Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7571 del 01/04/2011

Cassazione civile sez. I, 01/04/2011, (ud. 31/01/2011, dep. 01/04/2011), n.7571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina rel. Consiglie – –

Dott. DI VIRGINIO Adolfo – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10582-2010 proposto da:

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA DOTT.SSA C.M.

PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI VENEZIA;

– ricorrente –

contro

M.G. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55, presso l’avvocato DI PIERRO NICOLA, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CASELLATI FRANCESCO,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

SERVIZIO SOCIALE ED EDUCATIVO – DIREZIONE MUNICIPALITA’ DEL LIDO E

PELLESTRINA, M.A., TUTORE DEI MINORI; B.

A., P.C., CURATORE SPECIALE DEI MINORI; C.

M.V., D.B.D., P.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 15/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato DI PIERRO NICOLA che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Apertosi, il 5.03.2007, il procedimento ad istanza del PM minorile, il Tribunale per i minorenni di Venezia, con sentenza del 15- 21.05.2009, anche all’esito della disposta CTU psicologica, dichiarava lo stato di abbandono dei minori I.L. (nata a (OMISSIS)) ed M.E. (nato a (OMISSIS)), figli naturali riconosciuti di M.G. e P.S.. M.G. impugnava la sentenza di primo grado.

Con sentenza dell’11.12.2009 – 23.03.2010, la Corte di appello di Venezia, sezione minorenni civile, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda del PM volta alla declaratoria dello stato di adottabilità dei due minori, ripristinando la piena potestà genitoriale di M.G. e delegando al servizio sociale del Comune di Venezia di provvedere, con le cautele del caso, alla progressiva ripresa dei contatti dei bambini con il padre, fino al loro definitivo reinserimento nell’ambiente familiare paterno, nonchè di esercitare anche in futuro i dovuti controlli e vigilanza sulle condizioni dei minori e di quella famiglia.

La Corte territoriale osservava che non era in discussione la dichiarazione dello stato di abbandono morale e materiale dei minori con riferimento al loro rapporto con la madre, P.S., rivelatasi affetta da disturbi di natura psichica e spesso in stato confusionale, o comunque incapace di occuparsi dei figli, dei quali aveva dimostrato di volersi disinteressare. Sottolineato, inoltre, anche che il ricorso all’adozione nel sistema disciplinato dalla L. n. 184 del 1983, in armonia con il dettato costituzionale (art. 30), si configurava come extrema ratio, dovendosi attribuire preminente rilievo al diritto del minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia di origine, e sopperendo l’istituto adottivo soltanto quando la famiglia di origine non sia in grado di provvedere alla sua educazione e alla sua crescita, soddisfacendo quanto meno al livello di cura minimo al di sotto del quale quest’ultima possa venire a risultare irrimediabilmente compromessa, riteneva conclusivamente che, pur dovendosi nella specie fare riferimento alla sola figura del padre ed a quella di supporto della sorella, zia dei minori, intervenuta in giudizio e dichiaratasi disponibile ad aiutare anche quotidianamente il fratello nell’accudimento dei bambini, non appariva sussistente nella specie la totale inidoneità del M. e, quindi, lo stato di abbandono anche morale dei due minori.

Avverso questa sentenza la Procura generale della Repubblica presso la corte d’Appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, notificato ai germani M. ed alla P., al curatore speciale dei minori avv.to C.M. V., al tutore dei minori dott. B.A., al servizio sociale ed ai nonni materni. Il M. ha resistito con controricorso mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il PG presso il giudice a quo denunzia:

1. “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento alla L. n. 184 del 1983, artt. 8 e 17 come novellata (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Sostiene riassuntivamente:

che per escludere l’abbandono non è sufficiente verificare che al minore è comunque garantito dal genitore l’accudimento ed il soddisfacimento delle esigenze primarie, spettando al giudice minorile la verifica che la situazione familiare del minore stesso e la relazione con il genitore possano, nel concreto, garantire un’adeguata crescita materiale e morale del figlio che ove l’assistenza e le cure materiali siano al minore prestate da alcuno dei suoi parenti entro il quarto grado, non possa prescindersi dal verificare la pregressa condotta degli uni rispetto all’altro, essendo richiesta la sussistenza di rapporti significativi con il minore – che non si è tenuto conto della condotta anaffettiva e negligente del padre, connotata da difetto di vigilanza, mancanza di empatia e da capacità di accudimento solo per le esigenze immediate e materiali dei bambini – che è mancata la considerazione globale della situazione morale e materiale in cui sono vissuti i minori ed in cui concretamente vivranno rimanendo con lui – che non sono state considerate le modalità di vita anche lavorativa del M. e della sorella nonchè indagata l’effettiva natura dei rapporti tra di loro intercorrenti, posto anche che i rispettivi coniugi avevano intrattenuto una relazione tra di loro e che apodittico si rivela il giudizio di non incidenza dei rilievi contrari svolti nella CTU. 2. “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Sostiene che l’avversata pronuncia si fonda su motivazione apodittica e viziata, sia in quanto affidata a valutazioni disancorate da elementi concreti ed inidonee a contrastare e disattendere le valutazioni della CTU, sia in quanto implica indebitamente controlli e vigilanze dei servizi sociali, non considera le esigenze riparative dei minori, confida nel sostegno della zia paterna, privo di concreti riscontri anche in ordine a pregressi rapporti significativi con i nipoti, non esamina la domanda subordinata del M., tendente all’opzione per l’adozione non legittimante dei figli, ex art. 44 lett. d) e, dunque, implicante la consapevolezza da parte dell’istante dei suoi limiti e del benessere in cui vivevano i bambini sin dal 30 ottobre 2006, presso la famiglia affidataria.

3. “Nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.

Deduce la non integrità del contraddittorio nel grado d’appello, dal momento che al tutore dei minori, pur destinatario della notificazione delle sentenze di primo grado e di appello, non era stato notificato il decreto di citazione del 2.11.2009, per la prima udienza d’appello fissata al 11.12.2009. Deduce, inoltre, che la spontanea comparizione del tutore a tale udienza, nel corso della quale lo stesso aveva dichiarato di non volersi munire di un difensore e di volere solo presenziare all’udienza, non poteva avere sanato l’assenza di notifica degli atti introduttivi, in quanto non era stato posto in grado di conoscere gli atti processuali e di predisporre un’adeguata tutela degli interessi dei minori.

Il terzo motivo del ricorso, che assume priorità logico-giuridica, non è fondato.

Nella specie emerge che al giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale per i minorenni di Venezia ha partecipato il curatore dei minori e non anche il tutore, la cui nomina risulta disposta solo con la sentenza conclusiva di tale primo grado, per effetto della statuita sospensione del M. e della P. dall’esercizio della potestà genitoriale. La mancata notifica dell’atto d’appello e del relativo decreto presidenziale al tutore non appare nella specie risolversi in insanabile nullità processuale, tale da travolgere l’intero gravame. Sebbene, infatti, non formalmente evocato nel giudizio d’appello, il tutore, di sopravvenuta nomina, aveva comunque presenziato alla prima udienza collegiale del grado ed espressamente dichiarato che non intendeva avvalersi di un difensore tecnico. Così manifestato dal tutore l’intento di non costituirsi in giudizio, il disporre nei suoi confronti l’integrazione del contraddittorio, stante l’assenza di notifica legale, si sarebbe rivelato iniziativa ultronea e contraria alle esigenze di speditezza del processo, considerando che mera illazione appare l’asserito effetto della mancata conoscenza da parte sua degli atti del processo, e soprattutto che, essendo stati i minori già rappresentati in primo grado dal curatore speciale, costituitosi anche in appello, non era configurabile alcun reale pregiudizio alla loro effettiva tutela.

Il primo ed il secondo motivo del ricorso, che strettamente connessi consentono esame unitario, meritano favorevole apprezzamento nei sensi in prosieguo precisati. Vero è che (cfr tra le altre, cass. 200615011) la L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 1 (nel testo novellato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149) attribuisce al diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia un carattere prioritario, di talchè nelle situazioni di difficoltà e di emarginazione della famiglia di origine” il recupero di questa, considerata come ambiente naturale, costituisce il mezzo preferenziale per garantire la crescita del bambino, ed impone ai Servizi sociali di non limitarsi a registrare passivamente le insufficienze della situazione in atto, ma di costruire, con gli opportuni strumenti di aiuto e di sostegno, nella famiglia del sangue, relazioni umane significative ed idonee al benessere del bambino.

Nella specie, tuttavia, il percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello per escludere lo stato di abbandono dei due minori e riformare la sentenza di primo grado, non appare appagante e corretto.

L’attuata valorizzazione del legame naturale, pur se affidata a profili di indiscutibile rilievo positivo, non risulta essere stata accompagnata dal doveroso accertamento anche in dimensione evolutiva e prospettica, della grave, pur se non totale, carenza di capacità genitoriale riscontrata nel M., ed in particolare dalla dovuta verifica del tipo di evoluzione che dette carenze, riscontrate sin dall’inizio del procedimento e tali da avere portato alla sospensione cautelare del M. dalla potestà genitoriale, avevano subito nel corso del tempo ed in ogni caso dei riflessi che, data la relativa indole, esaminata solo in rapporto all’età ed alla natura delle attuali esigenze dei minori, esse avrebbero potuto esercitare sulla futura equilibrata e sana crescita psico-fisica dei due bambini, nonchè degli eventuali rischi di danni gravi ed irreversibili, conseguenti al ristabilimento, seppure graduale, della comunanza di vita, da lungo tempo sospesa, dei figli con il solo padre, seppure assistito per il profilo eminentemente materiale dalla sorella, con cui i minori non risultava che avessero in precedenza avuto rapporti.

Inoltre, le argomentazioni inerenti alla adeguata seppure minima capacità genitoriale del M. appaiono, nell’emerso contesto, insufficienti e contraddittorie, visto l’esito sfavorevole dell’indagine tecnica d’ufficio esperita in primo grado (che ben avrebbe potuto eventualmente essere reiterata in appello) e le informazioni, pur’esse non positive, rese dai servizi sociali sia in ordine all’andamento del rapporto del genitore con i figli, a lungo osservato, che ai concreti disagi negli stessi prodotti dagli attuati, numerosi incontri, nonchè considerate l’illogicità e l’apoditticità delle valutazioni riduttive con relativa prognosi favorevole, espresse dalla Corte distrettuale in ordine ai reiterati specifici comportamenti del M., pur ritenuti produttivi di gravissime conseguenze ai danni dei minori e tali da mettere in pericolo anche la loro incolumità, per difetto di empatia e vigilanza paterne.

Conclusivamente devono essere accolti i primi due motivi del ricorso, respinto il terzo, e cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, rigetta il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinviai anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2011

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