Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7566 del 01/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 7566 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 26906-2008 proposto da:
FERRARA

ANNA

TERESA

C.F.

frrntr64d46c361m,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 242,
presso lo studio dell’avvocato DE PAOLIS ANTONIO, che
la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2014
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– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA n.

29 presso

Data pubblicazione: 01/04/2014

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e
difeso dagli avvocati, RICCIO ALESSANDRO, LANZETTA
ELISABETTA, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 30/2008 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/01/2014 dal Consigliere Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito l’Avvocato CARUSO SEBASTIANO per delega
LANZETTA ELISABETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di BRESCIA, depositata il 08/05/2008 R.G.N. 242/2007;

R. Gen. N. 26906/2008
Udienza 23/1/2014
Ferrara Maria Teresa c/ I.N.P.S.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello, giudice del lavoro, di Brescia, con sentenza n. 30/2008 del
8/5/2008, in riforma della decisione di primo grado del Tribunale di Bergamo,

intesa ad ottenere, sul presupposto di aver svolto, dall’1/7/1998 al 24/9/1999, presso
il reparto pensioni, compiti connotati da assoluta autonomia operativa decisionale ed
esecutiva con responsabilità dei risultati, l’accertamento del diritto al superiore
inquadramento (area Ci posizione economica VII) e la condanna dell’Istituto al
pagamento delle corrispondenti differenze economiche. Riteneva la Corte territoriale
che la Ferrara, inquadrata in Area B posizione B2 (già VI qualifica funzionale) fino al
24 settembre 1999 e quindi in Area C posizione Ci, e cioè nella qualifica pretesa, non
potesse rivendicare, per il periodo precedente l’ultimo inquadramento, alcuna
differenza retributiva atteso che, per scelta delle parti contrattuali, a seguito
dell’introduzione del lavoro per processi ed in particolare della sperimentazione
organizzativa e dei crescenti compiti che ne erano scaturiti, al personale di VI
qualifica era stata riconosciuta una doppia indennità – e cioè il salario di
professionalità (correlato al percorso di accrescimento professionale di ogni
dipendente rispetto alla qualifica di appartenenza) e l’indennità ex art. 41 del c.c.n.l.
1995 (collegata a sperimentazione e formazione del personale di IV e VI livello) che compensava la maggiore professionalità richiesta rispetto ai contenuti di
ciascuna qualifica ed il cui complessivo ammontare determinava addirittura il
superamento delle differenze tabellari rivendicate. In ogni caso rilevava che nessuna
prova fosse stata fornita, per il periodo in questione, dello svolgimento di mansioni
tali da rientrare nel profilo professionale reclamato.

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respingeva la domanda proposta da Maria Teresa Ferrara nei confronti dell’I.N.P.S.

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Udienza 23/1/2014
Ferrara Maria Teresa c/ I.N.P.S.

Di questa decisione Maria Teresa Ferrara domanda la cassazione con ricorso
affidato a quattro articolati motivi.
L’I.N.P.S. resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia: “Omessa (apparente), insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio”. Si duole della
ritenuta insussistenza di differenze retributive nel periodo rivendicato sulla base del
raffronto laddove le differenze tra il trattamento tabellare della VII qualifica (C1)
rivendicata e quelli corrispondenti ai vari livelli di inquadramento emergevano dallo
stesso dato contabile fornito dall’I.N.P.S..
2. Il motivo è sotto vari profili inammissibile.
Innanzitutto si rileva che, essendo stato il motivo formulato in relaTione all’art.
360, comma 1 n. 5, cod. proc. civ., ex art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile ratione

temporis vista la data di deposito dell’impugnata sentenza), per costante
giurisprudenza di questa S.C. si sarebbe dovuto concludere – il che non è avvenuto con un momento di sintesi del fatto controverso e decisivo, per circoscriverne
puntualmente i limiti in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione
del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ex aliis, Cass. Sez. un. 1°
ottobre 2007, n. 20603; Cass. 25 febbraio 2008, n. 4719; Cass. 30 dicembre 2009, n.
27680). Qualora tale momento di sintesi, omologo al quesito di diritto, manchi, anche
se l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della
formulata censura, il motivo medesimo, attesa la “ratio” che sottende la disposizione
indicata, associata alle esigenze defiattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve

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Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

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essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia
l’errore commesso dal giudice di merito, è inammissibile (cfr. ex multis Cass. n. 24255
del 18/11/2011).

violazione del principio di autosufficienza, non indica le parti relative ai conteggi
dell’I.N.P.S. dalle quali sarebbe dato riscontare che la misura dell’assegno di garanzia
non superasse le differenze retributive in questione.
3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione
degli artt. 1361 e ss. cod. civ. in relazione alle disposizioni di cui agli artt. 35 e SS. e 41
c.c.n.l. Enti pubblici non economici e 19 c.c.n.l. Enti pubblici non economici 1998
nonché omessa (apparente), insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
decisivo per il giudizio ed ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 56 d.lgs. n.
29/1993 e successive modificazioni”. Si duole del fatto che la Corte territoriale non
abbia tenuto conto della previsione di cui al contratto collettivo decentrato di ente,
valido per il periodo di vigenza del c.c.n.l. 1998-2001, dunque per il periodo per cui è
causa, secondo la quale l’assegno di garanzia sarebbe stato riassorbibile solo entro un
preciso limite percentuale dell’incremento della retribuzione tabellare.
4. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed è comunque infondato.
Gli assunti della ricorrente muovono da una interpretazione del contratto collettivo
decentrato di ente, valido per il periodo di vigenza del c.c.n.l. 1998-2001,
asseritamente dimostrativa del fatto che l’assegno di garanzia sarebbe stato corrisposto,
a decorrere dal 1998, a prescindere da ogni da ogni processo di valorizzazione e non
sarebbe stato riassorbito che per il 70%.

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A ciò si aggiunga, quale ulteriore ragione di inammissibilità, che il motivo, in

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Si osserva, al riguardo, che è inammissibile la denuncia, con ricorso per cassazione,
ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., come modificato dal d.lgs. 2
febbraio 2006, n. 40, della violazione o falsa applicazione del contratto collettivo

nazionali di lavoro, mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle
singole materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con
le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio
nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di
carattere decentrato rispetto al comparto, e per essi non è previsto, a differenza dei
contratti collettivi nazionali, il particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, comma
8, del d.lgs. n. 165 del 2001. Ne consegue che l’interpretazione di tali contratti è
censurabile, in sede di legittimità, soltanto per violazione dei criteri legali di
ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione – cfr. in tal senso Cass. 19
marzo 2010, n. 6748; id. 3 dicembre 2013, n. 27062 -.
Va, poi, osservato che, in materia di interpretazione del contratto, l’accertamento
della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in una
indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, onde la possibilità di
censurare tale accertamento in sede di legittimità, a parte l’ipotesi in cui la motivazione
sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logico seguito da
quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, è
limitata al caso di violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi,
peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il
ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poiché, in caso contrario, la critica
alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di una

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decentrato di ente, posto che detta disposizione si riferisce ai soli contratti collettivi

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interpretazione diversa. In altri termini, il ricorso in sede di legittimità, riconducibile, in
linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo, laddove
censuri l’interpretazione del contratto accolta dalla sentenza impugnata, non può

evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con
relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti
presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (pur implicite)
che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece,
affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati
asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più
congrue (cfr. in termini, Cass. 17 luglio 2007, n. 15890; id. n. 18 aprile 2007, n. 9245;
23 agosto 2006, n. 18375).
Orbene, la sentenza impugnata, valutata con tale criterio, sfugge alle critiche della
ricorrente che, invero, denuncia una falsa applicazione del criterio di interpretazione
letterale del quale, al contrario, la Corte ha fatto corretta applicazione laddove ha
ritenuto che proprio la testuale previsione del riassorbimento quasi integrale della
quota prima riconosciuta “rafforza la tesi sostenuta dall’Istituto ossia che le differenze
fossero proprio destinate a compensare il quid pluris richiesto dalla fase sperimentale
in attesa che all’esito …. l’accrescimento professionale comportasse il formale
riconoscimento della qualifica”. In conseguenza non può certo affermarsi che il
ragionamento della Corte territoriale sia così palesemente inadeguato da far ravvisare
nello stesso una violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale.
Per il resto, la ricorrente si limita a richiamare le regole poste dagli artt. 1361 e ss.
cod. civ. solo per prospettare una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a

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assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad

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quella adottata dal giudicante, il che non è ammissibile (cfr. anche Cass. 25 febbraio
2004 n. 3772).
Per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal

una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che
aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del
fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (si veda, tra le altre, Cass. n. 4178 del 22
febbraio 2007).
5. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione
dell’art. 97 della Cost., dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 (già artt. 56 e 57 del d.lgs. n.
29/1993 e successive modificazioni) nonché violazione e falsa applicazione degli artt.
1361 e ss. cod. civ. in relazione alle disposizioni di cui agli artt. 35 e ss. e 41 c.c.n.l.
Enti pubblici non economici e 19 c.c.n.l. Enti pubblici non economici 1998 previsto”.
Si duole del fatto che la Corte territoriale abbia fondato la propria decisione sulla scelta
operata dalle parti contrattuali cui però non poteva certo riconoscersi il potere
organizzativo di adibire i lavoratori all’espletamento di mansioni superiori rispetto a
quelle di formale inquadramento.
6. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia: “Omessa (apparente), insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio”. Si duole della
valutazione delle risultanze istruttorie evidenziando che la Corte territoriale aveva del
tutto trascurato di dare risalto alle deposizioni testimoniali quale quelle dei testi
Bonomi, Nessi, Zapparoli e Aresi che avevano riferito in ordine all’identità delle
mansioni svolte dalla Ferrara dall’1/7/1998 al 24/9/1999 rispetto al periodo successivo
e circa l’espletamento di polivalenti funzioni ed attività.

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giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di

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7. I suddetti terzo e quarto motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente in ragione
della intrinseca connessione, sono infondati.
Occorre innanzitutto rilevare un profilo di ammissibilità laddove, pur a fronte di

una erronea valutazione delle circostanze fattuali che, se rettamente apprezzate,
avrebbero dovuto condurre a ritenere provata l’adibizione alle superiori mansioni e,
dunque, un vizio motivazionale.
Va, al riguardo, ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio
di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il
potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di
controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte
dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad
una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti il
vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle emergenze
processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 20
aprile 2011, n. 9043; id. 13 gennaio 2011, n. 313; 3 gennaio 2011, n. 37; 3 ottobre
2007, n. 20731; 21 agosto 2006, n. 18214; 16 febbraio 2006, n. 3436; 27 aprile 2005,
n. 8718).
Il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e
contraddittorietà della medesima, può, dunque, dirsi sussistente solo qualora, nel
ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o
insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o
rilevabili d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni
complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento

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denunciati vizi di violazione di legge, in realtà la ricorrente lamenta principalmente

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logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i
vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o
illogicità che rendano dei tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e

da quella operata nella sentenza impugnata (cfr., ex multis, Cass. 14 gennaio 2011, n.
8; id. 22 dicembre 2006, n. 27464; 7 marzo 2006, n. 4842; 27 aprile 2005, n. 8718).
Al contempo va considerato che, affinché la motivazione adottata dal giudice di
merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa
prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte
dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento,
dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni
logicamente incompatibili con esse (cfr., ex plurimis, Cass. 2 luglio 2004, n. 12121).
Né è possibile far valere con il vizio di motivazione la rispondenza della
ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della
parte e, in particolare, prospettare un preteso migliore e più appagante coordinamento
dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità
di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al
libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale
convincimento (così Cass. 26 marzo 2010, n. 7394).
In buona sostanza, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art.
360, comma 1 n. 5, cod. proc. civ., non equivale alla revisione del “ragionamento
decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata
soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non
sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua

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non possono risolversi nella richiesta di una lettura dette risultanze processuali diversa

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nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al
giudice di legittimità.
La valutazione, poi, delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio

tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la
motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale
nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di
altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio
convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare
tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e
circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente
incompatibili con la decisione adottata (Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412; id. 26 febbraio
2007, n. 4391; 27 luglio 2007, n. 16346).
Tanto precisato, va osservato che, nella specie, le valutazioni delle risultanze
probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logicoargomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando
alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.
La Corte territoriale, sulla base dell’istruttoria svolta, ha evidenziato che “non è
stata comunque fornita la prova che, per il periodo rivendicato, le mansioni svolte e le
modalità delle stesse fossero tali da integrare il profilo professionale richiesto”. A tale
conclusione è pervenuta dopo aver individuato, sulla base del raffronto tra le
declaratorie ritualmente effettuato, l’elemento discriminante fra la categoria C e quelle
inferiori nella “polivalenza delle funzioni e delle attività svolte” e dopo aver ritenuto
che la ricorrente, così come riferito dai testi Bonomi, Zapparoli, Nessi e Aresi, lungi

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sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta,

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dall’essersi occupata, nel periodo in contestazione, di più fasi nel ciclo completo del
processo produttivo, era stata addetta alla sola istruttoria delle pratiche relative alle
richieste assistenziali di inabilità ed invalidità rispetto alle quali la verifica della

questioni che insorgevano, la Ferrara interpellava i dirigenti. La Corte territoriale ha,
inoltre, evidenziato che i testi i quali avevano in qualche modo valorizzato una certa
autonomia operativa della ricorrente avevano fatto riferimento alle “mansioni svolte
fino al 2001” e, dunque, ad un periodo in larga parte coincidente con quello successivo
al riconoscimento formale della posizione Cl (24 settembre 1999).
Nell’iter logico suddetto non si evidenza alcuna aporia, né incongruenza; la
sentenza, ampiamente e logicamente argomentata, risulta immune da qualsiasi vizio
motivazionale. Del resto, la ricorrente si limita a prospettare la propria lettura delle
risultanze istruttorie riportando, peraltro, neppure integralmente ma solo per stralci
alcuni passaggi delle deposizioni testimoniali su cui incentra le proprie critiche ed
invocando una inammissibile revisione del “ragionamento decisorio”, non sussumibile
nel controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, n. 5, cod. proc.
civ..
Né vale opporre che i giudici di merito avrebbero trascurato di considerare alcuni
passaggi delle deposizioni testimoniali di segno asseritamente favorevole alla
ricorrente sia per le ragioni sopra evidenziate sia perché si tratta di deposizioni (come
detto non trascritte nella loro interezza) che, riferite ad un arco temporale ampio e
prevalentemente corrispondente all’epoca successiva alla formale attribuzione
.

dell’inquadramento in Area C posizione economica C2, non offrono precisi elementi
inferirne la decisività ai fini della dimostrazione, per il circoscritto periodo

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sussistenza dei requisiti avveniva in modo informatizzato e nel cui ambito, per le

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dall’1/7/1998 al 24/9/1999 (pressoché coincidente, come si rileva dalla sentenza
impugnata, con l’introduzione del lavoro per processi e con la sperimentazione
organizzativa che ne era scaturita e che aveva comportato l’affiancamento nella stessa

compiti in autonomia “gradualmente crescenti”) di quella pienezza e totale autonomia
di funzioni con riguardo a tutte le fasi del processo produttivo che, secondo i giudici di
merito, solo integra il superiore livello.
8. Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali tutte le altre eccezioni o
obiezioni devono considerarsi assorbite, in conclusione, il ricorso deve essere
respinto.
9. La regolamentazione delle spese, liquidate come in dispositivo, segue la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore
dell’I.N.P.S., delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00
per esborsi ed euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma,i123 gennaio 2014.

attività di persone con diversa qualifica ed esperienza in vista dell’assegnazione di

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