Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7580 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 08/03/2022, (ud. 28/01/2022, dep. 08/03/2022), n.7580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

E.J., elettivamente domiciliato in Parma, Strada Petrarca

n. 20, presso lo studio dell’avv. Paolo Righini (p.e.c.

paolorighini.pec.studio-righini.it) che lo rappresenta e difende per

procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

nei confronti di:

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 6516/2021 del Tribunale di Bologna, emesso in

data 14 luglio 2021 e depositato in data 23 luglio 2021, comunicato

in data 26 luglio 2021, R.G. n. 85/2019;

sentita la relazione in Camera di consiglio del relatore cons. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, E.J., nato in (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Bologna impugnando il provvedimento con cui la componente Commissione territoriale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, e di protezione umanitaria. Nel richiedere la protezione internazionale il ricorrente esponeva che il padre era membro del partito (OMISSIS) ((OMISSIS)) e che, a seguito della vittoria del partito avversario, il (OMISSIS) ((OMISSIS)), alcuni membri di quest’ultimo avevano fatto irruzione in casa loro uccidendo il padre, affermando che quest’ultimo avesse un debito con loro e che il ricorrente avrebbe dovuto ripagarlo entro l’anno successivo. Il ricorrente, dunque, fuggiva dal proprio villaggio con la propria famiglia, dapprima in un altro villaggio in Edo State, lavorando lì per un mese, per poi andare a lavorare in Libia su suggerimento del datore di lavoro, che aveva un figlio in quel paese.

Il Tribunale, all’esito dell’audizione, ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione. In particolare il Tribunale ha ritenuto che la vicenda narrata dal ricorrente fosse non credibile, in quanto generica e contraddittoria, in relazione agli eventi principali della vicenda (come ad esempio l’aggressione del padre, le pretese creditorie avanzate dagli aggressori e i precedenti tentativi degli avversari politici di far entrare il padre nelle loro fila). In aggiunta, a parere del Tribunale, trattandosi di vicenda privata, il ricorrente non avrebbe neppure allegato di essersi rivolto alle autorità del proprio stato per ottenere protezione. Quanto alla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria lett. c), il Tribunale ha ritenuto che, sulla base delle COI acquisite d’ufficio (UNHCR 2017, HRW 2018 e 2020, Amnesty international 2017-2018 e 2019, EASO 2018, USDOS 2019, ACCORD 2020), non risultasse esservi nel paese una situazione di violenza generalizzata tale da comportare alcun rischio effettivo per il ricorrente in caso di rientro. Infine, il Tribunale ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria o per l’applicazione del principio di non refoulement ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, in considerazione di un’integrazione non sufficiente (caratterizzata dall’avvio a maggio 2021 di un tirocinio formativo della durata di un anno e da attività di volontariato della durata di due mesi) e della mancanza di particolari vulnerabilità o problemi di salute del ricorrente. Inoltre, a parere del Tribunale non sussisterebbero rilevanti legami affettivi in Italia, anche in considerazione del fatto che il figlio vive attualmente in Francia e non vi sarebbero rapporti tra i due.

Avverso il predetto decreto E.J. ha proposto ricorso per cassazione, notificato in data25 agosto 2021, svolgendo quattro motivi.

L’intimata Amministrazione ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: “I motivo: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4 e 5; nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e 3; II motivo: violazione del D.lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c); III motivo: violazione del D.lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; IV motivo: violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – motivazione apparente circa un fatto controverso decisivo ai fini del giudizio”.

2. Il primo motivo di ricorso censura la valutazione svolta dal Tribunale in merito alla crediibilità del ricorrente. In particolare, il Tribunale, in violazione dei criteri legali di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avrebbe omesso di confrontare il ricorrente con le incongruenze del proprio narrato successivamente poste alla base del rigetto, privandolo così della possibilità di chiarire eventuali dubbi.

La censura è inammissibile.

Si è già chiarito che, in tema di protezione internazionale, la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (cfr. Cass. n. 27593 del 2018 e Cass. n. 29358 del 2018). Anche di recente (Cass. n. 11925 del 2020), si è affermato che “la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

3. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 14 del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. b) per non avere il Tribunale attivato il proprio potere di cooperazione istruttoria ai fini della valutazione sulla credibilità del ricorrente. Sempre in relazione al secondo motivo, si osserva che è errata l’affermazione del Tribunale secondo la quale il ricorrente non avrebbe dimostrato di essersi rivolto alle autorità statali per ricevere protezione, in quanto tale elemento viene riportato dal decreto stesso laddove sono ritrascritte le dichiarazioni del ricorrente (vedasi pag. 4 del decreto: “il 27 dicembre mio zio è andato a fare la denuncia alla polizia ma loro hanno consigliato di seppellire mio padre perché non avevano l’obitorio dove conservare il corpo, mentre avrebbero investigato”).

In relazione al secondo motivo si evidenzia che, sebbene la rubrica del motivo comprenda altresì la violazione dell’art. 14, lett. c, nello sviluppo della doglianza non vi sia poi alcun riscontro in merito, limitandosi di fatto alla valutazione della protezione sussidiaria lett. b.

La censura è inammissibile in quanto non si confronta con la decisione che ha ritenuto insussistenti i presupposti della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b), stante la non credibilità del narrato.

Sotto quest’ultimo profilo la decisione del Tribunale appare conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo cui “in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. Ord. n. 16925 del 2018, Cass. Ord. n. 4892 del 2019, Cass. Ord. n. 16925 del 2020).

In memoria, si insiste sulla necessità di specificare, da parte del giudice, le fonti informative utilizzate ai fini dell’individuazione della situazione del Paese d’origine, ma, nella specie, da un lato, il narrato del ricorrente è stato motivatamente ritenuto del tutto non credibile, dall’altro, si sono consultate ed indicate le fonti consultate, sulla situazione generale del Paese d’origine.

4. Il terzo motivo di ricorso censura il mancato riconoscimento della protezione umanitaria sulla base dell’assenza di vulnerabilità, in ragione della ritenuta non credibilità della vicenda narrata dal ricorrente.

La censura è inammissibile in quanto non tiene conto della ratio decidendi del provvedimento impugnato che ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in assenza tanto di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente che di ulteriori allegazioni di particolari profili di vulnerabilità da parte del ricorrente. Il riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, pur postulando una condizione di vulnerabilità personale, la cui configurabilità deve costituire oggetto di una valutazione autonoma rispetto a quella dei presupposti richiesti per l’applicazione delle altre forme di protezione, non richiede infatti specifici approfondimenti istruttori da parte del giudice di merito allorquando, come nella specie, quest’ultimo abbia già escluso la credibilità della vicenda personale allegata dal richiedente, e non siano state fatte valere ragioni di vulnerabilità diverse ed ulteriori rispetto a quelle dedotte a sostegno della domanda di riconoscimento delle forme di protezione c.d. 8 maggiori (cfr. Cass. n. 29624 del 2020; Cass. n. 21123 del 2019 e Cass. n. 21129 del 2019).

Il Tribunale ha evidenziato che, a fronte dell’assenza di situazioni di vulnerabilità personale in relazione alla situazione generale del Paese d’origine, in punto di integrazione in Italia, il ricorrente non conosce la lingua italiana, non è autosufficiente economicamente (ha svolto solo un tirocinio formativo nel 2021 ed attività di volontariato nel 2020) né ha prodotto documentazione attestante l’autonomia abitativa; inoltre non ha legami familiari in Italia (il richiedente ha un figlio che vive in Francia e non risultano rapporti tra i due).

A fronte di tale accertamento fattuale, concernente tutti i possibili profili del giudizio di comparazione, anche alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 24413/2021 e non potendo rilevare documenti non allegati nel merito, la censura risulta inammissibile.

5. Il quarto motivo di ricorso, con il quale si censura la mera apparenza della motivazione del Tribunale, avendo quest’ultimo omesso di dare seguito al suo dovere di cooperazione e di indagine, è inammissibile, per sua assoluta genericità.

Non ricorre il vizio di motivazione del tutto apparente o illogica, anche alla luce delle considerazioni svolte in relazione agli altri motivi.

Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. n. 22232 del 2016; Cass. n. 8053 del 2014) ha invero affermato che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.

6. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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