Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7582 del 01/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 01/04/2011, (ud. 10/02/2011, dep. 01/04/2011), n.7582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9199-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, già elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

CONCILIAZIONE 10, presso lo studio dell’avvocato NICOLELLA MARIO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta

delega in atti e da ultimo domiciliata presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

P.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SCAVONE MAURIZIO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1017/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 17/07/2006, R.G.N. 2242/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato FIORILLO per delega TOSI PAOLO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. P.S. e Poste italiane spa stipularono, a partire dal 1998, sei contratti di lavoro a tempo determinato.

2. La Corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata il 17 luglio 2006, riformando in parte la sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità del contratto a termine, il quinto, stipulato il 13 febbraio 2002 e, di conseguenza ha dichiarato che il rapporto di lavoro si è trasformato in contratto a tempo indeterminato. Ha, quindi, confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva condannato la società a risarcire il danno della lavoratrice corrispondendo le retribuzioni a decorrere dalla messa a disposizione delle energie lavorative, avvenuta il 28 aprile 2004.

3. Poste italiane ricorre per tre motivi. La P. ha depositato controricorso, notificato il 24 aprile 2007. Entrambe le parti hanno depositato memoria per l’udienza.

4. Con il primo e il secondo motivo, la società ricorrente, premesso che la Corte ha ritenuto applicabile il D.Lgs. n. 368 del 2001, censura tale affermazione, rilevando che l’art. 11 di quel medesimo decreto legislativo precisa che le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, manterranno in via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei ccnl. Sulla base di tale premessa, con il secondo motivo, censura la sentenza per violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 o dell’art. 25 ccnl 2001 per aver subordinato la legittimità del contratto a termine alla dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione del lavoratore e le esigenze dedotte in contratto.

5. La censura non è fondata per le ragioni esposte da Cass. 13 luglio 2010, n. 16424: “In materia di assunzioni a termine del personale postale, l’art. 74, comma 1, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 del personale non dirigente di Poste italiane s.p.a. stabilisce il 31 dicembre 2001 quale data di scadenza dell’accordo. Ne consegue che i contratti a termine stipulati successivamente a tale data non possono rientrare nella disciplina transitoria del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 – che aveva previsto il mantenimento dell’efficacia delle clausole contenute nell’art 25 del suddetto c.c.n.l., stipulate ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 – e sono interamente soggetti al nuovo regime normativo, senza che possa invocarsi l’ultrattività delle pregresse disposizioni per il periodo di vacanza contrattuale collettiva, ponendosi tale soluzione in contrasto con il principio secondo il quale i contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti”. Il secondo motivo rimane assorbito.

6. Con il terzo motivo, in via subordinata, si sostiene che anche laddove si dovesse ritenere applicabile il D.Lgs. n. 368 del 2001 il termine sarebbe legittimo perchè 1) la clausola risponde ai requisiti di specificità imposti dalla disciplina legale e 2) il passaggio dalla vecchia alla nuova normativa non può aver fatto venire meno le prerogative delle organizzazioni sindacali: il richiamo agli accordi collettivi rende superflua qualsiasi indagine in merito al collegamento eziologico tra singola assunzione e le esigenze aziendali richiamate dai contratti collettivi.

7. La seconda censura è manifestamente infondata e annulla il senso e il precetto della disciplina del 2001. La prima entra nel merito della valutazione della Corte di Torino, che ha invece, convincentemente, rilevato che la formula del contratto di assunzione non indica quale tra le varie ragioni fosse quella che legittimava l’assunzione a termine, ma neppure specifica quali fossero i motivi per i quali presso l’ufficio di destinazione si rendesse necessario l’apporto lavorativo di un dipendente a tempo determinato. Anche il terzo motivo pertanto è privo di fondamento.

8. Poste italiane con la memoria per l’udienza invoca l’applicazione della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5. Tuttavia, sul punto relativo al risarcimento del danno, in mancanza di un motivo di ricorso che investa tale capo della decisione, la sentenza è passata in giudicato (Cass. 3 gennaio 2011, n. 65, ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di rapporto di lavoro a termine, l’applicazione retroattiva della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, il quale ha stabilito che, in caso di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di una “indennità onnicomprensiva” compresa tra 2, 5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 prevista dal successivo comma 7 del medesimo articolo in relazione a tutti i giudizi, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della legge, trova limite nel giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria a seguito dell’impugnazione del solo capo relativo alla declaratoria di nullità del termine, e non anche della ulteriore statuizione relativa alla condanna al risarcimento del danno, essendo quest’ultima una statuizione avente individualità, specificità ed autonomia proprie rispetto alle determinazioni concernenti la natura del rapporto”).

9. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese sono a carico della parte che perde il giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione alla controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 47,00 nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali e distrae all’avv. Maurizio Scavone dichiaratosi anticipatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2011

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