Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7589 del 28/03/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 28/03/2018, (ud. 30/01/2018, dep.28/03/2018),  n. 7589

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, rilevato che:

Con sentenza depositata il 7/7/2016, la Corte d’appello di Milano ha respinto il reclamo di P.M., presentato come legale rappresentante della (OMISSIS) sas ed in proprio, quale socia accomandataria, avverso la sentenza del Tribunale di Lodi dell’8/3/2016, dichiarativa di fallimento della società e della socia accomandataria.

La Corte di merito ha ritenuto correttamente valutata dalla Corte d’appello (che aveva accolto il reclamo avverso il rigetto dell’istanza di fallimento e rimesso al Tribunale) e dal Tribunale la situazione debitoria della società sulla base dell’accertamento del credito di Equitalia, già compiuto dalla Commissione tributaria in due gradi di giudizio, non rilevando che detta pronuncia non fosse ancora divenuta definitiva, visto che l’accertamento dello stato di insolvenza non richiede l’accertamento definitivo del credito, e ha rilevato che le contestazioni sulle cartelle esattoriali oggetto dei ricorsi del 4/11 e 7/4 del 2016 non potevano essere esaminate, spettando la cognizione alle Commissioni tributarie.

La Corte ha ritenuto infondata la doglianza sulla natura artigianale dell’attività, non risultando iscritta la società all’albo artigiani sulla base della visura camerale prodotta, nè provata in altro modo la circostanza, irrilevante essendo la comunicazione dell’Inps dell’avvenuto compimento della mera cancellazione dalle attività commerciali su richiesta di parte.

Secondo la Corte del merito, infine, lo stato di decozione ben poteva ritenersi sussistente alla stregua di uno solo inadempimento, e nel caso era stata accertata l’esistenza di un ingente debito verso l’Erario.

Ricorre sulla base di quattro mezzi P.M., in proprio e nella qualità. Si difende con controricorso Equitalia.

Il Collegio ha disposto la redazione della pronuncia nella forma della motivazione semplificata.

Considerato che:

Il primo motivo, di denuncia di tardività del primo reclamo avanti alla Corte d’appello L. Fall., ex art. 22, è inammissibile, riguardando non la sentenza impugnata, ma quella di accoglimento del primo reclamo proposto dal Fallimento.

Il secondo motivo, di doglianza del ritenuto stato di insolvenza per non potersi considerare il credito contestato, è manifestamente infondato, atteso che ai fini del giudizio di sussistenza dello stato di insolvenza, L. Fall., ex art. 5, non occorre l’accertamento definitivo di crediti, sostanziandosi detto giudizio nella valutazione complessiva di uno stato di impotenza patrimoniale, non transitorio, al regolare adempimento delle proprie obbligazioni, che ben può essere condotto alla stregua dell’inadempimento anche di un solo credito, ingente, come nel caso, e che è stato valutato dalla Corte d’appello come indicativo dello stato di illiquidità, come tale idoneo a palesare “l’incapacità dell’impresa stessa di rendere sostenibile la struttura finanziaria della società”. Il terzo mezzo, col quale la parte contesta la ritenuta natura di impresa commerciale e non artigiana, impinge nella valutazione di merito, ed a riguardo occorre considerare che la Corte d’appello ha tenuto conto non solo del fatto che l’attività esercitata (centro estetico) è tipicamente ricompresa tra le attività commerciali, ma anche delle risultanze del certificato camerale prodotto dalla stessa reclamante, ed ha considerato anche la comunicazione dell’Inps, ritenendola insufficiente, per dare conto dell’avvenuto compimento della mera attività di cancellazione dalle attività commerciali su richiesta della parte,senza ulteriori dettagli.

Il quarto mezzo, col quale la ricorrente si duole della mancata valutazione dell’astratta nullità della cartella esattoriale è inammissibile, non confrontandosi con il rilievo del Giudice del merito, che ha dato conto a riguardo di non potere esprimere alcuna valutazione, trattandosi di materia devoluta alla giurisdizione delle commissioni tributarie.

Conclusivamente, va respinto il ricorso.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3000,00, oltre Euro 100,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2018

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