Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7589 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/03/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 18/03/2021), n.7589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29673-2019 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, alla via F. DE

SANCTIS n. 15, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., in persona del legale rappresentante in

carica, elettivamente domiciliata in ROMA, alla via di VILLA

GRAZIOLI n. 15, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8190/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

15/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. Cristiano

Valle.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

T.G. impugna, con atto affidato a due motivi, la sentenza n. 8190 del 15/04/2019 del Tribunale di Roma, che ha riformato parzialmente la sentenza del Giudice di Pace di Roma di accoglimento dell’opposizione all’esecuzione proposta da Intesa San Paolo S.p.a., avverso l’esecuzione incardinata dalla stessa T. in forza di ordinanza di assegnazione.

Il giudice di appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato il diritto di T.G. di procedere ad esecuzione forzata limitatamente alla somma di Euro duecentonovanta e trentotto centesimi, compensando le spese di lite.

Il ricorso censura come segue la sentenza d’appello: il primo mezzo deduce censura di violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. per motivazione apparente, per avere negato il dato oggettivo del pagamento riduttivo offerto dalla banca dopo la notifica dell’atto di pignoramento e conseguente omessa valutazione di circostanza determinante.

Il secondo motivo deduce censura di violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.

La proposta del Consigliere relatore di definizione in sede camerale, non partecipata, è stata ritualmente comunicata alle parti.

Parte controricorrente ha depositato memoria per l’adunanza camerale non partecipata.

I due motivi sono, il primo fattuale e riguarda l’apprezzamento del lasso temporale tra notifica del titolo e pagamento da parte della banca e il calcolo delle spettanze e segnatamente degli accessori e l’altro la compensazione delle spese operata dal giudice d’appello.

Entrambi i motivi sono infondati: la complessiva censura esposta nel primo mezzo non coglie nel segno.

La sentenza in scrutinio ha esaustivamente motivato sull’accoglimento parziale dell’opposizione all’esecuzione proposta dalla banca, riconoscendo al creditore procedente soltanto alcune delle voci esposte, segnatamente quelle relative al ritardato pagamento, oltre i venti giorni ritenuti necessari dopo la notifica dell’ordinanza di assegnazione unitamente all’atto di precetto.

Il percorso motivazionale è chiaramente esposto dal Tribunale e procede prendendo in esame le singole voci delle spese e degli accessori di legge ed elenca analiticamente gli importi che il giudice ritiene siano riconoscibili, anche a titolo di interessi.

La sentenza in scrutinio applica, peraltro, coerentemente i principi esposti dalla giurisprudenza di questa Corte, nell’ambito del cd. Progetto esecuzioni della Sez. III civile, (Cass. n. 9173 del 12/04/2018 Rv. 648801 – 02 e Rv. 648801 – 01), con valore nomofilattico, richiamandoli in più punti del percorso motivazionale.

Risulta, pertanto, destituita di fondamento la censura mossa con riferimento ai parametri di cui agli artt. 112,115 e 116 c.p.c.. In particolare, escluso il vizio di omessa pronuncia per le ragioni appena esposte, risultano del tutto inconsistenti le censure mosse ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Perchè si configuri effettivamente un motivo denunciante la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario che venga denunciato, nell’attività argomentativa ed illustrativa del motivo, che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”. Ne segue che il motivo così dedotto è privo di fondamento per ciò solo (Sez. U n. 16598 del 2016 e Cass. n. 11892 del 10/06/2016 Rv. 640192 – 01).

Per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 116 c.p.c. è necessario considerare che, poichè detta norma prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso – oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi – (Cass. n. 11892 del 2016 e, prima, Cass. n. 26965 del 2007; in senso conforme: Cass. n. 20119 del 2009 e n. 13960 del 2014).

L’omessa valutazione di fatto, o di fatti, nella prospettiva della ricorrente è del tutto insussistente, anche alla luce della giurisprudenza nomofilattica (Sez. U n. 08053 del 07/04/2014 Rv. 629830 – 01 ed altre successive in termini: riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione).

Il secondo motivo è del pari infondato: il giudice di appello ha specificamente motivato sulla ragione della compensazione delle spese di lite nella fase di competenza rilevando la natura interpretativa di molte delle questioni poste (in termini: Cass. n. 21157 del 07/08/2019 (Rv. 654806 e Cass. n. 24234 del 29/11/2016 Rv. 642196 – 01).

Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se effettivamente dovuto.

PQM

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 650,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione VI civile 3, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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