Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7589 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 30/03/2010), n.7589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 29245/2008 proposto da:

B.S. quale unica titolare dello “Studio Micene di

Sandra Buonfiglio”, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEVERE 44,

presso lo studio dell’avvocato FIORAVANTI FAUSTO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MANDARINO Giuseppe, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE in persona del

Presidente, in proprio e quale mandatario della Società di

Cartolarizzazione dei Crediti INPS (S.C.CI.) SpA, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati SGROI

Antonino, CORETTI ANTONIETTA, CALIULO LUIGI, MARITATO LELIO, giusta

mandato speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

ETR – Servizio della Riscossione dei Tributi SPA – ora Equitalia SpA,

SOCIETA’ SCCI SPA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1541/2007 della CORTE D’APPELLO di SALERNO del

14.11.07, depositata il 24/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA LA TERZA;

uditi per la ricorrente gli avvocati Fausto Fioravanti e Eleuterio

Zueca (per delega avv. Giuseppe Mandarino) che si riportano agli

scritti, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte d’appello di Salerno rigettava l’opposizione proposta da B.S. avverso la cartella esattoriale per il pagamento all’Inps dei contributi relativi alla dipendente P.C., ritenendo dimostrata la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato attraverso le prove testimoniali e la denuncia stessa della lavoratrice;

Letta la relazione, resa ex art. 380 bis cod. proc. civ., di inammissibilità del ricorso, ritenendosi non idonei i quesiti che vengono formulati, riguardando il primo mezzo, in via del tutto generica, l’onere dell’Inps di provare i fatti, mentre con il secondo, altrettanto genericamente ci si duole che i Giudici di merito abbiano trascurato elementi rinvenibili in un verbale di conciliazione tra la B. e la P.;

Letta la memoria di parte ricorrente;

Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili, perchè, quanto al secondo motivo, la conciliazione avvenuta tra le parti del rapporto di lavoro non spiega effetti nei confronti dell’Inps che rimane terzo;

Quanto al primo motivo, in relazione al quesito di diritto, l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, (applicabile, ai sensi dell’art. 27, comma 2, di detto decreto, ai ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze rese pubbliche in data successiva all’entrata in vigore del decreto stesso, come nella specie) stabilisce che l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso proposto ai sensi del precedente art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3, e 4, debba concludersi, a pena d’inammissibilità del motivo, con la formulazione di un quesito di diritto. Attraverso questa specifica norma, in particolare, il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere. La formulazione del quesito funge da prova necessaria della corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati. Ne consegue non solo che la formulazione del quesito di diritto previsto da detta norma deve necessariamente essere esplicita, in riferimento a ciascun motivo di ricorso (cfr., in tal senso, Sez. un, n. 7258 del 2007, e Cass. n. 27130 del 2006), ma anche che essa non deve essere generica ed avulsa dalla fattispecie di cui si discute (cfr. Sez. un. n. 36 del 2007), risolvendosi altrimenti in un’astratta petizione di principio, perciò inidonea tanto ad evidenziare il nesso occorrente tra la singola fattispecie ed il principio di diritto che il ricorrente auspica sia enunciato, quanto ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio, ad opera della Corte, in funzione nomofilattica.

Inoltre la Corte, con la sentenza 26 marzo 2007 n. 7258 delle Sezioni Unite, ha affermato che la disposizione non può essere interpretata nel senso che il quesito di diritto si possa desumere implicitamente dalla formulazione del motivi di ricorso, perchè una tale interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma;

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 30,00, oltre duemila Euro per onorari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

 

 

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