Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7574 del 27/03/2020

Cassazione civile sez. III, 27/03/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 27/03/2020), n.7574

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13053-2018 proposto da:

FAMIGLIA C. DI C.M. E MA. SNC, in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO

CORRIDONI 10 (TEL 06.87780895 FAX 1782730020), presso lo studio

dell’avvocato GIANDOMENICO DE FRANCESCO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANDREA RADICE;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE G. SRL, in persona del legale rappresentante in

carica, domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MATTEO

SARTORI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 233/2017 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 25/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/12/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

Fatto

RILEVATO

che:

A seguito di ricorso monitorio proposto da Immobiliare G. S.r.l. il Tribunale di Trento emetteva il decreto ingiuntivo n. 596/2015, che ordinava a Famiglia C. di C.M. e Ma. s.n.c. di pagare alla ricorrente la somma di Euro 25.955,10 per canoni d’affitto d’azienda alberghiera, in forza di contratto d’affitto eseguito dal (OMISSIS) al (OMISSIS).

Famiglia C. si opponeva, adducendo inadeguatezza della struttura e perciò eccependo, ai sensi dell’art. 1460 c.c., l’inadempimento di controparte; inoltre opponeva in compensazione i costi di riparazioni da essa effettuate.

L’opposta si costituiva, insistendo nella sua pretesa.

Il Tribunale, con sentenza del 5 aprile 2017, accoglieva l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e dichiarando che nulla doveva l’opponente a controparte.

Immobiliare G. proponeva appello, cui Famiglia C. resisteva. La Corte d’appello di Trento, con sentenza del 25 ottobre 2017, accoglieva il gravame, confermando il decreto ingiuntivo e condannando l’appellata alle spese di entrambi i gradi.

Famiglia C. ha proposto ricorso, da cui si è difesa con controricorso Immobiliare G.. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione/falsa applicazione dell’art. 1621 c.c..

Lamenta che la Corte d’appello avrebbe ritenuto incensurabile “il comportamento dell’affittante” in forza degli artt. 4, 5 e 17 del contratto di affitto dell’azienda alberghiera che era stato stipulato. Dall’art. 4 la corte territoriale avrebbe tratto alcune “usuali frasi” proprie dei contratti di locazione e di affitto come “l’essere noto e accettato” lo stato dei beni e l’avere l’affittuario trovato in buono stato e senza difetti l’azienda; avrebbe poi riportato quasi interamente l’art. 5 in ordine alla ripartizione delle spese di manutenzione, omettendo però di trascrivere il contenuto dell’art. 17, u.c., che avrebbe comunque reputato “in contrasto e soccombente rispetto all’art. 5”.

L’art. 17, all’u.c., così recita: “… Ai sensi dell’art. 1621 c.c. le spese di manutenzione e riparazione ordinaria e straordinaria sono a carico dell’affittante, mentre le spese di piccola manutenzione ordinaria sono a carico della parte affittuaria”. Correttamente il giudice d’appello avrebbe rilevato che in luogo di “ai sensi” avrebbe dovuto apporsi “in deroga”; ma avrebbe peraltro errato nell’affermare che la clausola “non è propriamente conforme” all’art. 1621 c.c., ritenendo quindi l’art. 1621 inderogabile, laddove invece sarebbe derogabile. Conseguentemente la corte territoriale avrebbe errato nell’interpretare l’art. 17 del contratto come contrastante con l’art. 1621 c.c., “con conseguenze vitali” sulla decisione, avendo qualificato le carenze, i vizi e il malfunzionamento dei beni aziendali oggetto di ordinaria manutenzione, e dunque a carico dell’affittuario come dispone l’art. 1621 c.c., dovendosene escludere la deroga.

2. Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione/falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366,1367,1369,1370,1371 e 812 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., imputando alla corte territoriale di avere violato le norme interpretative dei contratti facendo prevalere l’art. 5 del contratto d’affitto d’azienda sull’art. 17 dello stesso contratto, e non tenendo conto che l’art. 4 del contratto è soltanto una clausola di stile.

3. Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, gli artt. 1617,2555 e 2561 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c.; denuncia altresì omesso esame della situazione dell’impianto termico dalla documentazione e dalle risultanze istruttorie, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. Il quarto motivo si presenta scisso in due submotivi.

Quale doglianza 4a), formulata in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si denuncia omesso esame di fatto decisivo: “situazione parapetti non osservanti le altezze minime di legge e poggioli in stato di degrado”.

Ciò sarebbe stato “confessato” dalla controparte subito dopo il rilascio, comunicando al Comune di Pinzolo, dove si trova la struttura alberghiera, un intervento di manutenzione straordinaria “perchè il parapetto esistente basso (sic) e non è a norma delle leggi attualmente in vigore e perchè ci sono delle parti totalmente marce”. Si tratterebbe di una confessione stragiudiziale resa a terzi. E ciò sarebbe stato già contestato (si richiama il “doc. 17 ricorso”); inoltre molte testimonianze avrebbero dichiarato che la situazione era ammalorata (si cita peraltro una frase di un solo teste, senza indicare quando fu sentito).

Nonostante ciò l’art. 4 del contratto stabiliva che “l’immobile è in regola con le norme edilizie urbanistiche”: la corte territoriale avrebbe dovuto quindi rilevare che così l’affittante era inadempiente e l’art. 4 mendace.

Come censura 4b) si adduce che, per le stesse ragioni del submotivo precedente, la corte territoriale, laddove aveva tenuto conto delle altezze di parapetti e della manutenzione di questi, avrebbe dovuto considerare la suddetta dichiarazione di Immobiliare G. al Comune di Pinzolo.

5. Il quinto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., nonchè omesso esame sui documenti e sui dati istruttori per soddisfare il criterio di proporzionalità per la eccezione di inadempimento.

6. Il sesto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 92 c.p.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo per l'”allocazione delle spese di lite”.

La Corte d’appello avrebbe “dimenticato” che in primo grado fu dichiarata inammissibile la domanda riconvenzionale di Immobiliare G. relativa al risarcimento di danni, per cui si sarebbe creata una soccombenza reciproca ai fini delle spese di lite.

7. I primi due motivi, attinenti all’interpretazione di alcune clausole del contratto in relazione alla portata dell’art. 1621 c.c., meritano ictu oculi un vaglio congiunto.

7.1 La questione ermeneutica si incentra proprio sull’art. 1621 c.c., che recita:

“Il locatore è tenuto ad eseguire a sue spese, durante l’affitto, le riparazioni straordinarie. Le altre sono a carico dell’affittuario”.

In ordine alla domanda, proposta dall’attuale ricorrente, di risarcimento per le spese sostenute per l'”azienda” – rectius, in sostanza, per l’immobile – (si vedano al riguardo nella motivazione della sentenza impugnata le pagine 8 e 10), la corte territoriale (a pagina 10) afferma che il giudice di prime cure non ha effettuato “l’imprescindibile riferimento al contenuto del contratto”, contratto da cui poi evoca l’art. 4 (sull’idoneo stato dell’immobile quando fu stipulato il contratto), art. 5 (in forza del quale gravano sull’affittuario “tutte le spese di piccola ed ordinaria manutenzione”) e art. 17.

Sull’art. 17 del contratto – che, all’u.c., come già sopra si è visto, si configura in piena evidenza come una clausola impregnata di favor per l’affittuario, gravandolo unicamente della piccola manutenzione ordinaria dell’immobile – il giudice d’appello così si esprime (nelle pagine 10-11 della sentenza): “E’ vero che l’ultima parte dell’art. 17 nel richiamare l’art. 1621 c.c., al quale espressamente dichiara di volersi adeguare, pone le spese di manutenzione e riparazione ordinaria e straordinaria a carico dell’affittante, gravando solo di quelle di piccola manutenzione ordinaria la parte affittuaria”, ma la clausola “non è propriamente conforme” all’art. 1621 c.c.; e allora, per l’apparente contrasto fra gli artt. 17 e 5 del contratto, “si ritiene che, anche in considerazione della parziale improprietà del riferimento” all’art. 1621 c.c., deve prevalere l’art. 5, “che indica più dettagliatamente, sia pure a titolo esemplificativo, gli interventi di manutenzione e riparazione a carico dell’affittuaria”. Dopodichè la corte territoriale esamina i lavori svolti dall’attuale ricorrente, per giungere ad affermare che la loro esecuzione non sarebbe riconducibile a un inadempimento della controparte Immobiliare G., consistendo in integrazioni di dotazioni alberghiere mancanti che sarebbero state certamente rilevate o comunque rilevabili nel sopralluogo preliminare in forza dell’art. 4 del contratto; gli altri lavori, poi, sarebbero consistiti in riparazioni di manutenzione ordinaria.

7.2 Appare pertanto fondata la censura laddove denuncia che il giudice d’appello, interpretando il contratto, ne porta l’art. 5 a prevalere sull’art. 17 (anche) per un erroneo rapporto con l’art. 1621 c.c. – norma in realtà derogabile -, traendone, a svantaggio dell’attuale ricorrente, che tutte le manutenzioni ordinarie – e quindi non soltanto quelle “piccole” – gravano sull’affittuaria, cui conseguentemente il giudice d’appello non ha riconosciuto alcun credito nei confronti di controparte.

In tema il ricorso invoca la effettivamente pertinente Cass. sez. 5, 30 luglio 2002 n. 11213, massimata ma in riferimento a un ulteriore e diverso contenuto. Nella motivazione questo arresto afferma: “la disposizione contenuta nell’art. 1621 c.c., secondo cui nel contratto di affitto di cosa produttiva le riparazioni straordinarie sono a carico del locatore (come, del resto, la regola analoga stabilita in via più generale dall’art. 1576 c.c., comma 1 in materia di locazione), ha carattere meramente dispositivo, e può essere derogata convenzionalmente: anche se nella struttura normale dei contratti di affitto o di locazione i costi di manutenzione straordinaria sono a carico del locatore, le parti possono… stabilire altrimenti con una espressa previsione in senso contrario”.

7.3 L’art. 1621 c.c., che riguarda appunto il contratto di affitto, non può in effetti non essere interpretato in sintonia con le norme analoghe dettate dal codice per il contratto di locazione ad uso non abitativo, evincibili soprattutto dall’art. 1575 c.c., n. 2 e art. 1576 c.c.. Mentre la natura della causa contrattuale si presenta del tutto affine in queste due species negoziali, diversa può ben definirsi la radice funzionale del contratto di locazione ad uso abitativo (sul quale cfr., tra gli arresti massimati, Cass. sez. 3, 31 gennaio 2006 n. 2142 – per cui nei contratti di locazione di immobili urbani destinati ad uso abitativo, governati dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, “è nullo ai sensi dell’art. 79 della citata legge il patto in deroga all’art. 1576 c.c., con il quale le parti abbiano convenuto che siano a carico del conduttore le spese per la straordinaria manutenzione occorrenti per conservare all’immobile locato l’attitudine all’uso abitativo, poichè esso integra per il locatore un indebito vantaggio in contrasto con la predeterminazione legale dei limiti massimi del canone” -, che ripropone il conforme insegnamento di Cass. sez. 3, 5 agosto 2002 n. 11703, Cass. sez. 3, 9 ottobre 1996 n. 8812 del 09/10/1996 e Cass. sez. 3, 17 ottobre 1992 n. 11401).

7.4 Per la locazione ad uso non abitativo, invece, è ragionevolmente predicabile – a fortiori in un contesto in cui l’incidenza della L. n. 392 del 1978, art. 79 su questa species locatizia è stata ormai ridimensionata a favore della libertà negoziale su un elemento “centrale” come il canone (da ultimo, v. Cass. sez.3, 26 settembre 2019 n. 23986, Cass. sez. 3, 10 novembre 2016 n. 22908 e Cass. sez. 3, 6 ottobre 2016 n. 25014, che hanno, per così dire, recuperato l’impostazione “liberista” di Cass. sez. 3, 3 agosto 1987 n. 6695) – l’assoluta derogabilità dell’art. 1576 c.c. e art. 1575 c.c., n. 2 in riferimento alla ripartizione tra le parti degli oneri manutentivi dell’immobile, rientrando ciò nel potere dispositivo che consente di plasmare il concreto sinallagma negoziale anche nei contratti normativamente tipici mediante specifiche clausole ex art. 1322 c.c., norma generale le cui limitazioni, dirette a tutelare pubblici interessi, assumono una natura di peculiarità/eccezionalità che solo da tali specifici pubblici interessi, in ultima analisi, è legittimata (v. già Cass. sez. 3, 15 marzo 1989 n. 1303: “Con riguardo alle locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo, la pattuizione che, in deroga a quanto disposto dagli artt. 1576 e 1609 c.c., impone al conduttore l’obbligo sia della manutenzione ordinaria che di quella straordinaria relativa agli impianti ed alle attrezzature particolari… restando a carico del locatore soltanto le riparazioni delle strutture murarie, non incorre nella sanzione di nullità stabilita dalla L. n. 392 del 1978, art. 79, comma 1, atteso che la disciplina delle suddette locazioni non contempla anche l’art. 23 di tale legge in tema di riparazioni straordinarie, nè la predeterminazione legale di limiti massimi del canone, suscettibili di superamento in caso di attribuzione convenzionale dell’onere economico delle spese di manutenzione”; e cfr. pure, su un piano generale, Cass. sez. 3, 2 novembre 1992 n. 11856, per cui “le disposizioni dell’art. 1575 c.c., n. 2 e art. 1576 c.c., che pongono a carico del locatore l’obbligo di mantenere la cosa locata in istato da servire all’uso convenuto e di eseguire durante la locazione tutte le riparazioni all’uopo necessarie, tranne quelle di piccola manutenzione, non sono di ordine pubblico e possono essere, quindi, derogate dalle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale”). E in quel che ben può definirsi un contratto commerciale come la locazione immobiliare ad uso non abitativo non è identificabile alcun pubblico interesse che intrida di imperatività il combinato disposto dell’art. 1575 c.c., n. 2 e art. 1576 c.c.; a fortiori, non si ravvede alcun pubblico interesse che osti alla deroga concordata dai contraenti – non potendosi certo non tenere in conto, come “bussola” interpretativa, che è la libera volontà delle parti la basilare sostanza di ogni negozio riconducibile al diritto privato dell’art. 1621 c.c., che è la norma corrispondente nel contratto d’affitto (corrispondenza non certamente inficiata dalla lieve divergenza semantica che alle “manutenzioni” del contratto locatizio sostituisce nel contratto d’affitto le “riparazioni”). Anzi, il timone del sinallagma nel contratto d’affitto è ancor più apertamente affidato alle parti che nel paradigma stricto sensu locatizio, la genericità dell’uso non abitativo venendo espressamente sostituita dal legislatore con la “destinazione economica” della cosa che, nella species rappresentata dal contratto di affitto, costituisce oggetto – produttivo – della “locazione”, come subito enuncia la prima norma dettata a configurarlo, ovvero l’art. 1615 c.c..

7.5 L’art. 1621 c.c., dunque, sorge esclusivamente dalla ratio di colmare eventuali carenze del regolamento negoziale in ordine alle “Riparazioni”, ma non inibisce alle parti di scegliere direttamente, al riguardo, la disciplina, lasciando quindi integra l’autonomia negoziale.

Non può, pertanto, essere intesa come norma imperativa.

Invece, come già constatato, il complessivo ragionamento della corte territoriale lascia intendere che – peraltro, senza offrire argomenti specifici a favore di una simile interpretazione – essa non ritiene legittima una clausola che si “distacchi” dal paradigma dell’art. 1621 c.c.. Così l’erronea interpretazione di quest’ultimo a sua volta inficia, contagiandola della sua erroneità, tutta l’interpretazione delle clausole contrattuali 17 e 5; e al tempo stesso, naturalmente, la corte territoriale incorre in una chiara violazione o comunque falsa applicazione dell’art. 1621 c.c., come prospetta la censura in esame, che, a questo punto, risulta pienamente fondata.

8. Il conseguente accoglimento dei primi due motivi, attinenti all’interpretazione di clausole contrattuali che sono, a ben guardare, al centro del thema decidendum, così da assorbire ogni altra censura (si noti che l’ultimo motivo è evidentemente condizionato all’accoglimento del ricorso), conduce alla cassazione della sentenza con rinvio, anche per le spese processuali, ad altra sezione della Corte d’appello di Trento, che dovrà applicare il principio di diritto per cui l’art. 1621 c.c. non è norma imperativa, bensì è derogabile dalle parti nell’ambito della concreta formazione del regolamento negoziale.

P.Q.M.

Accogliendo il primo e il secondo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese processuali, alla Corte d’appello di Trento.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2020

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