Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 759 del 14/01/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 759 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

Legge Pinto

SENTENZA

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sul ricorso proposto da:
TROIA Vincenzo (TRO VCN 59A11 G273A), domiciliato in Roma,
Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di
cassazione, rappresentato e difeso, per procura speciale a
margine del ricorso, dagli Avvocati Giovanni Lo Bello e Teresa
Tornambè;

ricorrente

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è
domiciliato per legge;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 14/01/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Caltanissetta depositato il 30 marzo 2011, emesso nel giudizio iscritto al n.
337 del R.G.C. 2010.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udien-

no Petitti;
sentito l’Avvocato Giovanni Lo Bello;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Immacolata Zeno, che ha chiesto,in via principale,
l’inammissibilità del ricorso e, in via subordinata,
l’accoglimento per quanto di ragione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 26 aprile 2010 presso la
Corte d’appello di Caltanissetta, Troia Vincenzo proponeva,
nei confronti del Ministero della giustizia, domanda di equa
riparazione assumendo di avere subito un danno non patrimoniale per la irragionevole durata di una controversia di lavoro
iniziata dinnanzi al Tribunale di Palermo con ricorso per decreto ingiuntivo depositato il 18 novembre 2004, proseguito
con l’opposizione notificata il 31 dicembre 2004 e non ancora
definito alla data di presentazione della domanda di equa riparazione. Il ricorrente richiedeva altresì la somma di euro
3.000,00 a titolo di danni patrimoniali.
L’adita Corte d’appello accoglieva in parte la domanda, liquidando in favore del ricorrente la somma di euro 500,00. La

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za del 25 settembre 2012 dal Consigliere relatore Dott. Stefa-

Corte rilevava che il procedimento monitorio aveva avuto una
durata del tutto ragionevole, mentre il giudizio di opposizione si era protratto per cinque anni

(dies a quo,

costituzione del ricorrente: 31 marzo 2005; dies

la data di

ad quem, la

2010), sicché, detratta la durata ragionevole stimata in tre
anni, residuava una irragionevole durata di due anni. Quindi,
tenuto conto della tipologia del procedimento e del minimo
valore della causa, liquidava in favore del ricorrente il danno patrimoniale in ragione di 250,00 euro per anno di ritardo,
e così euro 500,00. Rigettava, invece la domanda di danno patrimoniale, peraltro genericamente richiesto, perché non dimostrato.
Per la cassazione di questo decreto Troia Vincenzo ha proposto ricorso sulla base di due motivi; l’intimata Amministrazione ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione dell’art.2, commi l e 2, della legge n. 89 del 2001 in
riferimento alla giurisprudenza della CEDU sull’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché vizio di motivazione. La ricorrente si duole del fatto che
la Corte d’appello abbia erroneamente liquidato il danna non

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data di deposito della domanda di equa riparazione: 26 aprile

patrimoniale nella misura di 250,00 euro per anno di ritardo,
pur se il Ministero, nel costituirsi in giudizio, nulla aveva
eccepito in ordine alla eventuale esistenza di cause ostative
al riconoscimento dell’indennizzo da irragionevole durata. Si

to tutto il lasso di tempo intercorso tra un’udienza e l’altra
per effetto di rinvii chiesti o determinati da comportamento
delle parti, mentre in esubero la Corte avrebbe dovuto ritenere solo la parte eccedente i quattro mesi. In ogni caso, prosegue la ricorrente, deve escludersi che i rinvii siano stati
determinati da intento dilatorio.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione
dell’art.2, commi l e 3, della legge n. 89 del 2001 e
dell’art. 6, paragrafo l, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché vizio di motivazione, lamentando che la
Corte territoriale non si sarebbe attenuta alla giurisprudenza
della Corte europea, che riconosce il danno non patrimoniale
in una somma variante tra 1.000 e 1.500 euro per anno di durata della procedura.
Il ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, è inammissibile, atteso che nessuna delle censure proposta dalla ricorrente attinge
la

ratio decidendi

della sentenza impugnata. La Corte

d’appello ha invero motivato la determinazione dell’indennizzo
facendo riferimento al minimo valore della posta in gioco, e

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duole altresì del fatto che la Corte d’appello abbia scomputa-

tale ratio decidendl non è stata in alcun modo colta e quindi
non è stata puntualmente censurata dal ricorrente, il quale si
limita genericamente a richiamare la giurisprudenza di legittimità e quella di merito in ordine ai criteri di liquidazio-

pag. 13, ma esso è riferito alla asserita spettanza di un indennizzo in misura pari a 2.000,00 euro quando la posta in
gioco è importante, e non anche a contrastare la decisione che
in considerazione della esiguità della posta in gioco ha adottato un criterio riduttivo rispetto a quelli normalmente praticati dalla giurisprudenza di legittimità e da quella della
Corte europea.
Quanto ai riferimenti contenuti nel ricorso ad analogo giudizio di equa riparazione che si sarebbe concluso con la liquidazione di un indennizzo in misura superiore, deve rilevarsi che viene introdotto un elemento di fatto che non risulta r
essere stato dedotto nel giudizio svoltosi dinnanzi alla Corte
d’appello.
Si deve solo aggiungere che, con una recentissima decisione, questa Corte ha affermato che nel sistema nazionale
dell’equa riparazione per la violazione del termine di ragionevole durata di cui all’art. 6 CEDU (legge n. 89 del 2001),
l’inesistenza di un pregiudizio importante, dovuto
all’irrisorietà o alla modestia del valore effettivo della
controversia sottoposta giudice nel giudizio presupposto,

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ne. L’unico riferimento alla “posta in gioco” è contenuto a

consente di ragionevolmente ridurre la compensazione del danno
non patrimoniale subito per la lentezza del processo in relazione alla particolarità del caso concreto e di scendere, al
fine di cogliere l’effettiva consistenza economica e sociale

plasmati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (da
750 euro e poi da 1.000 in su), da riservare ai casi in cui il
pregiudizio è serio e tale da comportare conseguenze significative sulla situazione personale della parte (Cass. n. 12937
del 2012).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha dato conto del
valore della controversia presupposta (600,00 euro), ed ha

ri-

tenuto che il minimo importo della posta in gioco consentisse
di scendere al di sotto dei minimi di liquidazione. E tale
ratio, che risulta giustificata alla luce delle argomentazioni
svolte nella richiamata sentenza, non ha formato oggetto di
specifica censura.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
In applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio secondo le disposizioni del d.m. 20 luglio 2012, n. 140.
Sicché, tenuto conto della tabella A – Avvocati, richiamata
dall’art. 11 del citato d.m., dello scaglione di riferimento
fino a euro 25.000,00 per i giudizi dinanzi a questa Suprema
Corte, nonché applicata (in ragione della ponderazione richie-

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della vicenda presupposta, al di sotto dei parametri tabellari

sta dall’art. 4 dello stesso d.m.) una diminuzione del 50% per
la ridotta complessità della controversia e per il suo modesto
valore e ridotto il compenso così determinato del 50% ai
si

sen-

dell’art. 9 del medesimo d.m. n. 140 del 2012, trattandosi

ta del processo, all’amministrazione vittoriosa spetta la somma di euro 292,50, per compensi, oltre alle spese prenotate a
debito.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in euro 292,50, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta
Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, in data 25
settembre 2012.

di causa avente ad oggetto l’indennizzo da irragionevole dura-

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