Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7578 del 01/04/2011

Cassazione civile sez. I, 01/04/2011, (ud. 27/01/2011, dep. 01/04/2011), n.7578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 25159 del Ruolo Generale degli affari

civili dell’anno 2007 di:

Società in nome collettivo Dott. ing. DOMENICO ELIO CUCULLO, in

liquidazione, con sede in (OMISSIS), in persona

del liquidatore p.t. S.A.M., vedova C.,

elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Sesto Rufo n. 23, presso

gli avv. DE VIRGILIIS Paola e Lucio V. Moscarini, che la

rappresentano e difendono, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PENNE (CH), in persona del legale rappresentante p.t., già

domiciliato in appello, con il suo difensore avv. PROSPERI Armando,

all’Aquila, al Viale Francesco Crispi n. 15, presso l’avv. Ascenzo

Lucantonio;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila n. 160/07 del

12 dicembre 2006 – 2 marzo 2007, notificata alla ricorrente il 28

giugno 2007.

Udita all’udienza del 28 febbraio 2011 la relazione del Cons. Dr.

Fabrizio Forte e sentito l’avv. Moscarini comparso con l’avv. De

Virgiliis, per la ricorrente e il P.G. Dr. Pierfelice Pratis che

conclude per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 9 aprile 1988, la s.n.c. Dott. Ing. Domenico Elio Cuculio, appaltatrice della costruzione del carcere mandamentale per conto del Comune di Penne, che aveva consegnato all’appaltatrice il cantiere il 4 aprile 1984, conveniva l’ente locale dinanzi al Tribunale di Pescara e chiedeva di risolvere il contratto del 15 marzo 1984 per inadempimento dell’ente locale, che non aveva rimosso gli ostacoli di fatto non indicati in progetto impeditivi della prosecuzione dei lavori, quali alberi di alto fusto, per il cui abbattimento erano state necessarie autorizzazioni dell’Ispettorato agrario e un elettrodotto e un acquedotto che occupavano l’area destinata all’opera da realizzare.

Poichè l’area di cantiere era stata posta nella disponibilità dell’impresa in ritardo (24 giugno 1984) e, dopo la morte dell’ing. C. del (OMISSIS), si era disposta dal Comune la prosecuzione dell’appalto nel febbraio 1985, a seguito di un atto di sottomissione della società per la esecuzione dello spostamento dell’acquedotto dall’area dei lavori del maggio successivo, l’esecuzione dell’appalto era proseguita fino all’agosto del 1985, quando la appaltatrice aveva dichiarato non esservi altre opere eseguibili.

Non avendo il Comune di Penne sospeso i lavori e avendo fatto redigere una perizia di variante, dopo che l’impresa aveva manifestato una disponibilità per iscritto a portare a compimento l’appalto, la condotta dell’ente locale, ad avviso della società attrice, costituiva grave inadempimento nel rapporto; l’impresa chiedeva quindi la risoluzione e la condanna del comune a risarcire i danni da liquidare in L. 1.169.60.840, comprensivi dei danni morali al buon nome della società e delle spese contabilizzate per i lavori eseguiti, come emergenti dai vari S.A.L. e dalle riserve iscritte dalla società nei registri contabili dei lavori.

Si costituiva il comune convenuto che, dedotto che i ritardi nei lavori erano imputabili solamente all’attrice e che, per tali ritardi, esso aveva dovuto rescindere l’appalto ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340, all. F, chiedeva di dichiarare improcedibile o inammissibile la domanda di risoluzione della società prospettata dopo che il contratto era divenuto già inefficace, per essere stato rescisso dalla stazione appaltante, ovvero di rigettarla e, in via riconvenzionale, di risolvere il contratto per inadempimento della appaltatrice, condannandola a restituire le somme ricevute in eccesso rispetto ai lavori eseguiti e a risarcire i danni anche in separata sede.

Il Tribunale di Pescara rigettava le domande della società sia in ordine al risarcimento che per il pagamento di quanto dovuto in base alle riserve iscritte da essa nel corso dei lavori, non confermate nello stato finale degli stessi, accogliendo parzialmente la riconvenzionale dell’ente locale di rimborso di una parte delle somme indebitamente riscosse dall’impresa, ritenendo legittima e regolare la rescissione decisa dal Comune di Penne del contratto di appalto e pronunciava poi la risoluzione dell’appalto per inadempimento dell’appaltatrice, con condanna di questa al risarcimento del danno, da liquidare in separato giudizio, e al rimborso all’ente locale di una parte delle spese di causa, da compensare nel residuo.

Su gravame di entrambe le parti, con sentenza del 2 marzo 2007, la Corte di appello dell’Aquila, valutate le loro condotte, ha ritenuto più grave l’inadempimento della società appaltatrice rispetto a quello del Comune di Penne, per avere l’impresa stessa in una prima fase accettato di eseguire la variante di progetto con missiva indirizzata all’ente locale, dopo aver provveduto a deviare l’acquedotto esistente nell’area di cantiere con opere alle quali si era impegnata con atto di sottomissione e non avere successivamente dato esecuzione agli ordini di servizio della Direzione Lavori per il prosieguo dei lavori, avendo abbandonato il cantiere, dopo avere ricevuto notizia pure dei finanziamenti delle nuove opere e avere incassato rilevanti somme dalla stazione appaltante.

Tali condotte dell’appaltatrice, rispetto agli inadempimenti del Comune di Penne, il cui errato progetto aveva inciso sui ritardi nell’inizio e nell’esecuzione dei lavori, erano ritenuti comportamenti violativi degli obblighi contrattuali più gravi di quelli dell’ente locale dalla Corte di merito, con la conseguenza che la rescissione disposta dalla P.A. s’è ritenuta giustificata e s’è quindi accolta la riconvenzionale di risoluzione dell’appalto per colpa della società.

Rigettata quindi ogni domanda della società appaltatrice di risarcimento del danno e di pagamento delle somme pretese, la Corte d’appello ha accolto la riconvenzionale di rimborso all’ente locale di Euro 69.267,10, ricevuti in eccesso dall’impresa, riducendo la somma da rimborsare dalla società appaltatrice fissata dal Tribunale dell’importo della cauzione, in quanto già sostituita da fideiussione bancaria ad opera della stessa impresa.

La Corte di merito ha confermato, nei residui capi, la sentenza di primo grado e condannato l’appellante società a pagare la somma indicata ricevuta in eccesso con accessori e a rimborsare all’ente locale, i quattro quinti delle spese del grado, compensate nel residuo.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la s.n.c. Dr. Ing. Domenico Elio Cucullo in liquidazione, con due motivi illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., e il Comune di Penne non s’è difeso in questa sede; alle conclusioni del P.G. rese alla udienza pubblica del 28 febbraio 2011 ha replicato con osservazioni scritte ai sensi dell’art. 379 c.p.c., la difesa della ricorrente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve rilevarsi la valida instaurazione del rapporto processuale in sede di legittimità, in relazione alle modalità con le quali si è attuata nella fattispecie la notificazione della impugnazione.

1.1. Il ricorso per cassazione risulta essere stato consegnato all’ufficiale giudiziario competente il 3 ottobre 2007 dalla ricorrente s.n.c. dott. Ing. Domenico Elio Cuculio in liquidazione, per la notifica a mezzo posta del cui buon esito non v’è prova, non avendo gli Uffici postali restituito l’avviso di ricevimento del plico da notificare, sottoscritto dal destinatario ed avendo invece affermato che lo stesso poteva essere stato smarrito.

La ricorrente, di sua iniziativa, ha anzitutto ripetuto la notifica a mezzo posta del ricorso in data 25 febbraio – 3 marzo 2008 presso il difensore dell’ente locale avv. Prosperi, nel domicilio eletto presso l’avv. Lucantoni in L’Aquila e, poichè l’intimato ente locale ha continuato a non difendersi in sede di legittimità, ha chiesto a questa Corte di essere autorizzata a rinnovare la notificazione ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 2, non potendo dare prova dell’ avvenuta consegna al destinatario del ricorso senza sua colpa, per non avere adempiuto ai loro oneri di restituzione dell’avviso di ricevimento nè l’amministrazione postale nè l’ufficiale giudiziario.

Poichè la tempestiva consegna del plico da notificare all’ufficiale giudiziario in data 2 ottobre 2007 dalla società istante, ha comportato per questa il perfezionamento della notificazione, per i principi enunciati nella sentenza additiva della Corte Costituzionale del 26 novembre 2002 n. 477 che ha collegato tale perfezionamento a detta attività, come è confermato dall’art. 149 c.p.c., comma 3, aggiunto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 283, applicabile a tutti i giudizi successivi al 1 marzo 2006, non essendovi prova dell’avvenuto perfezionamento della notificazione per il destinatario dell’atto ed essendo irrilevante il rinnovo di detto adempimento fuori termine a iniziativa della ricorrente il successivo 3 marzo 2008, su istanza della s.n.c. Cuculio, con ordinanza di questa Corte n. 8224/09 comunicata il 17 aprile 2009, si è disposto il rinnovo della notificazione del ricorso entro sessanta giorni e a tale onere la parte ha ottemperato a mezzo posta, spedendo l’impugnazione al Comune di Penne sia presso il nuovo indirizzo del domiciliatario avv. Lucantonio, trasferito in altra città a seguito del terremoto dell’aprile precedente, che presso gli uffici giudiziari dell’Aquila, ai sensi del D.L. 28 aprile 2009, n. 39, art. 5, commi 9 e 10, oltre che nello studio del difensore avv. Osvaldo Prosperi in Pescara e presso la casa comunale in Penne, con atto spedito l’8 maggio 2009 e consegnato il successivo 29 maggio 2009, come stabilito dal D.L. n. 39 del 2009.

Avverso detta impugnazione nessuna difesa è stata proposta dal Comune di Penne, nonostante la rimessione in termini della ricorrente decisa da questa Corte, non potendosi imputare alla società l’omessa consegna al domiciliatario del plico contenente il ricorso, comunque depositato presso gli uffici giudiziari dell’Aquila e in tal modo messo a disposizione del destinatario.

L’ente locale è pertanto da ritenere regolarmente evocato in causa in sede di legittimità (per tale rimessione in termini cfr. S.U. 14 gennaio 2008 n. 627 e Cass. 10 aprile 2008 n. 9342) e l’impugnazione, per i profili che precedono, deve ritenersi ammissibile, avendo di essa avuto certamente notizia il suo destinatario, reso edotto anche della disposta remissione in termini per la quale si è regolarmente instaurato il contraddittorio tra le parti, dovendosi ritenere espressione della volontà della parte evocata in causa, la scelta del comune di Penne di non resistere al ricorso di controparte in sede di giudizio di legittimità.

2.1. Il primo motivo di ricorso della s.n.c. Dott. Ing. Domenico Elio Cuculio deduce violazione del combinato disposto della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 342 e 343, all. F, in materia d’impossibilità di esecuzione dei lavori in assenza di apposita perizia di variante e della relativa copertura finanziaria e di ogni altra norma in materia di rescissione del contratto per negligenza dell’appaltatore, nonchè dell’art. 1453 c.c., e segg. e di ogni altra norma in materia d’inadempimento contrattuale, risoluzione e valutazione comparativa dei comportamenti illeciti delle parti del contratto nell’esecuzione dello stesso.

La sentenza impugnata afferma che era stata necessaria la sospensione dei lavori, per essersi rilevata la necessità dell’esecuzione di altre opere imposte dagli errori di progetto dovuti alla stazione appaltante, che non aveva tenuto conto dello stato dei luoghi e della necessità di deviare un tronco di un acquedotto e di modificare il tracciato di una strada interpoderale attraversanti l’area, oltre che degli altri ostacoli di fatto alla esecuzione ai lavori come descritti nello svolgimento del processo.

La difformità del progetto dallo stato dei luoghi ostativo alla esecuzione di esso, secondo la sentenza impugnata, emergeva dalla stessa delibera di rescissione dell’appalto; peraltro se la erronea elaborazione del progetto era da imputare alla stazione appaltante, all’appaltatore era in ogni caso da addebitare la mancata collaborazione con il Comune nell’adeguarsi alle varianti indispensabili alla esecuzione del progetto approvate dall’ente locale.

La condotta dell’impresa, che aveva sottoscritto solo l’atto di sottomissione del 10 maggio 1985 relativo ai lavori di deviazione dell’esistente acquedotto e non aveva dato esecuzione ai successivi ordini di servizio della Direzione Lavori e dell’Ingegnere capo, attuativi delle perizie di variante, è stata erroneamente valutata come grave inadempimento della ricorrente dai giudici di merito.

Dopo che la società appaltatrice si era impegnata, con una sua missiva, a dare esecuzione anche alle opere previste in variante, ad avviso della corte di merito, essa aveva disatteso due ordini di servizio della Direzione lavori, abbandonando il cantiere e non adempiendo all’ordine di ripresa dell’appalto, dopo la rimozione di ogni ostacolo alla prosecuzione di esso, per cui sussisteva l’inadempimento dell’impresa che aveva giustificato la rescissione decisa dal Comune di Penne, al quale dovevano essere restituite dalla controparte tutte le somme da essa ricevute in eccesso rispetto alla misura dei lavori eseguiti in concreto e in conformità al progetto.

Secondo la Corte di appello la comparazione dei comportamenti della parti evidenzia il carattere più grave dell’inadempimento della appaltatrice rispetto a quello della stazione appaltante, per cui si è posto a carico dell’impresa la disposta risoluzione, con una palese errata valutazione comparata dei comportamenti delle parti.

Il quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., domanda in ordine al primo motivo di ricorso, se è “legittimo l’operato di una P.A. appaltante che adotti un provvedimento di rescissione di appalto pubblico per inadempimento dell’appaltatore in data successiva a quella in cui quest’ultimo ha dato avvio al giudizio volto ad accertare l’inadempimento dell’amministrazione appaltante, a fronte di un preteso inadempimento dell’impresa consistito nel non avere l’impresa stessa proseguito i lavori, dopo aver dichiarato la sua disponibilità a riprendere l’esecuzione dell’opera sulla base di un progetto di variante che l’amministrazione era stata costretta ad adottare per essere altrimenti ineseguibile l’opera appaltata (carcere mandamentale), variante di un progetto per la quale l’appaltatrice aveva sottoscritto l’atto di sottomissione, non avendo però materialmente dato corso alla ripresa dei lavori, in assenza dei provvedimenti necessari alla copertura finanziaria degli stessi (adozione della variante e sua approvazione dal Provveditorato alle OO.PP.)”.

2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e disapplicazione del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 54 e 64 e di ogni norma in materia di iscrizione delle riserve (art. 360 c.p.c., n. 3), con conseguente omessa motivazione su punto decisivo della controversia.

La Corte ha ritenuto generica la dizione “per riserva”, iscritta dall’impresa nello stato finale dei lavori e quella delle iscrizioni contestuali delle riserve 4, 5, 6, 7 e 8 del registro di contabilità, ritenendo inammissibili le relative domande di pagamento della società appaltatrice.

In rapporto a tale seconda riserva generica nello stato finale dei lavori, la ricorrente chiede con il quesito conclusivo ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. a questa Corte di dire “se sia legittimo giudicare decaduta dalle proprie domande espresse con lo strumento delle riserve sul registro di contabilità un appaltatore cha abbia sottoscritto il registro di contabilità sottoposto alla sua firma, con allibrazione in esso anche del secondo e ultimo stato di avanzamento dei lavori, esprimendo in calce a quest’ultimo le riserve lo stesso giorno in cui la impresa ha scritto la dicitura per riserva su un separato documento contenente lo stato finale dei lavori”.

2. I due motivi di ricorso sono entrambi inammissibili per le violazioni di legge denunciate, non emergendo dai loro quesiti conclusivi i principi di diritto erroneamente applicati dalla sentenza impugnata e quelli eventuali corretti da applicare, ma solo indicandosi in essi circostanze di fatto, che potrebbero costituire la sintesi conclusiva dei difetti motivazionali denunciati contestualmente nei due distinti punti della impugnazione, senza però chiarire le ragioni mancanti della motivazione su tali punti controversi del raffronto tra comportamenti inadempienti delle parti operato dalla Corte di appello dell’Aquila.

Nella impugnativa inoltre si riconferma la mancata precisazione e specificazione delle riserve iscritte nei registri di contabilità senza indicare le ragioni per le quali la motivazione è stata inidonea a giustificare la soluzione adottata della causa su tale punto decisivo della mancata riserva sullo stato finale dei lavori, con conseguente rigetto del ricorso anche per tale profilo (sulla inidoneità del quesito stesso, come causa di preclusione del ricorso, cfr. Cass. 7 aprile 2009 n. 8463).

Nel quesito conclusivo del primo motivo di ricorso si indicano con chiarezza i comportamenti tenuti dalle parti che, secondo la sentenza impugnata, integrano i rispettivi inadempimenti, ma la ricostruzione delle condotte dell’impresa appare invece diversa nelle “brevi osservazioni per iscritto sulle conclusioni del pubblico ministero” depositate del difensore della ricorrente avv. Moscarini ai sensi dell’art. 379 c.p.c..

Nel ricorso si afferma che, per la società appaltatrice, valeva la esimente di non essere sicura del finanziamento e dell’approvazione delle varianti di progetto che tale finanziamento avrebbero imposto, affermandosi che l’impresa si era impegnata ad eseguire con atto di sottomissione tali varianti, mentre nelle osservazioni scritte si deduce che tale atto di sottomissione sarebbe stato relativo solo alla deviazione dell’acquedotto esistente nell’area di cantiere e non al completamento delle opere oggetto di appalto.

Nel quesito manca comunque ogni indicazione dei principi di diritto violati nè si specificano, come nel ricorso e nelle successive osservazioni scritte, le ragioni per le quali l’ammesso inadempimento dell’impresa, in rapporto alla variante che essa s’era impegnata ad eseguire con atto scritto, anche se non qualificabile atto di sottomissione, dovrebbe essere meno grave di quello pregresso del Comune in ordine all’adozione dell’errato progetto (sulle varianti proposte e approvate dalla stazione appaltante, cfr. Cass. 8 luglio 2009 n. 16046 e 2 aprile 2008 n. 8512).

In ordine alle riserve, il regime formale di esse necessario a rendere sicure le spese dei lavori pubblici, giustifica pienamente il rigore interpretativo della Corte d’appello e il quesito conclusivo conferma che le riserve già espresse non furono specificate e ripetute nello stato finale dei lavori, per cui anche il secondo motivo di ricorso è infondato e si conclude con un quesito di fatto che tende a giustificare la condotta dell’impresa nell’iscrizione incompleta delle riserve, non ripetute nello stato finale dei lavori (su tali principi cfr. da Cass. 6 dicembre 2002 n. 17335 a Cass. 17 marzo 2009 n. 6443).

3. In conclusione, essendo i motivi dotati di quesiti inidonei e insufficienti in ordine alle violazioni di legge denunciate, essi sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., mentre appaiono infondati, in rapporto alle denuncia delle carenze motivazionali che non sono chiarite, anche a ritenere sufficiente la sintesi finale dei motivi di ricorso in cui non si evidenziano le ragioni per cui la motivazione non giustificherebbe le scelte della Corte di merito sulla comparazione degli inadempimenti delle parti e sulla scelta operata a favore della stazione appaltante e la corretta decisione sulle riserve apposte nella contabilità dei lavori dalla impresa e non ripetute nello stato finale dei lavori, motivazioni che quindi devono confermarsi.

Il ricorso deve quindi complessivamente rigettarsi e nulla deve disporsi per le spese del giudizio di cassazione, che restano a carico della ricorrente, non essendosi l’ente locale difeso in sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2011

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