Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7575 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 08/03/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 08/03/2022), n.7575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7853/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

SUPERAUTO S.R.L.;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo-sezione staccata di Pescara, n. 337/09/2013, depositata

il 4 settembre 2013.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Superauto s.r.l., commerciante di autoveicoli, impugnò l’avviso, relativo all’Ires ed all’Irap di cui all’anno d’imposta 2005, con il quale l’Agenzia delle Entrate, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, aveva accertato (per quanto qui ancora d’interesse), all’esito di processo verbale di constatazione, che: la società era costituita dai due soci D.L.A. e D.L.S., che avevano fondato nel 2005 anche la s.r.l. Immobiliare D & D, esercente locazione di immobili;

essa aveva incorporato, il (OMISSIS), la s.r.l. Sofin, locatrice di immobili ed appartenente ad D.L.A. per l’85%, nonché a D.L.C. e D.L.V. per il 7,5% ciascuno;

la Sofin s.r.l. era proprietaria di un complesso immobiliare del valore di tre milioni di Euro che, a tale prezzo, il (OMISSIS) l’incorporante Superauto s.r.l., aveva venduto alla s.p.a. Monte dei Paschi di Siena Leasing e Factoring con contratto in cui la D & D Immobiliare s.r.l. compariva in qualità di parte utilizzatrice in leasing, al termine del quale avrebbe potuto riscattare l’immobile per Euro 750.000,00;

la Superauto s.r.l. aveva dichiarato la plusvalenza realizzata, deducendo anche perdite di anni precedenti per Euro 653.540,00, derivanti da operazioni di fusione;

la fusione della contribuente con Sofin s.r.l. era elusiva, essendo del tutto diverse le attività svolte dalle due società e quindi non essendo prospettabili sinergie produttive vantaggiose; per contro, la fusione permetteva alla Superauto di utilizzare, ai fini fiscali, le corpose perdite accumulate nel corso degli esercizi precedenti, nonché di quello in corso, che altrimenti si sarebbero estinte per il decorso dei termini utili alla loro deducibilità entro i cinque anni successivi;

pertanto era indeducibile la perdita pregressa di Euro 653.540,00. L’adita Commissione tributaria provinciale di Pescara rigettò il ricorso.

Avverso tale decisione la contribuente ha proposto appello di fronte alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara che, con la sentenza n. 337/09/2013, depositata il 4 settembre 2013, lo ha accolto per quanto riguarda il capo di sentenza relativo al rilievo de quo.

L’Amministrazione ha quindi proposto ricorso, affidato ad un motivo, per la cassazione della sentenza della CTR.

La contribuente è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Ufficio denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, vigente ratione temporis.

Rileva l’Agenzia ricorrente che, a detta della contribuente, la fusione era sorretta da valide ragioni economiche, diverse dal mero risparmio fiscale, con conseguente insussistenza del disegno elusivo.

La s.r.l. aveva infatti premesso di avere a lungo risentito della concorrenza del precedente concessionario (OMISSIS) della stessa zona, che invero avrebbe dovuto restituire il mandato, ma per contrasti con la casa madre non l’aveva fatto per circa un decennio.

Pertanto la contribuente aveva subito ingenti perdite, che aveva dovuto ripianare con l’acquisizione e la vendita dell’immobile dell’incorporata, avendo così perseguito, con l’operazione in questione ed il conseguente incasso di tre milioni di Euro, tale prevalente finalità economica, pur ottenendo anche, ma non soltanto, il beneficio fiscale contestato.

Secondo la contribuente, quindi, la finalità economica perseguita con l’operazione era rappresentata dall’incasso dei tre milioni di Euro, corrispettivo dell’alienazione dell’immobile, necessari per il riassetto finanziario e la conseguente riduzione dei costi per indebitamento, nonché per il mantenimento dei parametri di bilancio necessari per conservare il mandato (OMISSIS). Inoltre doveva tenersi conto anche dei costi per i canoni di leasing dell’immobile che si era addossata la D & D s.r.l., divenuta utilizzatrice dell’immobile concesso in leasing dalla Monte dei Paschi di Siena Leasing e Factoring s.p.a., che aveva posto tale condizione per accettare di acquistare l’immobile dalla Superauto s.r.l.

Secondo la ricorrente Amministrazione, invece, l’impatto economico risultante dalla ristrutturazione aziendale sarebbe praticamente nullo, né sarebbe dimostrato che dalla stessa fusione sia derivato un miglioramento organizzativo, se non la compensazione tra la plusvalenza acquisita dall’incorporante e le perdite dalla stessa già accumulate.

Rileva la ricorrente che “tutte le società coinvolte nell’operazione appartenevano agli stessi soci; sembra quindi che, ove questi avessero inteso rifinanziare la società Supercar, avrebbero avuto a loro disposizione numerosi strumenti, primo fra tutti quello di vendere la Sofin e con i proventi rifinanziare l’odierna accertata. Solo l’incorporazione della Sofin, invece, poteva realizzare la specifica finalità di valorizzare le plusvalenze in compensazione delle perdite dell’incorporante che rischiavano di estinguersi per superamento dei termini entro i quali esse erano deducibili. Tale finalità, però, ha natura unicamente finanziaria e si realizza mediante un vantaggio strettamente tributario non altrimenti ottenibile.”.

Avrebbe pertanto errato la CTR secondo la quale l’operazione in questione, nel suo complesso, aveva una propria funzione economico-finanziaria concreta, che corrispondeva all’esigenza di rifinanziare la società incorporante, essendo “pacifico e provato” che la Superauto s.r.l. si trovava in gravi difficoltà economiche ed era stata perciò minacciata dalla casa madre (OMISSIS) di interruzione del rapporto di concessione (come risultava documentato in atti). Pertanto, secondo la CTR, la fusione, e comunque la complessiva operazione accertata, era assistita da “valide ragioni economiche” ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 1, vigente ratione temporis, che non necessariamente dovevano consistere in esigenze di sinergia commerciale operativa tra le due società.

La presenza di valide ed autonome ragioni economiche dell’operazione, secondo la CTR, rendeva irrilevante, ai fini dell’accertamento dell’elusione contestata, l’ottenimento del risparmio fiscale, di per sé lecito, rappresentato sostanzialmente dalla compensazione tra le perdite dell’incorporante e la vendita dell’immobile già di proprietà dell’incorporata.

Ne’, secondo la CTR, per la stessa ragione, poteva escludersi che la scelta della fusione potesse essere stata orientata anche da compresenti, ma non esclusive e determinanti, considerazioni delle ricadute fiscali favorevoli.

2. Nel caso di specie si discute del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, vigente ratione temporis, il cui comma 1, dispone che ” Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.”; mentre il comma 3, per quanto qui interessa, stabilisce che “Le disposizioni dei commi 1 e 2, si applicano a condizione che, nell’ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o più delle seguenti operazioni: a) (…) fusioni (…)”.

3. In materia questa Corte (Cass. 16/03/2016, n. 5155, in motivazione) ha già avuto modo di precisare che integra gli estremi del comportamento abusivo quell’operazione economica che – tenuto conto sia della volontà delle parti implicate, sia del contesto fattuale e giuridico – ponga quale elemento predominante e assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale se quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta (Cass. 10/12/2014, n. 25972, in motivazione, punto.9.1).

La prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato (Cass. 21/01/2009, n. 1465) e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate.

Inoltre non è configurabile l’abuso del diritto se non sia stato provato dall’ufficio il vantaggio fiscale che sarebbe derivato al contribuente accertato dalla manipolazione degli schemi contrattuali classici (Cass. 22/09/2010, n. 20029).

Pertanto, “il carattere abusivo, sotto il profilo fiscale, di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale (Cass., sez. un., n. 30055 del 08 e Cass. n. 30057 del 2008; v. C. giust. UE nei casi 3M Italia, Halifax, Part. Service), presuppone quanto meno l’esistenza di un adeguato strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dai contraenti, sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (Cass. n. 21390 del 2012, p.3.2) e si deve indagare se vi sia reale fungibilità con le soluzioni eventualmente prospettate dal fisco (Cass. n. 4604 del 2014).” (Cass. n. 5155 del 2016, cit., in motivazione).

4. La stessa Commissione Europea, nell’ottica di perseguire la pianificazione fiscale aggressiva, ha diramato agli Stati membri la raccomandazione 2012/772/UE di intervenire quando sia realizzata “una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale”, chiarendo che “una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale”, ovvero di “sostanza economica”, e “consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali”, mentre “una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso” (cfr. Cass. n. 5155 del 2016, cit.; Cass. 14/01/2015, n. 438 e Cass. n. 439 del 2015, tutte in motivazione).

Il legislatore nazionale, con la L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 5), ha raccolto la citata raccomandazione dell’UE, delegando al Governo l’attuazione “della revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione Europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012 (…):

a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, ancorché’ tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione;

b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale e, a tal fine:

1) considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva;

2) escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali; stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente;

c) prevedere l’inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lettera a) all’amministrazione finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio di imposta;

d) disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché’ la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti;

e) prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso;

f) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario.”.

I principi appena esposti sono stati quindi attuati con la L. 27 dicembre 2000, n. 212, art. 10-bis (c.d. Statuto del contribuente), introdotto dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 1, modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, che, nei primi quattro commi, così dispone:

“1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

2. Ai fini del comma 1 si considerano:

a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato;

b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.

4. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale. “.

Lo stesso D.Lgs. n. 128 del 2015, all’art. 1, comma 2, ha abrogato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, prevedendo che le disposizioni che lo richiamano si intendono riferite alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10-bis, in quanto compatibili.

Le predette disposizioni della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, sebbene non applicabili, ratione temporis, al caso di specie, in ragione della pregressa notifica dell’atto impositivo de quo (D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 5), sono tuttavia significative dell’affinamento dei principi comunitari e nazionali in materia e “rilevano in chiave interpretativa nel definire una linea evolutiva già indiscutibilmente tracciata nell’ordinamento tributario dalla giurisprudenza e dalle fonti nazionali e comunitarie (per un recente disamina v. Cass. pen. 40272 del 15).” (Cass., n. 5155 del 2016, cit., in motivazione).

5. In tale contesto evolutivo, si colloca la giurisprudenza, in materia, di questa Corte, che ha già avuto occasione di chiarire che, in materia tributaria, la scelta di un’operazione fiscalmente più vantaggiosa non è sufficiente ad integrare una condotta elusiva, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà, a condizione che non si traduca in uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio, ma esclusivamente o essenzialmente il beneficio fiscale (Cass. 26/08/2015, n. 17175).

Nello stesso senso, si è altresì ritenuto (Cass. 14/01/2015, n. 405) che in materia tributaria, l’opzione del soggetto passivo per l’operazione negoziale fiscalmente meno gravosa non è sufficiente ad integrare una condotta elusiva, essendo necessario che il conseguimento di un “indebito” vantaggio fiscale, contrario allo scopo delle norme tributarie, costituisca la causa concreta della fattispecie negoziale.

E’ stato quindi escluso che la mera astratta configurabilità di un vantaggio fiscale sia sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poiché è richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio di imposta e l’accertamento della effettiva volontà dei contraenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale (Cass. 05/12/2014, n. 25758).

E’ stato quindi ritenuto necessario, per l’inopponibilità al fisco dell’operazione, che essa abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, ossia che non abbia una giustificazione economica apprezzabile differente dall’intento di conseguire un risparmio di imposta (Cass. 16/01/2019, n. 869).

Inoltre, è stato ritenuto che costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe, sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale (Cass. 26/02/2014, n. 4603. Nello stesso senso Cass. 16/01/2019, nn. 868 ed 869).

Con riferimento alla contemporanea sussistenza di finalità di riorganizzazione societaria, è stato altresì chiarito che il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione medesima, ma possono rispondere ad esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda (Cass. 21/01/2011, n. 1372).

Inoltre, successivamente, il quadro dell’abuso di diritto e dell’elusione fiscale è stato sinteticamente composto con l’affermazione che: “In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente.” (Cass. 23/11/2018, n. 30404; conforme Cass. 08/03/2019, n. 6836).

6. Tanto premesso, incombeva quindi sull’amministrazione finanziaria l’onere di spiegare, anche nell’atto impositivo, e dimostrare che il complesso delle forme giuridiche impiegate avesse carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa, in considerazione delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire ad un determinato risultato fiscale; mentre era onere del contribuente provare la compresenza di un concomitante contenuto economico dell’operazione, non marginale, diverso dal mero risparmio fiscale, che giustificasse le operazioni in tal modo strutturate (cfr. Cass. 22/06/2021, n. 17743).

Come questa Corte ha già rilevato, l’applicazione di tale principio deve essere guidata da una particolare cautela, ” essendo necessario trovare una giusta linea di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa”, anche in considerazione ” dei principi di libertà d’impresa e di iniziativa economica (art. 42 Cost.)” e del “principio di proporzionalità (sentenza della Corte di Giustizia 17 luglio 1997 in causa C-28/95, A. Leur Bloem)”, non potendo il sindacato dell’Amministrazione spingersi sino ad imporre una misura di ristrutturazione diversa tra quelle giuridicamente possibili, solo perché tale misura avrebbe comportato un maggior carico fiscale (Cass. 21/01/2011, n. 1372).

Si conferma quindi essenziale, per configurare la condotta abusiva, ” un’attenta valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa. In tal senso, la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato.” (Cass. 06/10/2021, n. 27158).

7. Nel caso di specie, le esigenze economiche concrete che potessero giustificare l’acquisizione dell’immobile in questione nel patrimonio della contribuente e la sua successiva rivendita alla Banca sono state accertate, e stimate, dal giudice del merito, con valutazione in punto di fatto non censurata e non censurabile in questa sede, e sono rappresentate non astrattamente dalle gravi difficoltà economiche nelle quali versava l’incorporante, ma dalla concreta incidenza che tale condizione stava esercitando sull’attività imprenditoriale della stessa società, essendo documentato che la casa-madre aveva minacciato la conclusione del rapporto commerciale.

L’affermazione della ricorrente, secondo la quale le ragioni economiche in questione non avrebbero fatto capo all’incorporante, ma ai soci di quest’ultima, non può quindi essere condivisa, se intesa quale argomento che dovrebbe escludere a priori la rilevanza “soggettiva” delle predette condizioni economiche.

Generica, poi, se non apodittica, appare la critica della ricorrente alla ratio decidendi espressa dalla CTR, secondo cui non era indispensabile che la concreta ragione extrafiscale dell’operazione fosse correlata ad esigenze di natura organizzativa e di miglior sinergia tra le due società, che anche la giurisprudenza di questa Corte considera infatti come possibili alternative ad una eventuale redditività immediata dell’operazione medesima (Cass. 21/01/2011, n. 1372; Cass. 05/12/2019, n. 31772; Cass. 16/09/2021, n. 25131; Cass. 24/06/2021, n. 18239).

Se quindi sussistevano ragioni economiche concrete che potevano giustificare l’operazione controversa, e se quest’ultima (come non è contestato) le ha soddisfatte, l’attribuzione della natura elusiva alla condotta della contribuente viene a concentrarsi, nella tesi dell’Amministrazione, sulla circostanza che lo stesso risultato avrebbero potuto essere conseguito con altri mezzi, che sarebbero stati fiscalmente meno convenienti (sulla necessità che l’Amministrazione, al fine di assolvere all’onere di allegare perché il complesso dell’operazione economica si manifesti anomalo o irragionevole, illustri la prospettata modalità, alternativa e praticabile, di realizzazione della medesima, cfr. Cass. 05/12/2019, n. 31772, in motivazione, al punto 9.2, e giurisprudenza ivi citata).

Ed invero è proprio questo il fulcro del motivo in decisione, rispetto al quale però la ricorrente è generica, limitandosi a dedurre che i soci avrebbero potuto ottenere lo stesso risultato, ovvero il sostanziale rifinanziamento, con ” numerosi strumenti, primo fra tutti quello di vendere la Sofin e con i proventi rifinanziare l’odierna accertata.”.

Non approfondendo e non sviluppando, nel mezzo d’impugnazione, l’allegazione di nessuna di tali alternative e delle sue conseguenze, la ricorrente finisce allora per imputare all’operazione prescelta dall’imprenditore la finalità elusiva solo in ragione del miglior trattamento fiscale che ne deriva, pur in presenza di concomitanti esigenze economiche che il giudice di merito ha ritenuto non pretestuose e di condotte fiscali che la stessa Amministrazione, al netto della pretesa elusione, non qualifica di per sé sole come illecite. Tanto è in contrasto con i principi ed i criteri, anche giurisprudenziali, già richiamati.

8. Il ricorso va quindi respinto. Nulla va deciso sulle spese, essendo rimasta intimata la contribuente.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

 

 

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