Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7568 del 01/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 7568 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 27652-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega
2014

in atti;
– ricorrente –

472

Inoncle( contro

GAETA ANTONIO;
– intimato –

Data pubblicazione: 01/04/2014

sul ricorso 5925-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F.
legale rappresentante

97103880585,

215)

tempore,

in persona del
elettivamente

•••■•••••••■■••■•■•

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI t 134,

presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e

in atti;
iconzrara.corrente contro

GAETA ANTONIO;
– intimato –

avverso la sentenza n.

1943/2007 della CORTE D’APPELLO

di CATANZARO, depositata il 15/11/2007
e avverso la sentenza n.

r.g.n.

della CORTE

259/2010

D’APPELLO di CATANZARO, depositata

41/2007

il 25/02/2010

r.g.n. 2312/2008;
udita la relazione delle cause svolta nella pubblica
udienza del 06/02/2014 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega GRANOZZI
GAETANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per: rigetto del ricorso per n.r.g.

5925/2011,

accoglimento del ricorso per n.r.g. 27652/2008.

difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega

R.G. 27652/2008+ 5925/2011
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 7-7/7-11-2006 il Giudice del lavoro del Tribunale di
Crotone rigettava la domanda proposta da Antonio Gaeta nei confronti della

apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti per “necessità di
espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”, dal 13-715;$99/10-9-1999, con ic pronunce consequeliziali.
Il Gaeta proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con l’accoglimento della domanda.
La società si costituiva resistendo al gravame e proponendo appello
incidentale.
La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 15-11-2007,
in accoglimento dell’appello principale, rigettando l’appello incidentale,
dichiarava la nullità del termine apposto al contratto de quo e condannava la
società a riammettere in servizio l’appellante e a corrispondergli le retribuzioni,
con gli accessori, a decorrere dal 10-2-2004 fino all’effettiva riammissione in
servizio.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con dieci
motivi.
Il Gaeta è rimasto intimato.
Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Nel frattempo, a seguito del ricorso per revocazione proposto dalla società
avverso la citata sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro (sul dedotto
errore di fatto, che sarebbe consistito nell’aver i giudici del gravame accolto la
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s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine

domanda nella erronea convinzione che il contratto fosse stato stipulato per
“esigenze eccezionali” ex acc. 25-9-97 e non per “necessità di espletamento del
servizio in concomitanza di assenze per ferie) la detta Corte, con sentenza
depositata il 25-2-2010 ha dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando la

era scaturita dall’interpretazione della normativa contrattuale che aveva portato
la Corte a ritenere di poter applicare anche alla ipotesi della concomitanza delle
ferie il termine finale previsto dagli accordi attuativi dell’accordo del 25-9-97.
Anche tale sentenza è stata impugnata per cassazione dalla società, con tre
motivi, ed infine la società ha parimenti depositato memoria ex art. 378 c.p.c.,
chiedendo la riunione dei due giudizi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente i due giudizi vanno riuniti, giacché, come è stato più
volte affermato da questa Corte (v. Cass. 29-5-2008 n. 14442, Cass. 6-8-2001
n. 10835, cfr. Cass. 26-1-2004 n. 1369, Cass. 18-3-2003 n. 6328), “i ricorsi per
cassazione separatamente proposti contro la sentenza di merito resa in grado di
appello e contro quella pronunciata nel successivo giudizio di revocazione
possono essere riuniti, in quanto le due sentenze, integrandosi reciprocamente,
definiscono inscindibilmente un unico giudizio e, quindi, in sede di legittimità,
possono essere oggetto di esame contestuale e di un’unica decisione. Qualora si
provveda a tale riunione, le questioni attinenti alla revocazione assumono
carattere pregiudiziale, sicché il ricorso avverso la sentenza del relativo
giudizio va esaminato per primo.”
Tanto premesso il ricorso n. 5925/2011 avverso quest’ultima sentenza va
dichiarato inammissibile.
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insussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c., in quanto la decisione

La società ricorrente, infatti:
con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 8 del ceni 1994,
dell’accordo 25-9-97 e dei successivi accordi attuativi, lamenta che la Corte
d’Appello, “travalicando il significato degli stessi”, “ha ricondotto la

integrativo (del medesimo ceni del 1994) del 25-9-97”;
con il secondo motivo, denunciando violazione dei principi e delle norme
di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni, lamenta
che la Corte di merito erroneamente ha considerato quale preteso atto di messa
in mora della società, la richiesta di esperimento del tentativo obbligatorio di
conciliazione, che, a suo dire, non conteneva una offerta delle prestazioni;
con il terzo motivo, comunque, sulle conseguenze economiche, ha
invocato l’applicazione dello ius superveniens di cui all’art. 32 della legge n.
183 del 2010.
Tali censure risultano del tutto inconferenti rispetto al decisum impugnato,
riguardante la inammissibilità del ricorso per revocazione, per la insussistenza
nella fattispecie dell’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c.
A ben vedere, inaffi, tale statuizione non è stata minimamente censurata
con i detti motivi, che si limitano a riproporre questioni di merito, rivolte
piuttosto contro la precedente sentenza oggetto del ricorso per revocazione,
senza contrastare in alcun modo la sentenza impugnata, di inammissibilità della
revocazione stessa.
Peraltro la società neppure censura in qualche modo la ratio decidendi
posta a fondamento di tale sentenza, giacché, anzi, in sostanza riconosce che,
proprio come affermato dalla Corte territoriale in sede di giudizio per
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fattispecie sottoposta al suo esame alla (diversa) previsione dell’accordo

revocazione, la precedente sentenza è stata basata sulla interpretazione della
normativa collettiva e non su un errore di fatto.
Così dichiarato inammissibile il secondo ricorso, può, quindi, esaminarsi il
primo ricorso, in relazione al quale va innanzitutto evidenziato che non può

data 12-2-2008 (come sostenuto dalla ricorrente nella “premessa”), trattandosi
di evento successivo che non fa venir meno l’interesse delle parti alla
definizione delle questioni controverse riguardanti la nullità o meno del
termine apposto al contratto de quo e le relative conseguenze, con riguardo a
tutto il tempo anteriore alle dimissioni.
Come è stato più volte affermato da questa Corte, “la cessazione della
materia del contendere costituisce una fattispecie di sopravvenuta carenza di
interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio, la quale può essere
dichiarata soltanto quando i contendenti si diano reciprocamente atto
dell’intervenuto mutamento della situazione e sottopongano al giudice
conclusioni conformi” (v. Cass. 22-12-2006 n. 27460, Cass. 8-11-2007 n.
23289) ovvero quando si verifichi “la totale eliminazione delle ragioni di
contrasto e, con ciò, il venir meno dell’interesse ad agire ed a contraddire e
della conseguente necessità di una pronuncia del giudice sull’oggetto della
controversia, sicché, con riguardo alla posizione di chi ha agito in giudizio, è
necessario che la situazione sopravvenuta soddisfi in modo pieno ed
irretrattabile il diritto esercitato, così da non residuare alcuna utilità alla
pronuncia di merito” (v. Cass. 20-3-2009 n. 6909).
Tanto premesso, con il primo motivo, posto che la sentenza di primo grado
aveva affermato la legittimità del termine rilevando che dalla clausola
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ritenersi cessata la materia del contendere per le sopravvenute dimissioni in

contrattuale emergeva che “l’unico presupposto per la relativa operatività è
costituito dal fatto che l’assunzione avvenga nel periodo indicato, in cui di
norma i dipendenti fruiscono delle ferie”, per cui “l’assunzione de qua non
doveva “rispondere a tutti i requisiti indicati dall’art. 1 comma 2 lett. b) 1.

avrebbe specificamente impugnato tale statuizione, di guisa che sul punto si
sarebbe formato il giudicato.
Il detto motivo è infondato.
Sul punto, la sentenza impugnata ha respinto l’eccezione di giudicato
rilevando che l’appellante aveva fatto “esplicito riferimento alla legge 230/62,
che a suo avviso, è la norma che disciplina la materia, censurando il Tribunale
che non ne aveva tenuto conto” (vedi in particolare il primo motivo di appello,
riportato anche nel ricorso).
La Corte di merito ha quindi ritenuto specifico il motivo di gravame, in
conformità, del resto, con l’indirizzo dettato da questa Corte Suprema secondo
cui “il principio della necessaria specificità dei motivi di appello – previsto
dall’art. 342, comma primo, cod. proc. civ., e, nel rito del lavoro, dall’art. 434,
comma primo, cod. proc. civ., nella formulazione anteriore alla novella operata
dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in 1. 7 agosto 2012, n. 134 prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al
giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su
cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della
sentenza appellata, siano anche indicate, oltre ai punti e ai capi formulati e
seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della
pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo
5

1230/1962″, la società ricorrente deduce che con l’atto d’appello il Gaeta non

tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative
censure.” (v. Cass. 20-3-2013 n. 6978, Cass. 11-10-2006 n. 21745).
Con i successivi secondo e terzo motivo la ricorrente, sotto i profili della
violazione di legge e del vizio di motivazione, censura l’impugnata sentenza

consenso tacito, nonostante la mancanza di una qualsiasi manifestazione di
interesse alla funzionalità di fatto del rapporto, per un apprezzabile lasso di
tempo anteriore alla proposizione della domanda e la conseguente presunzione
di estinzione del rapporto stesso, con onere, in capo al lavoratore, di provare le
circostanze atte a contrastare tale presunzione.
Con i motivi dal quarto al settimo la ricorrente censura l’impugnata
sentenza nella parte in cui ha ritenuto la illegittimità del termine apposto al
contratto de quo, in particolare deducendo:
con il quarto motivo la nullità della sentenza per aver, in sostanza,
considerato il contratto in esame come concluso anche per “esigenze
eccezionali”, così applicando allo stesso il relativo termine ultimo previsto
dalle parti collettive con gli accordi attuativi dell’accordo 25-9-97;
con il quinto motivo la diversità ed autonomia della previsione della
“necessità di espletamento del sevizio in concomitanza di assenze per ferie nel
periodo giugno-settembre” richiamata nel contratto in esame;
con il sesto motivo la contraddittorietà della motivazione della impugnata
sentenza che ha ritenuto il contratto de quo nel contempo “finalizzato a
sopperire alle predette esigenze eccezionali connesse al periodo di assenza del
personale durante il periodo di ferie giugno-settembre” in tal modo
confondendo le due ipotesi;
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nella parte in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo

con il settimo motivo la erroneità della ritenuta necessità della indicazione
del nominativo del lavoratore sostituito e della prova della effettiva
sostituzione in concreto.
Con i motivi ottavo, nono e decimo, infine la ricorrente censura, sotto vari

della nullità del termine e alla condanna risarcitoria.
Orbene, osserva il Collegio che i motivi dal quarto al settimo, strettamente
connessi tra loro e preliminari in ordine logico, vanno accolti come di seguito.
Come è stato ripetutamente affermato da questa Corte e va qui ribadito,
“in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati, è legittima la
previsione, operata dalla contrattazione collettiva, della causale relativa alla
“necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel
periodo giugno settembre”, dovendo interpretarsi nel senso che gli stipulanti
hanno considerato il bisogno, nel periodo in oggetto, di assumere personale per
sopperire all’assenza di quello in congedo, con la conseguenza che l’indicazione
nel contratto del nominativo del lavoratore sostituito non è necessaria e non è
configurabile alcun onere di allegazione e prova dell’esigenza e dell’idoneità
della singola assunzione a far fronte a essa, essendo sufficiente il rispetto della
clausola di c.d. contingentamento, ossia della percentuale massima di contratti
a termine rispetto al numero dei rapporti a tempo indeterminato stabilita a
livello collettivo, in adempimento dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987″ (v. fra
le altre Cass. 24-10-2011 n. 22009).
Peraltro è stato anche precisato (v. Cass. 28-3-2008 n. 8122) che “l’unica
interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 ceni 26-111994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla
7

profili, la sentenza impugnata nel capo relativo alle conseguenze economiche

previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti in ferie,
. l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come
presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro di provare le
esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri

lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso
è stato destinato”, bensì soltanto che l’assunzione avvenga nel periodo in cui,
di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie. (cfr. Cass. 6 dicembre 2005 n.
26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204).
In tali sensi vanno quindi accolti i motivi dal quarto al settimo, risultando
assorbiti i restanti motivi.
La sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro n. 1943/2007 va pertanto
cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, la quale, statuendo
anche sulle spese del presente giudizio di cassazione, provvederà attenendosi al
principio sopra richiamato (esaminando, nel caso, anche le questioni ulteriori
ritenute assorbite nella sentenza qui impugnata).
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi n. 27652/2008 e n. 5925/2011, dichiara

dipendenti nonché la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del

inammissibile il secondo ricorso e, per quanto riguarda il primo ricorso, rigetta
il primo motivo, accoglie i motivi dal quarto al settimo, assorbiti i restanti
motivi; cassa la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro n. 1943/2007 e
rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.
Roma 6 febbraio 2014
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

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IL PRESIDENTE
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