Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7577 del 27/03/2020

Cassazione civile sez. III, 27/03/2020, (ud. 06/12/2019, dep. 27/03/2020), n.7577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 216-2018 proposto da:

SER FID ITALIANA FIDUCIARIA E DI REVISIONE SPA in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA 4

NOVEMBRE 96, presso lo studio dell’avvocato CARLO EMILIO ESINI, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO DA VILLA,

PAOLO ESINI;

– ricorrente –

contro

LOMBARD INTERNATIONAL ASSURANCE SA in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

VASCIMINNI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARINA SANTARELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1758/2017 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 13/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società ricorrente è subentrata in due polizze, una sulla vita ed altra assicurativa, che l’originario contraente aveva stipulato con Lombard International Assurance srl.

Per entrambe le polizze la Lombard ha corrisposto, alla richiesta di riscatto, una somma nettamente inferiore a quella versata nel tempo dall’assicurato. Ciò ha indotto la Ser-Find, oggi ricorrente, ad agire in giudizio per ottenere declaratoria di nullità del contratto, per violazione delle leggi speciali in tema di investimenti finanziari, e soprattutto, sul presupposto che si trattasse di polizze non linked ossia in cui l’investimento non era ancorato a parametri predeterminati o comunque noti, ma all’arbitrio o alla discrezionalità del gestore del fondo.

Il Tribunale ha rigettato la domanda di nullità qualificando le polizze come rientranti in tipi contrattuali ammessi, sia dall’ordinamento comunitario che da quell’interno, ed inoltre riconoscendo la natura di polizze linked, ossia ancorate a valori di riferimento oggettivi, di entrambi gli atti. Il Tribunale ha infine ritenuto rispettati gli obblighi di informazione da parte dell’investitore.

La Corte d’appello ha emesso ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. e art. 348 ter c.p.c., decidendo in limine quanto all’infondatezza del ricorso.

Ora la società Sr-Find ricorre per Cassazione con cinque motivi, ad impugnazione sia dell’ordinanza di inammissibilità della corte di appello, che, nel merito, della sentenza del Tribunale.

La Lombard si è costituita chiedendo, con controricorso, il rigetto del gravame e deposita memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Si impugnano dunque due provvedimenti.

Innanzitutto, viene impugnata l’ordinanza con cui la corte di appello dichiara manifestamente inammissibile l’impugnazione, ritenendo improbabile il suo accoglimento. Per altro verso, viene impugnata nel merito questa stessa ordinanza, ritenendo che essa valga anche come sentenza; ed infine viene impugnata la sentenza di primo grado proprio quanto alle statuizioni di merito in essa contenute.

La ratio di quest’ultima è che le polizze di cui è causa sono valide, in quanto ammesse sia dall’ordinamento comunitario che nazionale, che riconoscono la possibilità che investimenti finanziari azzerino persino il capitale, ma sono altresì valide in quanto si tratta di polizze linked ossia basate su valori di riferimento, e non rimesse alla discrezionalità del gestore.

2.- La società ricorrente propone cinque motivi di ricorso.

I primi due possono esaminarsi congiuntamente. Attengono infatti alla ordinanza ex art. 348 ter c.p.c..

La ricorrente lamenta, con entrambi motivi, violazione degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c..

Essa parte dalla tesi, in astratto fondata, secondo cui la corte di appello può dichiarare inammissibile, in limine, l’impugnazione solo per ragioni di merito, ossia solo dopo aver ritenuto infondato l’appello; se invece ravvisa inammissibilità per ragioni di rito deve affrontarle e pronunciare sentenza. Con la conseguenza che ove abbia deciso con ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. non per ragioni di merito (ossia avendo ritenuto nel merito infondata l’impugnazione), ma per ragioni processuali (per esempio per difetto di specificità dei motivi di appello), quella decisione vale come sentenza ed è ricorribile per Cassazione (Cass. 7273/2014; Cass. sez. U. 1914/2016).

Secondo la ricorrente, la corte di appello avrebbe pronunciato inammissibilità per ragioni di rito, ossia per difetto di specificità dei motivi, caso nel quale invece avrebbe dovuto fare una sentenza, con la conseguenza, come detto prima, che quella ordinanza, sebbene emessa ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., vale in realtà come sentenza e consente pertanto di far valere nei suoi confronti tutti i motivi che potrebbero farsi valere verso una sentenza di merito.

Ma si tratta di censure infondate.

Invero, dal tenore dell’ordinanza si deduce che la corte di appello ha vagliato nel merito il fondamento della impugnazione, ritenendo che non avesse argomenti sufficienti per contestare la tesi del tribunale secondo cui le polizze erano del tipo linked, e ciò sulla base dell’ancoraggio di tali polizze ad un valore oggettivo di riferimento.

Vero è che all’inizio della motivazione la corte afferma che l’appellante non contrappone a tali argomenti del giudice di primo grado argomentazioni specifiche, limitandosi a riproporre le medesime questioni fatte in prima istanza, ma è evidente che il riferimento alla specificità dei motivi ha il significato di un giudizio di inammissibilità quanto di infondatezza, ossia di insufficienza degli argomenti addotti a contrastare la decisione impugnata.

In sostanza, la ratio dell’ordinanza impugnata è nel senso di ritenere infondato nel merito l’appello, non già di ritenerlo inammissibile per difetto di specificità dei motivi.

3.- Il terzo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, nonchè di vari regolamenti e circolari Isvap, mentre il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 1418 c.c..

Si tratta di due censure che attengono alla stessa questione e pertanto possono trattarsi insieme.

In sostanza, la ricorrente si duole della qualificazione fatta dal Tribunale, e di conseguenza dalla Corte di appello, della volontà delle parti, e dunque dell’accordo che queste ultime hanno concluso.

Ritiene che erroneamente i giudici di merito hanno inteso le polizze come linked, ossia come polizze in cui il portafoglio affidato al gestore ha un riferimento certo in un valore conoscibile ex ante e comunque oggettivamente tale. In realtà quelle polizze non sarebbero linked, ma piuttosto legate a valori discrezionalmente stabiliti dal gestore e non conoscibili ex ante dall’investitore. Più precisamente, con il terzo motivo la ricorrente si duole di una erronea qualificazione del contratto, ossia del fatto che la corte di merito ha ritenuto che la concreta operazione era riferibile ad un certo tipo contrattuale (polizze linked) anzichè ad altro; con il quarto motivo, per conseguenza, si duole del mancato rilievo della nullità della polizza, che, se fosse stata ritenuta la sua natura “non linked” avrebbe dovuto seguire sulla base delle norme di legge e dei regolamenti Ispav.

E’ tuttavia da osservare che la qualificazione di un contratto (nonchè l’interpretazione della volontà delle parti) come rientrante in una fattispecie oppure no, è operazione rimessa al giudice di merito, la quale è demandato di stabilire se la polizza, al di là del nomen iuris dato dalle parti, sia da considerarsi come polizza assicurativa sulla vita oppure come strumento finanziario con rischio esclusivo a carico dell’assicurato; o in alternativa come un contratto che presenti gli elementi dell’uno o dell’altro tipo.

Questa attività interpretativa è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, e se adeguatamente motivata, non è censurabile in Cassazione (in termini analoghi e per un analogo contratto v. Cass. 6319/2019).

4.- Invero con il quinto motivo la ricorrente denuncia proprio un difetto di motivazione, o meglio, una motivazione contraddittoria sul punto, oltre che violazione delle regole sull’onere della prova, e nuovamente violazione del D.Lgs. n. 209 del 2005.

Sotto l’apparenza di questi motivi di ricorso, invero, la ricorrente si duole dell’esame delle risultanze documentali da parte del Tribunale (la cui sentenza è qui, si ripete, il titolo impugnabile nel merito), nel senso che quest’ultimo avrebbe attribuito alle clausole contrattuali la natura di stipulazione a favore del diritto di informazione dell’investitore, mentre quella natura esse non avevano.

In altri termini, il Tribunale ha valorizzato, per ritenere rispettato l’obbligo informativo, alcuni elementi di fatto (l’invio ai clienti di un resoconto, l’accesso alla piattaforma online, ecc.) che sono, per l’appunto, elementi di fatto la cui rilevanza indiziaria è rimessa al giudice di merito e la cui valutazione non è affatto immotivata nella decisione impugnata, ne è censurabile sotto altri aspetti.

Il ricorso va pertanto rigettato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 7200,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2020

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