Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7590 del 01/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 01/04/2011, (ud. 04/03/2011, dep. 01/04/2011), n.7590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20311-2010 proposto da:

V.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato IACOBELLI GIANNI EMILIO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente Dott. M.A. e come tale legale

rappresentante pro tempore, nonchè mandatario della S.C.CI. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati,

MARITATO LELIO, CALIULO LUIGI, SGROI ANTONINO, giusta delega in atti;

– I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144,

presso lo studio degli avvocati CATALANO GIANDOMENICO, FRASCONA

LORELLA, che lo rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI BENEVENTO, EQUITLIA POLIS S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1755/2 010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/04/2010 R.G.N. 3349/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA per delega CALIULO LUIGI, MARITATO

LELIO;

udito l’Avvocato PUGLISI LUCIA per delega CATALANO

GIANDOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli nella parte in cui aveva rigettato la domanda dell’impresa edile di V.P. – intesa a contestare l’esistenza dell’obbligo dì versare i contributi pretesi dall’INPS sul monte orario di 40 ore settimanali previste dal contratto collettivo di settore, anzichè sull’importo delle retribuzioni erogate ai dipendenti per le ore da costoro effettivamente lavorate a causa della discontinuità dell’attività d’impresa – affermando che il D.L. n. 244 del 1995, art. 29 (convertito nella L. n. 341 del 1995) obbliga le imprese operanti nel settore dell’edilizia al versamento di contributi commisurati all’orario di lavoro contrattuale, ancorchè quello concordato tra le parti, o di fatto osservato in un certo periodo di tempo, sia inferiore.

Per la cassazione di questa sentenza il V. ha proposto ricorso affidato a tre motivi.

Resiste l’INAIL con controricorso, illustrato con successiva memoria, Anche L’INPS, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. spa., resiste con proprio controricorso.

La Direzione Provinciale del Lavoro di Benevento e l’Equitalia spa, anch’esse intimate, non hanno svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo il ricorrente, con deduzione di violazione e falsa applicazione del D.L. 23 giugno 1995, n. 244, art. 29 convertito nella L. 8 agosto 1995, n. 341, art. 29 della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 in relazione al D.L. 9 ottobre 1989, n. 338,art. 1 convertito nella L. 7 dicembre 1989, n. 389, nonchè del predetto art. 29 anche in relazione all’art. 12 preleggi di cui al R.D. n. 262 del 1942 e di violazione e falsa applicazione della L. n. 77 del 1963, art. 12 in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 14 assume che la norma dell’art. 29 e l’ivi previsto obbligo di rispetto dei minimale contributivo non può trovare applicazione nei casi di sospensione consensuale del rapporto di lavoro determinata dal carattere discontinuo dell’attività di impresa e per effetto della quale, nei periodi e nelle giornate indicate dall’azienda, non sia dovuta alcuna prestazione lavorativa, nè, conseguentemente alcuna retribuzione-corrispettivo.

2. Nel secondo motivo contesta alla sentenza impugnata vizio di omessa o carente e, comunque, contraddittoria motivazione, nonchè violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che della L. n. 341 del 1995, art. 29 per non aver esaminato la documentazione allegata a fascicolo di primo grado (e nuovamente prodotta in appello) e per non aver ammesso la prova testimoniale intesa a dimostrare la causa di sospensione dell’obbligo retributivo. Lamenta, poi, violazione dell’art. 420 c.p.c., comma 5 e violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

3. Con il terzo motivo, censura la sentenza impugnata laddove ha rigettato la reiterata eccezione di incostituzionalità della norma di cui al D.Lgs. n. 341 del 1995, art. 29 in relazione agli artt. 3, 23 e 53 Cost..

4. Il ricorso è privo di fondamento.

5. Esaminandone congiuntamente i primi due motivi, osserva la Corte, richiamando le sue più recenti decisioni (Cass. n. 12604 del 2008, n. 21700 dei 2009, 16601 del 2010 e numerose successive conformi), che la normativa vigente in materia va interpretata nei sensi di cui al seguente principio di diritto (espresso, in particolare, da Cass. n. 21700 del 2009): “In tema di contribuzione dovuta dai datori di lavoro esercenti attività edile, il D.L. n. 244 del 1995, art. 29 convenuto nella L. n. 341 del 1995, nel determinare la misura dell’obbligo contributivo previdenziale ed assistenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva, prevede l’esclusione dall’obbligo contributivo di una varietà di assenze, tra di loro accomunate dal fatto che vengono in considerazione situazioni in cui è la legge ad imporre al datore di lavoro di sospendere il rapporto. Ne consegue che, ove la sospensione del rapporto derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra le parti, continua a permanere intatto l’obbligo retributivo (recte:

contributivo), dovendosi escludere, attesa l’assenza di una identità di ratio tra le situazioni considerate, la possibilità di una interpretazione estensiva o, comunque, analogica e ciò tanto più che la disposizione ha natura eccezionale e regola espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei casi d’esonero da contribuzione, che può essere effettuato esclusivamente mediante decreti interministeriali”.

5. E’ stato anche escluso, dalle indicate decisioni, che l’interpretazione della disciplina sulle esclusioni nei sensi appena precisati comporti violazione del principio costituzionale di uguaglianza, perchè le situazioni regolate diversamente non sono uguali, nè assimilabili; e tanto ha indotto la Corte a ritenere manifestamente infondata la questione prospettata con riferimento al precetto dell’art. 3 Cost..

6. La sentenza impugnata è pervenuta ad identiche conclusioni ermeneutiche, si che non merita le censure che le vengono rivolte sia sotto il profilo della violazione di legge, sia sotto il profilo (denunciato nel secondo motivo di ricorso) dell’omesso esame di materiale probatorio, essendo quest’ultimo diretto a dimostrare che l’esistenza di un accordo con i dipendenti per la riduzione della prestazione lavorativa, una circostanza cioè che, per le ragioni sopra indicate, è priva di decisività, non comportando l’accordo in questione esonero dall’obbligo del rispetto del minimale contributivo.

7. Anche con riguardo alla delineata incostituzionalità della norma in esame in relazione all’art. 53 Cost., la Corte di Appello ha in modo condivisibile rilevato che occorre tenere presente che il principio di corrispondenza tra retribuzione e contribuzione prevede anche un limite inferiore (e in alcuni casi superiore) che ha carattere di norma generale nell’ambito dell’ordinamento sia pensionistico che infortunistico, onde la relativa previsione non crea alcun vulnus al principio di capacità contributiva nè crea irragionevoli disparità di trattamento tra datori di lavoro.

8. Il ricorso va, pertanto, respinto.

9. Si compensano le spese del giudizio di cassazione tra il ricorrente e gli enti costituiti, in considerazione del recente consolidarsi della giurisprudenza sulla questione oggetto di causa, mentre nulla deve disporsi nei confronti della Direzione Provinciale del Lavoro e dell’Equitalia s.p.a., in difetto di qualunque attività difensiva dalle predette svolta.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Compensa le spese di lite del giudizio di cassazione tra le parti costituite. Nulla per spese per le parti intimate.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2011

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