Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7585 del 30/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 30/03/2020), n.7585

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11438-2012 proposto da:

T.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTEBELLO

109, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE SERAFINO, rappresentato

e difeso dall’avvocato BERNARDO PICARO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 184/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SALERNO, depositata il 05/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/12/2019 dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– T.C. (di seguito, il contribuente) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, (CTR), n. 184/12/11, depositata il 5/5/11, di rigetto dell’appello da esso proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva a sua volta rigettato il ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento di maggiori ricavi Iva, Irpef e Irap, relativo all’anno di imposta 2000, in relazione ai rapporti contrattuali intercorsi con l’azienda agricola “Agro Tirrena ARL”, siccome ritenuti afferenti ad operazioni fittizie, poste in essere per coprire il costo del personale dipendente dell’azienda agricola;

– il giudice di appello riteneva che: – le indagini della guardia di finanza avevano accertato che il contribuente aveva acquistato, “nella qualità non certamente di produttore agricolo, un numero notevole di capi di cavolfiori dall’azienda agricola “Agro Tirrena ARL”, pur non essendo in possesso di celle frigorifere, rivendendone una quantità notevolmente inferiore di ben 1.105.489 capi”; – non era accoglibile la tesi difensiva della sopravvenuta distruzione di merce per la necessità di porre in vendita solo un prodotto perfetto, privo di difetti, al fine di salvaguardare il buon nome del proprio marchio; – ulteriore presunzione della inesistenza delle operazioni, derivava dall’avvenuto pagamento ed incasso delle fatture con movimenti esclusivamente di cassa; – era irrilevante che nel procedimento a carico del titolare della Agro Tirrena fosse stato emesso un provvedimento di archiviazione per intervenuta prescrizione; era inammissibile l’eccezione dell’inversione dell’onere della prova, in base alla quale “l’agenzia avrebbe posto a carico del ricorrente la dimostrazione dell’inesistenza dei fatti costitutivi della pretesa fiscale”, in quanto proposta per la prima volta dal contribuente in grado di appello;

– il ricorso è affidato ad un motivo, cui l’agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il motivo di ricorso, il contribuente denuncia “insufficienza di motivazione di una delle eccezioni sollevate dal ricorrente”; in sintesi, atteso che la sua reale attività era quella di imprenditore agricolo e che non era sufficiente, come affermato dalla sentenza impugnata, per assoggettare il reddito agrario a quello di impresa la compilazione del quadro F del Mod. Unico 2001, deduce che la CTR avrebbe dovuto tener conto della sentenza emessa dal giudice di legittimità n. 21317/09, già sottoposta al vaglio del giudice di primo grado, che aveva posto a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di provare l’inesistenza dell’operazione commerciale documentata dalla fattura;

– la censura è infondata;

– va ribadito che “In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634233 – 01). è superfluo precisare, trattandosi di principi generali in tema di prova, che la prova dell’inesistenza delle operazioni può ben consistere in presunzioni semplici, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 2012, cit.). Pertanto, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate;

– il giudice tributario di appello si è conformato al principio di diritto di cui ai richiamati arresti giurisprudenziali, indicando gli elementi riportati nella parte in “fatto”, che supportavano il quadro indiziario rappresentato nel PVC, dal quale emergeva che i notevoli acquisti di merce non erano compatibili con le capacità di allocazione del prodotto da parte del ricorrente, e che i pagamenti erano avvenuti per contanti, attraverso quindi una modalità non tracciabile e che, notoriamente, sottende operazioni inesistenti;

– le argomentazioni poste a sostegno della doglianza, incentrate sulla natura dell’attività esercitata, non dimostrano alcun vizio logico della sentenza impugnata, nè l’omessa considerazione di elementi di fatto che, ove fossero stati tenuti presenti, avrebbero dovuto indurre a statuizione diversa, e diventano recessive rispetto alla qualificazione, come inesistenti, delle fatture in contestazione, con l’ovvia conseguenza della ripresa a tassazione come ricavi dei costi fittizi;

– in conclusione il ricorso deve essere rigettato; le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.000 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2020

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