Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7568 del 27/03/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/03/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 27/03/2020), n.7568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29044-2014 proposto da:

C.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA D.A.

AZUNI n. 9, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA DE CAMELIS, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE n. 144,

presso lo studio degli avvocati DONATELLA MORAGGI e MARIA LETIZIA

NUNZI, che lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4635/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/08/2014 R.G.N. 3996/2010.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello di C.M.G. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti dell’Inail, volta ad ottenere: il parziale annullamento della graduatoria pubblicata il 31 ottobre 2006 all’esito della procedura selettiva per la progressione nella posizione economica C4; l’accertamento del diritto ad essere inserita al 47^ posto della graduatoria in questione, previa attribuzione del punteggio massimo previsto per le potenzialità e le attitudini professionali; la condanna dell’Istituto previdenziale ad assumere gli atti conseguenti ed al risarcimento dei danni patrimoniali, pari alla differenza tra la retribuzione percepita e quella prevista per i dipendenti inquadrati nella posizione economica superiore;

2. la Corte territoriale ha premesso che solo in grado di appello la ricorrente aveva inammissibilmente modificato la domanda, concludendo per l’annullamento della graduatoria, mentre nell’originario atto introduttivo aveva chiesto di essere collocata al 47 posto della graduatoria in parola, domanda, questa, che correttamente era stata respinta dal Tribunale, poichè priva di fondamento era la pretesa relativa all’attribuzione del punteggio massimo previsto per “potenzialità ed attitudini”;

3. il giudice d’appello ha aggiunto che la C. non aveva impugnato il bando di concorso, incentrando tutte le censure sulla pretesa erroneità della graduatoria, e la circostanza assumeva rilievo decisivo in quanto il bando di concorso prevedeva espressamente tra i titoli valutabili, oltre all’anzianità ed al titolo di studio, la valutazione delle potenzialità e delle attitudini professionali relative alla posizione da conseguire nonchè la “applicazione dello specifico indice di potenziale già comunicato dall’amministrazione a ciascun candidato”;

4. pertanto nel redigere la graduatoria finale l’Istituto si era attenuto alla lex specialis della procedura, in relazione alla quale non era stata dedotta un’eventuale contrarietà alla disciplina collettiva, e conseguentemente inconferenti dovevano ritenersi tutte le argomentazioni svolte in merito alla pretesa difformità della graduatoria rispetto ai criteri indicati dall’art. 15 del CCNL 16.2.1999 per il personale del comparto enti pubblici non economici e dall’art. 4 del CCI Inail del 30.7.1999;

5. la Corte territoriale ha rilevato inoltre che l’appellante aveva invocato una disciplina contrattuale non applicabile ratione temporis alla fattispecie, in quanto la procedura selettiva era stata bandita nella vigenza del c.c.n.l. 9.10.2003 e del CCI 3.11.2005, anticipato dall’accordo del 20.10.2003 con il quale le parti sociali avevano previsto che la valutazione del “potenziale”, avente ad oggetto “l’insieme delle capacità latenti che ciascun soggetto possiede ed in virtù delle quali potrà accrescere le proprie competenze e/o assumere ruoli”, sarebbe stata effettuata da specialisti esterni ed avrebbe costituito uno strumento di verifica delle attitudini professionali anche in occasione delle selezioni interne per la progressione di carriera;

6. l’INAIL si era attenuto ai criteri concordati con le organizzazioni sindacali ed aveva portato a compimento la procedura per la valutazione del potenziale, il cui esito era stato tempestivamente comunicato alla C. che non aveva mosso obiezione alcuna;

7. il bando di selezione, che prevedeva espressamente l’applicazione dell’indice già comunicato, doveva essere letto ed interpretato alla luce delle previsioni collettive richiamate e, pertanto, il criterio utilizzato per la formazione della graduatoria non poteva essere ritenuto nè arbitrario nè illegittimo;

8. per la cassazione della sentenza C.M.G. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria, ai quali l’INAIL ha opposto difese con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia “violazione dell’art. 1362 c.c. in ordine all’interpretazione dell’art. 15, comma 4 del c.c.n.l. del comparto enti pubblici non economici del 16.2.99, dell’art. 10 del successivo c.c.n.l. del 9.10.03, dell’art. 4 del contratto collettivo integrativo Inail del 30.7.1999 nonchè violazione dei principi generali e delle norme che disciplinano le procedure concorsuali in genere e segnatamente le selezioni per le progressioni di carriera di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 1 bis” e sostiene, in sintesi, che la Corte territoriale avrebbe errato nell’interpretazione delle disposizioni contrattuali sopra richiamate e nel ritenere che l’Inail avesse provveduto alla valutazione del potenziale dei propri dipendenti perchè, al contrario, la valutazione era stata affidata ad un soggetto esterno, inidoneo a svolgere una procedura selettiva pubblica, ed inoltre era stata effettuata senza il necessario rispetto dei canoni di legalità, trasparenza e partecipazione;

1.1. la ricorrente aggiunge che la valutazione espressa non poteva essere impugnata, perchè all’epoca non erano noti i punteggi assegnati agli altri partecipanti, e rileva che il bando di concorso non era stato ignorato in quanto, al contrario, era stata ravvisata la violazione dell’art. 8 nelle modalità con le quali il giudizio era stato espresso dalla Selexi;

2. la seconda critica addebita alla Corte territoriale la violazione delle disposizioni di legge e contrattuali richiamate nel primo motivo ed insiste nel sostenere che poichè le progressioni economiche hanno la finalità di premiare il merito dei dipendenti, occorreva tenere conto solo delle esperienze e delle competenze già acquisite, da valutare in relazione alla “realtà aziendale Inail”, e non valorizzare il potenziale, inteso come insieme delle capacità latenti del soggetto, ossia un criterio vago e generico non idoneo a selezionare i dipendenti più capaci e meritevoli;

3. infine con la terza critica, formulata ex art. 360 c.p.c., n. 4, la C. si duole della violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e pronunciato, sancito dall’art. 112 c.p.c., e denuncia l’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno, formulata in primo grado e riproposta in appello;

4. il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni;

5. nello storico di lite si è evidenziato che la sentenza impugnata ha motivato il rigetto della domanda su una pluralità di rationes decidendi, ciascuna sufficiente a sorreggere il decisum, sicchè è applicabile alla fattispecie l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza” (Cass. n. 18641/2017 e negli stessi termini fra le tante Cass. 10815/2019, Cass. n. 15399/2018);

5.1. i primi due motivi di ricorso sono interamente incentrati sulla dedotta violazione della contrattazione collettiva e sull’asserita invalidità del giudizio espresso da un soggetto terzo rispetto al datore di lavoro ma sono privi di specifica attinenza al decisum e nulla deducono: sulla ritenuta infondatezza delle originarie conclusioni, in quanto formulate sul presupposto che alla C. dovesse essere attribuito il punteggio massimo previsto per potenzialità ed attitudini professionali; sugli effetti preclusivi della mancata impugnazione del bando, che rinviava espressamente alla valutazione del potenziale già comunicato dall’amministrazione a ciascun candidato; sulla piena rispondenza del bando alla contrattazione collettiva integrativa all’epoca vigente;

5.2. a detta assorbente ragione si deve aggiungere che le censure, che sovrappongono e confondono profili di fatto (quali sono quelli relativi alle modalità con le quali la società esterna aveva espresso il giudizio) e questioni di diritto, difettano della necessaria specificità perchè non illustrano in maniera chiara le ragioni per le quali la Corte territoriale avrebbe errato nell’interpretazione del bando e delle disposizioni contrattuali indicate nella rubrica;

5.3. infine, quanto alla contrattazione integrativa, il ricorso ne denuncia inammissibilmente la violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, disposizione, questa, che può venire in rilievo nei soli casi in cui la violazione stessa riguardi accordi e contratti collettivi nazionali di lavoro;

5.4. al riguardo va, infatti, rammentato che i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo applicabile ratione temporis (Cass. 19.3.2004 n. 5565; Cass. 22.9.2006 n. 20599; Cass. 5.12.2008 n. 28859; Cass. 19.3.2010 n. 6748; Cass. 25.6.2013 n. 15934; Cass. 14.3.2016 n. 4921); 5.5. a detti contratti non si estende, inoltre, il particolare regime di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8, sicchè, vengono necessariamente in rilievo gli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4 ed il ricorrente è tenuto a depositarli, a fornire precise indicazioni sulle modalità e sui tempi della produzione nel giudizio di merito, a trascrivere nel ricorso le clausole sulle quali si incentra la censura (si rimanda, fra le più recenti, a Cass. nn. 7981, 7216, 6038, 2709, 95 del 2018);

6. inammissibile ex art. 360 bis c.p.c. (Cass. S.U. n. 7155/2017) è poi anche la terza censura atteso che “ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (Cass. n. 24155/2017);

6.1. nel caso di specie risulta evidente che dalla ritenuta infondatezza dei motivi di appello, con i quali era stata riproposta la questione dell’asserita illegittimità della graduatoria, non poteva che discendere il rigetto della domanda risarcitoria, in quanto formulata sul presupposto, escluso dalla Corte territoriale, dell’erroneità della valutazione espressa dalla commissione esaminatrice;

7. alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

8. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2020

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