Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7577 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 30/03/2010), n.7577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

IPOST – ISTITUTO POSTELEGRAFONICI – GESTIONE COMMISSARIALE FONDO

BUONUSCITA POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del procuratore speciale

e Commissario, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PASUBIO 15,

presso lo studio dell’avvocato BUZZELLI DARIO, che lo rappresenta e

difende, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato POZZA MASSIMO, giusta procura speciale a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente ricorrente incidentale –

e contro

IPOST – ISTITUTO POSTELEGRAFONICI GESTIONE COMMISSARIALE FONDO

BUONUSCITA POSTE ITALIANE S.P.A.-, (d’ora in poi per brevità anche

“Ipost”), in persona del procuratore speciale e Commissario,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PASUBIO 15, presso lo studio

dell’avvocato BUZZELLI DARIO, che lo rappresenta e difende, giusta

procura speciale a margine del controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorrente incidentale –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 218/2008 della CORTE D’APPELLO di TORINO del

21/2/08, depositata il 13/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO LAMORGESE;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 218/2008 depositata il 13.3.2008, respingendo l’appello, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato l’IPOST Gestione Commissariale – al ricalcolo dell’indennità di buonuscita erogata a F.F. P., da computarsi alla data del (OMISSIS) in base al trattamento retributivo in godimento alla (successiva) data di cessazione del rapporto di lavoro ((OMISSIS)), e al pagamento delle conseguenti differenze, determinate in Euro 3.665,24, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla cessazione del rapporto al saldo, e in Euro 1.039,32 a titolo di rivalutazione monetaria e interessi legali sull’intero importo dovuto a titolo di indennità di buonuscita per il periodo intercorrente tra la cessazione del rapporto e il pagamento.

La Corte ha ritenuto di condividere, perchè conforme al tenore letterale delle disposizioni legislative in materia e rispondente a criteri di equità, il principio secondo cui l’indennità di buonuscita del dipendente postale va liquidata sulla base del trattamento economico finale percepito dal lavoratore all’atto del pensionamento. Ha ritenuto altresì che sulla liquidazione al netto non v’era stata contestazione.

Avverso questa decisione l’IPOST – Gestione Commissariale Fondo Buonuscita Poste Italiane s.p.a. ricorre per cassazione con due motivi.

Il lavoratore resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato con un motivo, al quale l’IPOST replica con controricorso.

A seguito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte per la decisione dei ricorsi in camera di consiglio.

L’IPOST ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso l’IPOST sostiene che il testo delle norme di legge applicabili in materia (L. n. 449 del 1997, art. 53, comma 6, e D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 3) impone di ritenere che la buonuscita del dipendente postale, da calcolarsi alla data di trasformazione dell’Ente Poste Italiane in società per azioni (28.2.1998), deve avere come base di computo il trattamento retributivo in godimento a tale data e non quello finale percepito al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Ha quindi formulato il coerente quesito di diritto: “dica la Corte se l’indennità di buonuscita spettante ai dipendenti postali cessati dal servizio successivamente alla data di trasformazione dell’Ente Poste in Poste Italiane s.p.a. (28.2.1998) deve essere calcolata, ai sensi della L. n. 449 del 1997, art. 53, comma 6, e del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 3, inserendo nella base di calcolo di cui al D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38, l’ultimo stipendio goduto dal lavoratore alla predetta data di trasformazione, senza prendere in considerazione eventuali miglioramenti o incrementi stipendiali successivi a tale data.”.

Il motivo è manifestamente fondato alla stregua della recente sentenza di questa Corte n. 28281/2008, nella quale, sulla scorta anche dei principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 366/2006, il cui contenuto è stato confermato dalla successiva ordinanza n. 444/2007, è stato esaminato ogni aspetto della questione, pervenendosi alla conclusione che la data alla quale occorre fare riferimento per il calcolo della buonuscita è quella del 28.2.1998, momento a partire dal quale il dipendente postale matura non più detta indennità ma il tfr. In particolare, è stato ritenuto del tutto improponibile il confronto con la normativa che ha disciplinato il passaggio dei dipendenti del disciolto ONMI agli enti locali, trattandosi di situazioni non comparabili. Infatti, mentre a questi ultimi va liquidato un complessivo trattamento di fine servizio di carattere previdenziale, in relazione all’intera durata dell’unico rapporto e in base all’ultima retribuzione percepita presso l’ente di destinazione, con applicazione dei distinti elementi di calcolo previsti, riguardo ai due periodi di lavoro presso l’ONMI e presso gli enti locali, dai rispettivi ordinamenti, per i quali rileva sempre l’ultima retribuzione (Cass., sez. un., n. 11647/1993 e n. 8682/1995), ai dipendenti postali spetta il tfr, avente natura retributiva, di cui l’importo della buonuscita costituisce soltanto una componente. L’irrilevanza degli incrementi retributivi successivi al 28.2.1998 deriva anche dal fatto che da tale data non sono più dovuti contributi dal datore di lavoro (art. 53, comma 6, cit.), mentre quelli a carico dei lavoratori, dovuti fino al 31.12.2002 (L. n. 388 del 2000, art. 68, comma 4), non sono più correlati all’ammontare della indennità (Corte Cost. n. 259/2002). Per quanto riguarda la perdita del potere di acquisto, la Corte costituzionale ha rilevato, a chiusura della sentenza n. 366, che la violazione dell’art. 36 Cost., non deriva automaticamente dalla mancata previsione di un meccanismo di adeguamento di una componente del trattamento retributivo complessivo, allorchè la svalutazione monetaria abbia avuto un andamento normale, come negli anni successivi alla trasformazione dell’Ente Poste in s.p.a..

Il secondo motivo, con il quale l’IPOST lamenta la condanna al pagamento di rivalutazione monetaria ed interessi, che assume pronunciata in violazione del termine dilatorio di cui al D.L. 28 marzo 1997, n. 79, art. 3, convertito in L. 28 maggio 1997, n. 140, è inammissibile. Infatti la Corte d’appello ha osservato che su tale questione l’IPOST non ha proposto impugnazione. Questa motivazione non viene censurata con l’odierno ricorso.

Con il ricorso incidentale condizionato vengono riproposte domande subordinate, assorbite dall’accoglimento della domanda principale.

Con l’unico motivo il lavoratore sostiene che, qualora non sia possibile il calcolo della buonuscita maturata alla data del 28.2.1998 con il computo del trattamento retributivo in atto al momento del (successivo) pensionamento, debbano essere riconosciuti interessi e rivalutazione monetaria dal 28.2.1998 alla data della effettiva erogazione del trattamento o, in alternativa, la rivalutazione dell’importo secondo le disposizioni della L. n. 297 del 1982, art. 1 (così il quesito di diritto).

Il motivo è manifestamente infondato. Infatti, la prima soluzione presupporrebbe un ritardo nel pagamento del tfr; ipotesi da escludere, in quanto il tfr, con la componente della buonuscita, diviene esigibile solo al momento del collocamento a riposo. Quanto alla seconda soluzione, la risposta negativa viene dalla impossibilità di applicare analogicamente la disposizione della L. n. 297 del 1982, art. 1, ad una norma – l’art. 53, comma 6, citato – che non presenta lacune di alcun genere. Ma, a ben vedere, sono la citata sentenza costituzionale n. 366 del 2006 e la conforme ordinanza n. 444 del 2007, la quale ultima riguarda proprio l”art. 2120 c.c, come modificato dalla L. n. 297 del 1982, ad escludere che possa farsi applicazione d’uno dei meccanismi di rivalutazione prospettati nell’odierno ricorso incidentale, in quanto la Corte costituzionale ha giudicato la suddetta norma, di cui non ha ipotizzato interpretazioni alternative, non in contrasto con i parametri costituzionali degli artt. 3, 36 e 38 Cost., sebbene non preveda alcuna forma di indicizzazione o di adeguamento monetario nel tempo dell’importo in questione, calcolato alla data del 28.2.1998 in base alla retribuzione in atto a quel momento.

Su tutte le questioni innanzi dibattute è intervenuta nuovamente questa sezione Lavoro con sentenza n. 17987/2009, che ha confermato l’orientamento già espresso con la citata sentenza n. 28281/2008.

In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale e dichiarato inammissibile il secondo, mentre va rigettato il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va quindi cassata; e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda di ricalcolo dell’indennità di buonuscita.

L’onere delle spese dei giudizi di merito e di cassazione segue la soccombenza.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara inammissibile il secondo. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di ricalcolo dell’indennità di buonuscita.

Condanna F.F.P. al pagamento delle spese dei giudizi di merito e di cassazione, liquidate, per il primo, in complessivi Euro 633,00 di cui Euro 208,00 per diritti e Euro 420,00 per onorario, per il secondo in complessivi Euro 648,00 di cui Euro 208,00 per diritti e Euro 635,00 per onorario, e per il giudizio di legittimità in Euro 10,00 per esborsi e in Euro 415,00 per onorario;

oltre a spese generali, IVA e CPA per ciascuno dei tre giudizi.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

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