la stessa norma ed ha recuperato l’Iva relativa ai costi contabilizzati per il medesimo esercizio.

L’adita Commissione tributaria provinciale di Livorno respinse il ricorso. Avverso tale sentenza la contribuente ha proposto appello di fronte alla Commissione tributaria regionale della Toscana-sezione staccata di Livorno che, con la sentenza n. 1934/14/16, depositata il 7 novembre 2016, lo ha respinto.

La società ha quindi proposto ricorso, affidato ad un motivo, per la cassazione della sentenza della CTR.

L’Agenzia si è costituita con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'”omessa valutazione di un fatto decisivo”.

Premesso che, nel giudizio civile di legittimità, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c. non è possibile specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni (Cass., Sez. U, 15/05/2006, n. 11097, ex plurimis), deve rilevarsi che il motivo, come eccepito dalla controricorrente, è inammissibile per plurime ragioni, ciascuna sufficiente alla relativa declaratoria.

Infatti nel corpo del mezzo la ricorrente non censura l’omesso esame di “fatti”, principali o accessori, intesi in senso storico-naturalistico, come è necessario ai fini dell’ammissibilità della censura proposta (Cass. 06/09/2019, n. 22397, ex plurimis), ma sostanzialmente si duole della valutazione del merito della lite effettuata dal giudice a quo, con riferimento alla circostanza che nell’anno d’imposta la società non ha compiuto operazioni ed ha consentito alla socia di utilizzare stabilmente, come residenza, l’immobile in questione, senza che la s.r.l. ne ricavasse alcun canone, sebbene continuasse a contabilizzare i relativi costi.

Il motivo, quindi, è inammissibile anche perché, sotto l’apparente deduzione del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34476).

Deve inoltre rilevarsi che anche i riferimenti, nel motivo, alle operazioni della società negli anni d’imposta (“fino al 2004″, pag. 8 del ricorso) antecedenti a quello accertato (2008) ed allo stesso arco temporale (” in base alle risultanze medie dell’esercizio e dei due precedenti”) di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 2, non denunciano l’omesso esame di circostanze fattuali nel senso già precisato, riducendosi nella sostanza alla generica riaffermazione della natura commerciale ed operativa della società, in contrapposizione con l’accertamento in fatto operato dalla CTR, nei limiti della rilevanza rispetto all’esercizio sub iudice.

Le medesime deduzioni, che si riferiscono ad una pretesa operatività dell’ente in annualità risalenti rispetto a quella controversa, peraltro, sono inammissibili anche perché non ne viene evidenziata la natura decisiva, ciò che era tanto più indispensabile in considerazione della presunzione legale relativa cui dà luogo la L. n. 724 del 1994, art. 30, in base al quale una società si considera “non operativa” per il mancato raggiungimento di un livello minimo di ricavi e proventi, fondato su parametri correlati al valore di determinati beni patrimoniali, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (cfr. ex plurimis Cass. 21/10/2015, n. 21358; Cass. 05/07/2016, n. 13699; Cass. 20/04/2018, n. 9852; Cass., 20/06/2018, n. 16204).

Quanto poi alla deduzione della ricorrente di aver acquistato un altro immobile nell’anno successivo a quello accertato, deve rilevarsi che la motivazione della sentenza impugnata, al contrario di quanto assume il motivo in decisione, prende in esame tale circostanza, valutando che essa (così come l’allegazione di un contratto di locazione concluso con la predetta socia solo nel 2011) non depone per l’operatività della società anche nel 2008.

2. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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