Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7569 del 28/03/2010

Cassazione civile sez. I, 29/03/2010, (ud. 17/12/2009, dep. 29/03/2010), n.7569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. MARRA Luigi Alfonso giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli, in data 1 giugno

2006, nel procedimento iscritto al n. 65/06 R.G. volontaria

giurisdizione;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17 dicembre 2009 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale, Dott. SGROI Carmelo, che nulla ha osservato.

La Corte:

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata all’avvocato del ricorrente, con la quale – rilevato che: ” M.M. ha proposto ricorso per cassazione il 16 luglio 2007 sulla base di tredici motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Napoli in data 1 giugno 2006 con cui la Presidenza del Consiglio dei ministri veniva condannata ex L. n. 89 del 2001, al pagamento di un indennizzo di Euro 4.295,00 – oltre Euro 246,00 per le spese – per l’eccessivo protrarsi di un processo svoltosi dinanzi al TAR di Napoli avente ad oggetto competenze afferenti a rapporto di impiego con ente locale.

Il ricorso reca motivi seguiti da quesito di diritto, come imposto dall’art. 366 bis c.p.c.. La Presidenza del Consiglio non ha resistito con controricorso” – si è altresì osservato che: “Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata avendo accertato una durata irragionevole del processo di poco meno di sei anni, sulla base di una ritenuta durata ragionevole di anni tre.

Con il primo motivo di ricorso si censura la pronuncia per non avere dato applicazione all’art. 6 della Conv. di Strasburgo secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Edu. Il motivo appare del tutto inconsistente, limitandosi a delle astratte affermazioni di principio senza muovere alcuna censura concreta a punti o capi del decreto specificatamente individuati.

Manifestamente infondato appare il secondo motivo, con cui ci si duole dell’insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale.

Difatti, correttamente la Corte di merito si è attenuta al parametro di 1.000,00 Euro per anno di ritardo, discendente dalla giurisprudenza CEDU, apportandovi una ragionevole riduzione in ragione della mancanza di attività sollecitatoria nel giudizio presupposto da parte dell’istante.

Con il terzo motivo si deduce, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, il mancato computo dell’indennizzo riferito all’intera durata del processo anzichè al solo periodo di irragionevole durata. Il motivo è manifestamente infondato, avendo a più riprese affermato questa Corte che la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. A, espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole ed essendo tale norma insuperabile, posto che essa esprime ed attua il disposto costituzionale (art. 111) sulla necessaria dislocazione temporale minima di un giusto processo (Cass., Sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14).

Con il quarto, il quinto ed il sesto motivo, si deduce sotto diversi profili il mancato riconoscimento di un bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura di lavoro della controversia.

Tali censure sono manifestamente infondate. La Corte di Strasburgo ha, infatti, affermato il principio che il bonus in questione debba essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha poi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e quelle previdenziali. Tutto ciò non significa che dette cause sono necessariamente di per sè particolarmente importanti con una conseguente liquidazione automatica del bonus in questione, ma che, data la loro natura, è possibile che lo siano con una certa frequenza. Tale valutazione di importanza rientra nella ponderazione del giudice di merito che, come è noto, dispone di una certa discrezionalità nel variare l’importo di indennizzo per anno di ritardo (da Euro mille a Euro millecinquecento salvo limitato discostamento in più o in meno a seconda delle circostanze) e che in tale valutazione, qualora riconosca la causa di particolare incidenza sulla situazione della parte, può arrivare a riconoscere il bonus in questione. Tutto ciò non implica uno specifico obbligo di motivazione essendo elemento compreso nella valutazione che concerne la liquidazione del danno, per cui, se il giudice non si pronuncia sul bonus, implicitamente ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo. Con gli altri motivi si censura sotto diversi profili la liquidazione delle spese.

Alcuni motivi pongono la stessa questione relativa a quali tariffe devono essere applicare ai giudizio di equa riparazione. Gli stessi appaiono fondati, dovendosi liquidare le spese del giudizio in materia di equa riparazione in base alle tariffe dei procedimenti ordinali contenziosi. Altri motivi sono inammissibili, poichè i quesiti non pongono alcuna questione di diritto limitandosi ad una mera domanda sulla sufficienza o meno della liquidazione delle spese nel caso concreto. Altri ancora, con cui si censura che il giudice di merito ha immotivatamente disatteso la nota spese presentata, appaiono fondati alla luce del principio più volte affermato da questa Corte che il giudice può disattendere dalla nota spese solo con apposita motivazione circa le voci non riconosciute e gli importi modificati.

In conclusione,ove si condividano i testè formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione con riferimento alle censure mosse con il primo motivo e con i motivi da quattro a tredici, ma – con riferimento al secondo e al terzo motivo, entrambi relativi alla insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale – ha rilevato che, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, l’indennizzo per il superamento del termine ragionevole di durata del processo va determinato di regola in misura non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore ad Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/21840);

ritenuto che, alla stregua delle argomentazioni che precedono, devono essere accolti il secondo e il terzo motivo, in quanto la Corte di appello, liquidando un indennizzo di Euro 4.295,00 per un periodo di durata non ragionevole di poco inferiore a sei anni e quindi nella misura di circa 700,00 Euro ad anno, si è discostata, in modo non ragionevole, dai criteri di quantificazione in precedenza indicati, mentre va dichiarato inammissibile il primo motivo e vanno rigettati i motivi da quattro a sei, restando assorbiti quelli da sette a tredici, e che di conseguenza il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

B1) ritenuto altresì che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1; che, in particolare, va determinato in sei anni, secondo la non censurata valutazione del giudice di merito, il periodo di durata non ragionevole del processo;

considerato che il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; che, secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; ritenuto che tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, ad un parametro non inferiore ad Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/21840); che di conseguenza si deve riconoscere al ricorrente, in considerazione della accertata durata non ragionevole di sei anni, l’indennizzo di Euro 5.250,00 oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannata la Presidenza del Consiglio dei Ministri soccombente;

B2) considerato altresì che le spese del giudizio di merito e di quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, compensate per la metà quelle del giudizio di cassazione tenuto conto dell’accoglimento parziale del ricorso, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), con distrazione delle spese relative a entrambi i giudizi in favore del difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo; accoglie il secondo e il terzo; respinge il quarto, il quinto e il sesto motivo, assorbiti gli altri. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 5.250,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.

Condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 873,00, di cui Euro 378,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la metà, che si liquidano per l’intero in Euro 665,00 di cui Euro 565,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore del ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2010

 

 

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