Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7583 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/03/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7583

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2060-2020 proposto da:

S.G., S.D., S.M.,

F.L., elettivamente domiciliati in ROMA, V. TRIONFALE 5637, presso

lo studio dell’avvocato DOMENICO BATTISTA, rappresentati e difesi

dall’avvocato MERCURIO GALASSO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MONTESILVANO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TREMITI, 10, presso lo studio

dell’avvocato ANNALISA PACE, rappresentato e difeso dall’avvocato

VALENTINO VENTA;

– resistente –

contro

G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO CONTI

ROSSINI 26, presso lo studio dell’avvocato PAOLO D’URBANO,

rappresentato e difeso dagli avvocati PASQUALE PROVENZANO, LUIGI

D’ANDREAGIOVANNI;

– controricorrente –

e contro

V.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FERNANDO RUCCI;

– resistente –

avverso l’ordinanza N. R.G. 5568/2018 del TRIBUNALE di PESCARA,

depositata il 03/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA;

lette le conclusioni scritte del PUBBLICO MINISTERO in persona del

SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE DOTT. FRESA MARIO, che visto l’art.

380 ter c.p.c. chiede che la Corte di Cassazione, in camera di

consiglio, rigetti il ricorso, con le conseguenze di legge.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2010, S.D., F.L., S.G. e M. convennero in giudizio, dinanzi il Tribunale di Pescara, S.L. al fine di sentirlo condannare al risarcimento dei danni per la morte del minore S.D..

In particolare, quest’ultimo mentre giocava presso il Luna Park nel Comune di Moltesilvano, inciampò su un cavo posto a terra. Per evitare la caduta si aggrappò a una protezione di acciaio di una giostra, di proprietà del convenuto, e venne investito da una scarica elettrica morendo all’istante.

Il Tribunale di Pescara, con sentenza n. 1867/2013 (procedimento n. 6573/2010 R.G.), condannò S.L. e la Reale Mutua, chiamata in giudizio, al risarcimento dei danni in misura pari a Euro 945.308,78. Solo la compagnia assicurativa versò la somma dovuta, pari ad Euro 500.000 corrispondente al massimale di polizza.

1.1. Nel 2015, con atto di citazione S.D. e F.L., convennero in giudizio, dinanzi il Tribunale di Pescara, V.L., G.P. e il Comune di Montesilvano, per sentirli condannare al risarcimento dei danni nella misura di Euro 1.206,857,00, da cui detrarre l’importo versato dalla Reale Mutua.

Gli attori, genitori del minore defunto ed esercenti la responsabilità genitoriale sulle figlie allora minorenni G. e M., dedussero la responsabilità di V.L., che aveva ottenuto la licenza per allestire il Luna Park, sostenendo che non aveva correttamente controllato i cavi di alimentazione di tutte le giostre; la responsabilità di G.P. per aver rilasciato, in qualità di ingegnere, una relazione di collaudo lacunosa in merito alla giostra dove si verificò l’incidente; la responsabilità del Comune di Montesilvano per aver concesso l’autorizzazione ad istallare la giostra suddetta.

Il Tribunale di Pescara, con sentenza n. 1345/2018 (procedimento n. 205/2015 R.G.) dichiarò inammissibile la domanda attorea, in quanto diretta ad ottenere un risarcimento dei danni in misura superiore rispetto a quanto previsto nella sentenza n. 1867/2013, ormai passata in giudicato.

1.2. Avverso la sentenza n. 1345/208 S.D., F.L., e le figlie G. e M. hanno proposto appello, dinanzi la Corte d’appello dell’Aquila, contestando la inammissibilità della domanda.

Il procedimento, iscritto al n. 1391/2018 R.G., è fissato per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 27.01.2021.

2. Nel 2018, i genitori e le sorelle di S.D. convenivano in giudizio, dinanzi il Tribunale di Pescara, il Comune di Montesilvano per sentirlo condannare in solido con V.L. e G.P. al risarcimento dei danni patiti per la morte di S.D., quantificati in misura pari a Euro 945.308,78, da cui detrarre l’importo di Euro 500.000 versati dalla Reale Mutua in esecuzione alla sentenza n. 1867/2013.

Il Tribunale di Pescara, con ordinanza n. 1335/2019 del 03/12/2019 (procedimento n. 5568/2018 R.G.), ha accolto l’eccezione di litispendenza avanzata dai convenuti e ha dichiarato la litispendenza con il giudizio pendente dinanzi la Corte d’Appello dell’Aquila procedimento n. 1391/2018 R.G ed ha cancellato la causa dal ruolo e condannato gli attori alla refusione delle spese di giudizio per una somma pari a Euro 6.715,00 per ciascuno.

3. Avverso tale ordinanza S.D., G. e M., e F.L. propongono ricorso per regolamento necessario di competenza ex artt. 42 e 47 c.p.c. affinchè la Corte di cassazione dichiari l’insussistenza della litispendenza così come dichiarata dal Tribunale di Pescara.

I ricorrenti pongono tre motivi di ricorso.

V.L. e il Comune di Montesilvano presentano memorie difensive ex art. 47 c.p.c., comma 5.

G.P. propone controricorso.

Il Procuratore generale ha concluso per iscritto per il rigetto del ricorso e l’infondatezza del regolamento di competenza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c.”.

Il Tribunale avrebbe dichiarato la litispendenza dei due procedimenti in questione (il n. 5568/2018 R.G presso il Tribunale di Pescara e il n. 1391/2018 R.G., presso la Corte di appello di Pescara), nonostante lo stato processuale escluda la coincidenza dei due giudizi in quanto la precedente causa, pendente ora in appello, non ha comportato alcuna decisione nel merito.

Il motivo è infondato.

A norma dell’art. 39 c.p.c., comma 1, qualora una stessa causa venga proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito è tenuto a dichiarare la litispendenza, anche se la controversia iniziata in precedenza sia stata già decisa in primo grado e penda ormai davanti al giudice dell’impugnazione, senza che sia possibile la sospensione del processo instaurato per secondo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. o dell’art. 337 c.p.c., comma 2, a ciò ostando l’identità delle domande formulate nei due diversi giudizi (Cass. S.U. n. 27846/2013; Cass. n. 15981/2018; 18082/2020).

4.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c., in relazione agli artt. 99 e 295 c.p.c.”, per aver il Tribunale di Pescara dichiarato la litispendenza invece che la continenza di cause, con conseguente necessità di sospensione del giudizio che ne occupa.

Ancora, l’ordinanza sarebbe erronea nella parte in cui il giudice di merito ha ritenuto sussistente tra i due giudizi una idoneità di petitum, mentre, al contrario, i ricorrenti ritengono una diversità sia per quanto concerne il parametro da cui trarre la quantificazione del risarcimento, sia per quanto attiene all’ammontare del danno richiesto.

Il motivo è fondato.

Risulta errata, infatti, la motivazione dell’ordinanza impugnata, la dove si afferma che le cause risultano assolutamente identiche per soggetti, causa petendi e petitum in quanto “la domanda spiegata nel giudizio sospeso, ancorchè limitata alla quantificazione del risarcimento nella complessiva somma di Euro 945.308,78 ed accessori, come riconosciuta dalla sentenza numero 1867/2013 passata in giudicato, con conseguente condanna dei convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 445.308,78 (al netto cioè dell’importo di Euro 500.000 già pagato dalla Reale Mutua Assicurazione in forza della citata sentenza), finisce per corrispondere con la domanda spiegata nel giudizio iscritto al numero 215/2015, definito con la sentenza gravata da appello, per la quantificazione del risarcimento nella complessiva somma di Euro 1.206.857 e dunque per la condanna dei convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 706.857 (al netto dell’importo di Euro 500.000 già riscosso), proprio in virtù della locuzione “o di quella maggiore o minore che risulterà di giustizià aggiunta nella domanda medesima”.

Il giudice del merito ha errato perchè il nesso fra le due domande dei sopraindicati giudizi non è di litispendenza, bensì di continenza.

Infatti si tratta di giudizi diversi in relazione alla quantificazione del risarcimento.

La continenza di cause si verifica quando due azioni,

contemporaneamente pendenti davanti a giudici diversi, abbiano identici soggetti e causa petendi e differiscano solo quantitativamente nel petitum nel senso che il petitum di una di esse è più ampio e tale da contenere il petitum dell’altra, cosicchè la materia del contendere di un giudizio comprende e coinvolge la materia del contendere dell’altro.

Il rapporto di continenza tra due cause è determinato dalla pendenza, davanti a giudici diversi, di cause aventi identità di elementi soggettivi e una parziale coincidenza di elementi oggettivi. Ciò si può verificare quando il petitum di una di esse sia più esteso, in modo da comprendere, in una relazione di contenente a contenuto, la pretesa che forma oggetto dell’altra causa; se la causa petendi dell’una combaci solo parzialmente con quella dell’altra causa (Sez. 2, Sentenza n. 1908 del 19/03/1986); oppure qualora le due cause siano caratterizzate da un rapporto di interdipendenza, come nel caso in cui sono prospettate, con riferimento ad un unico rapporto negoziale, domande contrapposte o in relazione di alternatività; nonchè quando le questioni dedotte con la domanda anteriormente proposta costituiscano il necessario presupposto (alla stregua della sussistenza di un nesso di pregiudizialità logico-giuridica) per la definizione del giudizio successivo (Sez. U, Ordinanza n. 20596 del 01/10/2007, Rv. 599252 – 01).

Quando si verificano i presupposti della continenza, l’obiettivo è quello di realizzare un’economia di giudizio e di evitare l’emanazione di sentenze contraddittorie, attraverso la fusione della causa di minor valore in quella di valore maggiore. Infatti l’art. 39 c.p.c. al comma 2 dispone che, se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara la continenza e fissa con ordinanza un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice (criterio della prevenzione). Se, invece, il giudice preventivamente adito non è competente per la causa successivamente proposta, egli fissa il termine per la riassunzione davanti al secondo giudice (criterio dell’assorbimento).

Nel caso di specie, ricorre l’ipotesi della differenza quantitativa del petitum, dato che nella causa pendente innanzi alla Corte d’appello è stato richiesto, in relazione al medesimo fatto, un risarcimento in misura più ampia rispetto a quello dedotto nel secondo giudizio. Orbene, nell’ipotesi di continenza fra un giudizio in grado di appello ed altro in primo grado, non può realizzarsi la rimessione della seconda causa al giudice dell’impugnazione della decisione sulla prima, ai sensi dell’art. 39 c.p.c., comma 2, per il diverso grado in cui risultano pendenti (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5455 del 10/03/2014, Rv. 630197 – 01). Ne consegue che l’esigenza di coordinamento sottesa alla disciplina dell’art. 39 c.p.c., comma 2, dev’essere assicurata mediante l’art. 295 c.p.c., cioè per il tramite della sospensione della causa che avrebbe dovuto subire l’attrazione all’altra se avesse potuto operare detta disciplina, in attesa della definizione con sentenza passata in giudicato della causa che avrebbe esercitato l’attrazione (Sez. 3, ordinanze 14 novembre 2017, n. 26835 e 3 giugno 2020, n. 10439).

Sulla base di tale corretto inquadramento, il giudice del merito avrebbe dovuto dichiarare la continenza e sospendere il giudizio di cui al presente regolamento.

4.3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la “violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014 e successive modifiche, art. 4, comma 5, e integrazioni”. Il giudice di merito avrebbe erroneamente condannato i ricorrenti a rifondere alle parti un totale di oltre 25 mila Euro, riconoscendo come dovute tutte le fasi del procedimento ordinario (fase di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale). Invero la fase istruttoria non sarebbe stata svolta, con la conseguente esclusione nel computo del calcolo finale in merito alle spese.

Il motivo è assorbito dall’accoglimento del precedente.

5. In conclusione, il ricorso è fondato. L’ordinanza del Tribunale di Pescara deve essere cassata e le parti rimesse davanti al medesimo Ufficio. Spetterà a quest’ultimo, una volta riassunta la causa, sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in quanto “contenuto” in quello pendente davanti alla Corte d’appello di L’Aquila.

PQM

cassa l’ordinanza impugnata e rimette le parti davanti al Tribunale di Pescara, anche per le spese del presente regolamento di competenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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